Caput Mundi 6 - Su questa Pietra / Recensione












LORENZO BARBERIS





Con questo sesto numero, “Su
questa Pietra”
, giunge a conclusione questa prima stagione di “Caput Mundi”, la
serie che ha inaugurato l’universo narrativo dell’Editoriale Cosmo, sviluppando
i presupposti narrativi del Pietro Battaglia di Roberto Recchioni. Sotto la
curatela di Giulio A. Gualtieri, ogni numero ci ha presentato un nuovo mostro,
fino a questo gran finale che vede uno scontro definitivo – per ora – e la
conclusione di questo primo arco narrativo, consentendoci di trarre qualche
considerazione sulla serie.





Ma cominciamo dall’albo in
sé. Come ci si poteva attendere, l’albo (sceneggiato a quattro mani da Giovanni
Masi
e Dario Sicchio) segue alla lettera il principio della pistola di Checov,
e fa sì che tutti i set up
sparpagliati nei cinque albi precedenti trovino il loro dovuto pay off. La struttura della storia è,
ovviamente, corale, ma del resto questa caratteristica – inevitabile nel finale
– era propria già di tutta la stagione, segnata da una continuity
particolarmente serrata.

















La scansione di questo
grandioso scontro finale è regolata secondo i classici tre atti mutuati anche
dal fumetto di formato bonellide:


prima vediamo gli eroi ognuno
al minimo delle sue forze, imprigionati da una “Inquisizione nera” che li
soggioga per sfruttarli (viene in mente il “1602” marvelliano, dove era Magneto
a svolgere questo ruolo: anche se poi la struttura della storia è radicalmente
diversa). Bella anche la citazione del contrappasso dantesco, che viene usato
contro le creature. A p.34, inizia il riscatto che porta, nell’ultimo terzo (da
p.64 in poi) a uno scontro efferato, sviluppato nella predominante chiave
action tipica di questa serie, preciso ed efficace come un meccanismo ad
orologeria.













I disegni sono di Alessio
Moroni
, con l’ausilio di Elisa Di Virgilio per il layout, Federico Butticé per
alcuni sfondi, una risolutiva sequenza di flashback in un meraviglioso bianco e
nero di Andy Pompeo, e il solito impeccabile lettering di Maria Letizia
Mirabella
. A questo proposito, va rimarcato che anche sotto il profilo del
lettering questa testata si è caratterizzata per scelte più in linea col
fumetto internazionale e, in particolare, coi comics americani: balloon e
didascalie di varie forme a seconda del personaggio e del tono emotivo, spazializzazione
degli effetti sonori, e in generale una diversa presenza del testo sulla
tavola, non nell’ottica tradizionale del “minimo disturbo” ma come elemento
narrativamente integrato.

















Come abbiamo notato più
volte, di questa e altre serie (in primis, in Bonelli, “Orfani”), il fumetto
seriale ha ormai spesso un carattere corale. Spicca tuttavia il lavoro di
Moroni, con un segno cupo, a forte e netto contrasto chiaroscurale, in
continuità con quello che ha caratterizzato tutta la serie e una particolare
efficacia nelle frenetiche sequenze d’azione.





Molto bella comunque anche la
sequenza iniziale, che inizia a introdurci la centralità in quest’albo della
Mummia, il grande antagonista della serie, evidente fin dalla bella cover pittorica
di Marco Mastrazzo. Le tavole (8-10) in cui attraversa indifferente San Pietro
e il Vaticano, seguito dai sottoposti che implorano consiglio, sono
particolarmente raffinate a rendere l’idea del potere in modo sottile (quel
potere che, coerentemente con lo spirito della serie, esploderà nel finale in
tavole ben più grandiose e di impatto sul grande pubblico). Viene in mente un
capolavoro come “L’eminenza grigia” di Gérome, caposcuola dell’art pompier
francese, che in una singola immagine mostra perfettamente il potere di Padre
Giuseppe da Parigi, l’influentissima e dimessa ombra di Richelieu alla corte di
Francia.













Il cardinale di ascendenza
egizia (che mi fa sempre pensare al Ratzinger di Guzzanti: e dopo questa storia
ancora di più) vede svelate le proprie origini con un plot twist abbastanza
sorprendente per la radicalità della soluzione messa in campo, che si sbarazza
di ogni possibile posizione “di compromesso” nell’immagine negativa della
Chiesa che viene proiettata su tutto l’albo. La cosa interessante è che, fuori
della metafora fantastica, l’ipotesi sulle sue origini ha un qualche fondamento
speculativo: dopo aver letto l’albo, andatevi a rivedere Amenofi IV, il culto
di Akenaton e ciò che ne dissero Freud e Jung. Questa estrema libertà espressiva
sui temi religiosi, presente in tutta la serie ma qui condotta all’apice, è il
motivo forse più intrigante di questa serie, e forse anche quello più
promettente per speziare le eventuali derivazioni future (in un contesto molto
diverso ma in questo stesso periodo, mi è venuto di osservare che una simile
libertà espressiva si riscontra anche in un fumetto come “La fine della
Ragione”
di Recchioni autore completo: segno di una nuova maturità e
indipendenza del medium).













Salvo il frequente uso di
tavole a taglio orizzontale, tipiche di Caput Mundi e della “nuova narrazione
italiana”
in generale (forse per la suggestione “cinematografica” che evocano),
la griglia è abbastanza vicina a quella tradizionale italiana nelle parti meno
d’azione, mentre è sempre più evidente l’utilizzo di una griglia “non
ortagonale”
ad accompagnare le sequenze di azione, rese con un dinamismo molto
forte per la tradizione italiana, tra cui spicca un ottimo uso delle linee
cinetiche accompagnato al taglio “americano” delle tavole, che è indubbiamente
il punto di forza di Moroni.





Siamo davvero vicini a un
fumetto supereroico: non tanto il supereroismo classico, ma quello
sovrannaturale rivisitato, per dire, dalla Vertigo, o da certa Image, dato che
non di eroi trattiamo, ma di “mostri”, fisici e morali. In tutto questo – come
per altre recenti produzioni Cosmo, tipo “Un eroe una battaglia” – si sente
spesso come il bianco e nero (pur appropriatamente usato) possa costituire una
parziale limitazione. Se è perfetto, infatti, per un orrore tutto sommato
classico (un Dylan Dog di Stano, Dell’Agnol, Roi, per fare qualche esempio: ma
anche di un Pontrelli, per citare un autore recente), il cinetismo di questa
azione esasperata sarebbe davvero interessante in una declinazione a colori

(certo, immagino non facile per ragioni produttive).













Oppure – come mi è già
capitato di accennare – viene da pensare a un “nuovo cinema inferno”, meglio
ancora a una nuova serialità televisiva, che sappia raccontare gli orrori dei
“Nuovi mostri” della nostra società non solo nell’eterna tradizione
neo-neo-realista, da “Gomorra” a “Suburra” alle varie incarnazioni di “Romanzo
Criminale”, fino al sarcasmo efficace del “Coliandro” di Lucarelli: ma anche
aggiungendo all’azione il registro fantastico, come avviene frequentemente
altrove e come da noi ha tentato con pieno successo solo “Lo chiamavano Jeeg
Robot”













Il materiale presente sarebbe
sterminato: se Battaglia ha attraversato tutti i segreti d’Italia lambendo solo
in parte il tema religioso con lo scontro con Padre Pio, La Mummia diviene un
magnifico villain, un Marcinkus occultista in grado di estendere le sue spire su
Roma e sul mondo, ma consapevole di un gioco più grande perfino di lui dove i
“mostri” potrebbero giungere a un rischioso scontro coi “normali”.





Altri affascinanti sviluppi
futuri potrebbero venire da un piano sovrannaturale più alto, con cui la Mummia
pare in contatto (e lo stesso Battaglia ha strappato con la violenza la sua
non-vita alla classica Morte antropomorfa di Recchioni): un paradossale riverbero
di quanto accade, in un cosmo narrativo diverso, nella Londra di Craven Road,
dove da tempo aleggia sullo sfondo una regina tentacolare interconnessa a "culti innominabili" lovecraftiani.













Insomma, questa “Caput Mundi”
si chiude secondo i presupposti con cui si era inaugurata, generando un nuovo
universo letterario ricco di possibili sviluppi e reinterpretazioni, con un
ricco patrimonio di rinnovati personaggi orrorifici su cui continua a spiccare
la adorabile, terrificante figura di Pietro Battaglia.















Su Pietro Battaglia Gualtieri
e i suoi hanno edificato una complessa e intrigante cattedrale dell’orrore,
dove i gargoyles classici del mostro della scienza, del licantropo e delle
varie sfumature del nonmorto sono rivivificati dalla collocazione e dall’interpretazione
moderna: non solo nel taglio della storia, ma anche in una nuova, e francamente
liberante, libertà nel gestire i contenuti, senza i limiti spesso attribuiti al
fumetto per il presunto “pubblico giovanile” di default. Diego Cajelli, tra i
migliori sceneggiatori italiani del nuovo fumetto popolare, affermava una volta
sul suo blog di invidiare Alan Moore per “quello che gli lasciavano dire” in
Neonomicon. Ecco: non tanto sul profilo erotico (come in Moore), ma su quello
religioso, la libertà espressiva qui sembra essere stata ampiamente raggiunta. Non
resta che attendere di vedere se “Su questa pietra” sorgeranno ulteriori e
avvincenti diramazioni di questo nascente labirinto narrativo.





Credits


A cura di: Giulio A.Gualtieri


Testi: Giovanni Masi, Dario
Sicchio


Disegni: Elisa Di Virgilio
(layout), Alessio Moroni, Federico Butticé (sfondi da pagina 100), Andy Pompeo
(Flashback da pag.114 a pag.118)


Cover: Marco Mastrazzo


Lettering: Maria Letizia
Mirabella


Ufficio Stampa: Maria Rosaria Giampaglia