Dylan Dog Color Fest 24 - Strani Giorni





LORENZO BARBERIS



Il Color Fest 24 uscito lo scorso 5 febbraio 2018 si apre con una bella cover pittorica di Werther Dell'Edera, che ricorda vagamente certa grafica espressionista anni '20 e '30, applicata talvolta anche alla pulp fiction (che di solito preferiva il liberty). Uno stile molto pittorico, che anticipa in questo, come vedremo, la storia d'apertura di Alessandro Baggi.



Il titolo, invece, non può che farci pensare a "Strange Days" della Bigelow, film di fantascienza inquietante e blandamente cyberpunk, ma anche all'omonimo album dei Doors del 1967. Non comunque riferimenti diretti, ma suggestioni di un certo clima appunto straniante e surreale che percorre tutto l'albo. (Possibili spoiler, as usual. Consiglio di leggere prima il numero in questione).









La storia di testa spetta a "Di mostri, incubi e ragazze", con un Alessandro Baggi autore completo e tavole profondamente pittoriche che ben si adeguano allo spirito sperimentale sul colore del Color Fest della gestione di Recchioni, come il curatore chiarisce anche nella prefazione.



Baggi, su Dylan Dog, era apparso su un Old Boy (vedi qui) dove si era fatto apprezzare per un segno dettagliato e minuzioso, e soprattutto aveva curato i disegni del regolare n.351, il primo di Ratigher: albo profondamente autoriale, dove il segno preciso e quasi paranoide di Baggi era stato determinante nell'efficace straniamento della storia (vedi qui).











La dimensione di autore completo consente a Baggi la massima libertà nel dimostrare la sua indubbia maestria sulla tavola: se da un lato in queste sedici tavole dipinte ad acrilico e tempera c'è uno stile nel complesso tradizionale (che ricorda in parte anche lo stile delle cover della prima ondata orrorifica del "fumetto nero" degli anni '60), ma si colgono anche citazioni molto evidenti alla storia dell'arte più recente, in un melange di grande potere visivo: non tanto citazioni espliciti, inserti tutto sommato più agevoli, da decalcomania, ma una comprensione di stilemi che Baggi rielabora e adatta ai suoi scopi narrativi. Su FB Baggi cita Basquiat, io ci vedo molto Francis Bacon e Lucian Freud, ci sono indubbiamente inserti pop-art come quello di Hello Kitty e più di un occhio di riguardo agli informali italiani: ma, appunto, trattandosi di una rielaborazione profonda non è così importante la caccia alla citazione precisa, quanto il melange che ne risulta. 











La storia è - legittimamente e, in sedici pagine, giustamente - al servizio di questa sperimentazione, una classica storia onirica alla Dylan, secondo una consolidata tradizione del personaggio (molte anche le citazioni ai grandi classici, dallo "spettro sumero nel frigorifero" che Sclavi aveva rubato a Ghostbuster, a stilemi alla Dellamorte Dellamore nel rapporto con la ragazza dell'albo). Ovviamente il punto di forza è, come detto, la notevole resa visiva. 

Moltissime splash page, molte con inserti di altre vignette come strappi nella carta, ma anche tavole dalla gabbia (e anche dal segno) tradizionale che creano un paradossale contrasto.



A questo punto, mi interesserebbe davvero vedere un Alessandro Baggi a colori all'opera sul lavoro di uno sceneggiatore altrettanto sperimentale (un bis di Ratigher, o altra combine di tal tipo), su una dimensione "lunga".

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La seconda storia, "Spazio sotto sfratto", come chiarito da Recchioni stesso in prefazione, spezza il mood puramente sperimentale dell'albo per offrire una storia più "classica", per certi versi, anche se classica nel senso del nuovo corso dylaniato. Soggetto e sceneggiatura di Dennis Casale, con Gianluca Acciarino ai disegni, coi colori di Andres Mossa. Casale, al suo esordio sulla testata, sviluppa una storia interessante, sempre onirica, ma di un onirismo diverso da quello di Baggi: se là il fulcro era la sperimentazione visiva, qui diviene l'annuncio, anche sul Color, del profilarsi del Ciclo della Meteora. 




Dopo una splash iniziale all'apparenza classicissima (l'attacco del mostro) il rovesciamento nella seconda pagina ci mostra subito che siamo dalle parti dell'albo surreale (il libro "The laugher" sul letto di Groucho in 21.i rimanda solo al suo ruolo di "uomo che ride" o è una citazione precisa? nel caso, non sono riuscito per ora a scovarla).



A p.22 la citazione del professor Knock ci colloca ancor più precisamente sulla scia di Tre per Zero e similari, capostipite di un ciclo di paradossi spaziotemporali legati anche allo spazio profondo, che ben si collegherebbe al ciclo della Meteora in arrivo. La Londra paradossale in cui si aggira Dylan rimanda a un grande classico sclaviano, le realtà alternative (che anticipava già gli esiti di Tre Per Zero già nei famosi "primi cento"), e perfino chiamare il professor Everett a spiegarle può sembrare un rimando ai classici (l'ispirazione di Dylan a Rupert Everett, ovviamente più evidente ai tempi della fondazione, quando l'attore tra l'altro era apparso anche in Dellamorte Dellamore ad intepretare sul grande schermo il personaggio romanzesco sclaviano che anticipa Dylan).











L'albo poi, dopo aver suggerito, non si sbilancia e ritorna nei canoni dell'assurdo metafisico, fino alla sequenza onirica che, stavolta, sembra citare invece elementi della "nuova tradizione": la caduta nel gorgo del buco nero ricorda proprio "In fondo al male" di Baggi e Ratigher, albo chiave della caduta-rinascita del personaggio, mentre il Dylan-Starchild rimanda a "Spazio profondo" di Recchioni, albo avvio del rinascimento dylaniato, e anche al recente Sclavi di "Nel mistero" (vedi qui). Il fatto che il clarinetto sia l'oggetto-chiave per aprire il buco nero fa ripensare anche alla riscrittura del numero uno operata da Recchioni, dove tale strumento è stato esplicitamente reso di tipo magico (tra l'altro, proveniente da una combine Xabaras-Safarà, da cui, c'è da scommettersi, arriva anche il quadro maledetto al centro della terza storia).



L'impostazione di tavola, i disegni e la colorazione, pur nella resa assolutamente professionale ed efficace, sono qui giocati in modo piuttosto tradizionale, staccando (come detto anche da Recchioni) dal mood sperimentale. La necessità della continuity (sempre molto dilatata, ma forse non così più blanda) prevale sull'uniformità stilistica in senso stretto, in questo caso.









Chiude l'albo la storia di Michele Monteleone per i disegni di Giulio Rincione, che vede una sinergia tra sperimentalità dei disegni e continuity della narrazione. La porta con cui si apre la storia parrebbe essere quella evocata nel lontano set up del finale L'uomo dei tuoi sogni di Paola Barbato (355, p. 87-88), connessa a una importante scelta futura di Dylan Dog.



Qui ci viene introdotto un artifatto magico importante, un grande classico accora non apparso in Dylan (ne aveva trattato ai tempi Martin Mystere): l'Isola dei morti di Bocklin, che ossessionava Hitler e il nazismo esoterico (altro tema che ultimamente ritorna molto in Dylan...), portale verso la dimensione infera che il quadro, nella lettura dylaniata, permetterebbe di raggiungere.



Il confronto tra Bocklin e Rincione è particolarmente appropriato, perché lo stile del fumettista, sia pure molto più astrattizzante e geometrico nelle forme, ha indubbiamente un suo debito con quella scena del decadentismo europeo fin du siecle. Colpisce l'elegante scelta cromatica del giallo, colore apparentemente solare ma, appunto, amato dal Decadentismo (e Rincione è molto abile a dargli la giusta intonazione "decadente" che pervade l'intero albo). Il montaggio di pagina è quello del "nuovo canone bonelliano" codificato da Recchioni su Orfani e, più prudentemente e gradualmente, su Dylan: griglia tradizionale mixata ad ampie splash page, su cui talvolta sono inserite vignette minori che portano avanti la narrazione. L'orlo nero della tavola è mi pare un tratto presente spesso in Rincione, che dà ovviamente grande risalto alle scelte cromatiche; ma è anche tipico (non sempre) delle "discese nel sottosuolo" del nuovo corso dylaniato (in primis, il western sull'Old Boy autunnale; ma mi pare anche altrove).



La riscrittura di Orfeo ed Euridice è quasi obbligata (in certi modi frenetici di sviluppare la corsa agli inferi, viene da pensare anche a un videogame orfico come "Don't Look Back"); fa capolino l'albero delle pene che Recchioni ha introdotto in ogni sua opera, e ora anche in Dylan (da Mater Morbi in poi) e anche Hyeronimus Bosch è un riferimento appropriato, e ben giocato. Interessante anche l'interconnessione con la storia personale della Trelkovski che fa entrare in continuity addirittura un numero lontano come "Frankenstein!", il n.60 (albo che mi è caro perché, sulla posta della seconda ristampa, apparve una mia riscrittura orrorifica di Carducci: ma questo è marginale). Se da un lato poi l'albo è un pay off della porta infernale e della scelta drammatica presentata ne "L'uomo dei tuoi sogni", i nefasti effetti di quanto fatto da Dylan e Trelkowski sono ancora aperti come set up di futuri sviluppi.

Insomma, un Color Fest decisamente interessante, che continua sottilmente ad alimentare l'hype per l'imminente stretta continuity del Ciclo della Meteora, mantenendo al tempo stesso la dichiarata alta sperimentalità di questa testata, la "rivista d'autore" di Recchioni curatore. E nel prossimo Color, si annuncia il ritorno del ciclo dei Conigli Rosa di Mignacco, che effettivamente si presta perfettamente a una resa a colori.