Fondazione Babele





LORENZO BARBERIS



Avevo recuperato da un remainders, qualche tempo fa, questo meraviglioso volume sulla Fondazione Babele uscito in origine su Cyborg, nel 1991. Erano gli anni in cui iniziava il countdown verso il millennio, il cyberpunk ufficialmente finiva con "La macchina della realtà" di Gibson e Sterling (che provocatoriamente avviava il cyberpunk) ma la nascita della rete internet e dell'informatica di massa anche in Italia creava le condizioni per la diffusione di tali concetti.



In assenza di un cinema di genere fantascientifico in Italia (l'unica isolata eccezione fu il Nirvana di Salvatores sei anni dopo), fu il fumetto a guidare in Italia tale rivoluzione, con Nathan Never in Bonelli e la rivista Cyborg, molto più sperimentale, nella tipologia ormai in declino della rivista-contenitore.



Fondazione Babele di Massimo Semeraro, per i disegni di Marco Nizzoli, era una delle serie di punta della rivista. Complice una fastidiosamente lunga malattia, ho avuto modo di rileggere finalmente con calma il corpus completo della serie.



Molto interessante è ovviamente la scelta di liberarsi dello stereotipo dell'investigatore privato, l'eterno "western futuribile" contro cui ai tempi si scagliava già Galaxy nei '50 (tra l'altro, nel Cyber la soluzione era quasi obbligata, teste le lezioni autorevoli di Blade Runner al cinema e l'Incal in fumetto).



I protagonisti sono infatti i quattro membri di un futuro collettivo artistico, coinvolti in avventure estreme per restare sempre sulla cresta dell'onda. Il pittore Squalo, l'insicuro, tossicomane e bulimico scultore Kurt, l'electronic artist Mitshuiro e la diva Rosa Casta (la cui pettinatura, nel corso della serie, si evolverà gradualmente verso una palese struttura fallica) sono i protagonisti di questa - efficiente - armata Brancaleone dell'arte hightech.









Non mancano ovviamente le suggestioni: vistosissima la derivazione da Moebius, dall'Incal ad Arzach, al Garage Ermetico; ma non manca un buon inserto dei manga (che in quegli anni stavano ottenendo un primo boom di successo in Italia, sulla scorta di una generazione di bambini educati dagli anime di Mediaset che, divenuti ragazzi, li ricompravano su carta) soprattutto tramite il giovane Mitshuiro, vagamente alla Akira ma senza superpoteri e superproblemi.



Se questo però influisce soprattutto sull'aspetto visuale, dove Nizzoli riuscirà a creare in breve una sintesi mirabile di tali principali riferimenti, nei temi viene in mente soprattutto un telefilm come Max Headroom, dove i protagonisti sono direttamente operatori dei media. Anche qui è centrale infatti la scena mediatica dove i nostri combattono come spietati gladiatori dell'immagine. E per certi versi, non si può non pensare anche a un modello italiano come il Ranxerox di Liberatore, che nel finale del primo volume si trova coinvolto anch'egli nel circo mediatico di Mr. Volare.



Su tutto, Semeraro sparge a piene mani sottili riferimenti alla pop-art che, in modo sempre più parossistico, è in effetti il paradigma dominante (e presumibilmente lo resterà ancora, anche in futuro) con la sua mediaticità e voglia di stupire. Le lattine-robot Campbell autopercussioniste sono una citazione esplicita, ma su tutto aleggia questo spirito (che sarà ripreso anche in uno dei migliori Nathan Never, "Bauhaus Killer" di Stefano Piani.







Interessante anche la contaminazione con Francesca Ghermandi e il suo Helter Skelter, particolarmente brillante e sperimentale anche in virtù della profonda differenza di stili che, tuttavia, vengono perfettamente interrelati con la soluzione narrativa adottata, che ricorda una specie di Roger Rabbit ipertecnologico e tutto fumettistico.







In conclusione, la ovvia nota dolente: quella di Cyborg e quindi anche di Fondazione Babele fu una stagione brevissima del fumetto italiano. La forma rivista era ormai giunta alla sua conclusione, almeno come struttura puramente fumettistica, nonostante Cyborg cercasse di ampliare a una visione culturale a più ampio raggio (una specie di Linus dei mirrorshades: oggi, fosse sopravvissuto, poteva essere un Wired apocalittico anziché integrato).









Lo stesso Nathan Never, pur sopravvivendo fino ai nostri giorni (in cui convive in Bonelli, dal 2013, con l'innovativo Orfani di Recchioni), attenuò il cyberspazio in favore di una scientifiction più ad ampio raggio, anche più tradizionalmente spaziale.

Fondazione Babele, con tutto Cyborg, mantiene il fascino inarrivabile del futuro che non è stato, un continuum di Gibson in salsa italiana che resta, comunque, nella storia del medium e che spero possa servire in futuro da modello alle nuove leve del cyber italiano, ormai realismo alla Black Mirror più che fantascienza futuribile, mentre il 2019 di Blade Runner è praticamente alle porte.