Lo Zagor di Jovanotti - Recensione







LORENZO BARBERIS





Per quanto sia appassionato del fumetto bonelliano, non ho mai seguito in modo sistematico Zagor: un po' per l'umana impossibilità di leggere tutto, un po' perché - generazionalmente - sono cresciuto con un'altra stagione del fumetto di casa Bonelli, quella di Martin Mystere, di Dylan Dog (soprattutto) e Nathan Never, dove divenivano preminenti tematiche fantascientifico-fantastiche. Comunque, la mia formazione alla Bonelli è iniziata alle elementari con i Tex e gli Zagor letti dal barbiere (da cui il titolo e il relativo spiegone di questo blog, al di là del mio cognome), dove preferivo nettamente il secondo per la presenza di temi fantastici che già allora incontravano più il mio gusto (su influsso, forse, del cartoon giapponese).













Zagor (1961) di Sergio Bonelli infatti, rispetto allo storico e fondante Tex del padre Gianluigi (1948), ha avuto il merito di ampliare lo spazio del fantastico contenuto seminalmente già nello storico western, nelle storie legate a Mefisto per quel che concerne l'horror e a rari excursus nella science fiction. Proprio Zagor fonda forse quel concetto bonelliano di "genere attraverso i generi" che caratterizza l'editrice, dove la vitalità delle singole testate dipende spesso da un mash up tra un macro-genere di fondo e le singole avventure, a volte concordanti, a volte discordanti con lo stesso (per limitarci a Dylan, abbiamo oggi un ciclo western-horror legato ad Halloween, un ciclo fantascientifico del Pianeta dei Morti, e la consueta alternanza di thriller-horror-giallo sulla regolare).





Vitale ancora adesso - come Tex, d'altronde - di Zagor ho scritto in occasione di Zenith 666, intersezione con l'universo narrativo di Dylan Dog, primo assaggio della nascita graduale di un Bonelliverso integrato (sembra che a breve seguirà un incontro con la fantascienza spaziale d'antan di Brad Barron, serie conclusa che vede però ancora occasionali storie ambientate in quell'universo narrativo).













Quest'ultimo numero però l'ho voluto prendere per la sua connessione con Jovanotti, al secolo Lorenzo Cherubini, cantante verso cui ho un rapporto ambivalente: pur essendo forse il massimo cantastorie della mia generazione e pur apprezzandone alcune liriche, non è per me così identitario come altri autori italiani (CCCP-CSI, Subsonica, per citarne due). Però - forse per l'omonimia che ci accomuna - mi ha sempre almeno incuriosito, e quindi ho preso quest'albo più che altro per lo speciale col soggetto di Michele Masiero (apprezzabili alcuni suoi Dylan della lunga era "di transizione" del personaggio) e la sceneggiatura di Moreno Burattini, curatore della testata (di suo ho recensito e molto apprezzato la magistrale rilettura dell'inferno per Dampyr, qui).





La storiella di trenta pagine dedicata al Lorenzo nazionale è decisamente godibile, anche per l'abilità degli autori di introdurre i temi e i personaggi zagoriani essenziali a chi li ignora sfuggendo un didascalismo eccessivo, ma rimanendo chiaro e leggibile. Una nitidezza cui si accomuna anche il disegno di Walter Venturi, bravo nell'amalgamare l'inconsueta fusione di presente e passato.













L'espediente è infatti quello del viaggio nel tempo (onirico o meno che sia) per cui è proprio il nostro Jovanotti che ritorna nel passato (e non una sorta di sua reinvenzione "all'epoca di Guitar Jim). La necessaria chiarezza evocata prima fa sì che la storia sia lineare e semplice, anche dato il numero limitato di pagine, ma efficace nella sua rigorosa griglia bonelliana. Basta del resto la complicazione di questo team up a lunghissima distanza temporale (e non solo) per rendere la novella un piccolo pezzo di bravura. Tra l'altro, apprezzabile il fatto che Jovanotti (grande fan di Zagor, da cui l'incontro) ne esca come personaggio simpatico ma non incensato con piaggeria, bensì trattato con il giusto piglio ironico (notevoli le mille citazioni delle sue canzoni, che tessono una ideale colonna sonora, e gli indiani stremati dalla sua continua, entusiastica esaltazione del loro stile di vita).





Si lascia intendere con l'ultima vignetta un possibile incontro con Mister No, sempre lontano temporalmente (anni '50) ma più intersecabile forse come narrazione con qualche espediente anche meno radicale.










La banda degli spietati, di Antonio Zamberletti (testi) e Mauro Laurenti (disegni) è un buon western tradizionale, inserito in un ciclo più ampio ma complessivamente leggibile, ricco di azione e decisamente dalle parti del western realistico. Anche qui, la griglia, la narrazione e il segno sono riuscitamente tradizionali: da lettore meno assiduo di Zagor colgo, rispetto ai ricordi d'infanzia, un'azione più frenetica e a tratti leggermente più "violenta", sulla falsariga del "nuovo western" che ha un suo successo su Netflix e altrove (da Godless a Desperation, passando - qui sì ci sarebbe materiale zagoriano - per il Westworld di Nolan). 










Albo apprezzabile, dunque, anche se meno nelle mie corde rispetto alle storie fantastiche di Zagor che suscitano più il mio interesse. Il tentativo di connessione con big reali, che non è stato esente da critiche online, mi è parso nel complesso interessante, e non mi dispiacerebbe del tutto (a saperlo riproposto in Bonelli, o come "storia breve" quasi extracanone, come questa, o con un più solido background narrativo. Del resto, ai tempi, già Dylan aveva fatto un incontro con Baglioni, mentre gli 883 lo corteggiavano a distanza con il video de "Il grande incubo".