Dylan Dog Color Fest 25 - I conigli rosa muoiono / Recensione







LORENZO BARBERIS





Il recente Dylan Dog Color Fest n. 25 riprende uno dei primi celebri numeri del personaggio, "I conigli rosa uccidono", il numero 24 della serie (fosse stato il color 24 avrebbe creato un parallelismo ancor più perfetto). Tornano sulla scena del delitto, a 30 anni da quel 2018, lo sceneggiatore Luigi Mignacco e il disegnatore Cesare Valeri: manca Luigi Piccatto, ma si aggiunge alla colorazione Sergio Algozzino










Le avventure del Pink Rabbit assassino sono perfette per una rappresentazione a colori, che può esprimere alla perfezione il "mondo delle ombre colorate" da cui proviene. Questa prima versione a colori è dunque particolarmente interessante. La prima tavola (p.3) riprende la cover del fumetto originale, con un Braccobaldo / Dylan decisamente azzeccato, che fa subito una prevedibile brutta fine. Sullo sfondo, numerosi cartoni famosi: Flintstones, Topolino, Duffy Duck, Pippo, Jerry di Tom e Jerry, un puffo e dei non meglio precisati "Pigs".





Il disegno di Valeri è molto cartoonesco per tutto l'albo, salvo nelle sequenze del mondo reale che assumono invece, per contrasto, un aspetto molto verosimile anche per l'assenza, come diremo, del segno di contorno (per quanto anche lontane da un segno fotorealistico). La colorazione di Algozzino procede per grandi campiture piatte in un prevalere di sgargianti colori primari (e, senza dire di più, i tre colori primari avranno anche un esplicito ruolo nella storia), riuscendo ad evocare la duplice sensazione di un mondo cartoonesco infantilizzante ma lisergico al tempo stesso.





















Dopo una sequenza frenetica e cartoonesca, si giunge alla svolta narrativa preannunciata dal titolo: un cartone animato muore, e la cosa produce l'intervento del poliziotto, l'Agent Abbot, arcinemico di Pink Rabbit (derivato da Bugs Bunny, riprende la dinamica col cacciatore Taddeo). Va ricordato che Pink Rabbit anticipa un film d'animazione disney come "Chi ha incastrato Roger Rabbit?", del 1992. Sarebbe suggestivo pensare che i Disney Studios, venuti a sapere del fumetto - in fondo il creatore del coniglio assassino è, nel fumetto, tal Mr. Sidney, evidente parodia e anagramma di Disney - abbiano deciso di prendersi l'idea, citando i citazionisti (e non in giudizio).





Jena Jones è una gustosa variazione di Indiana Jones (un topo-Jones appare, del resto, nel sequel di Bianca e Bernie disneyano)














Non so se sia anche una citazione più precisa, ma l'incontro di Dylan con il pinguino pistolero (da 18 in poi) in un west cartoonesco ricorda - a parte l'esplicito rimando a Will E. Coyote - in molti aspetti lo stile di Giorgio Rebuffi, maestro del western comico con un'opera come Lo sceriffo Fox, un astuto corvo: fumetto del 1948 che segue di poco la creazione di Tex, e si distingue per uno stile particolarmente avanzato.



In 26, invece, è evidente il richiamo appunto di Roger Rabbit, tramite una pupa cartoonesca già incontrata in precedenti avventure. 













In 31, una spruzzata di metaletterario ricorsivo è inevitabile, data la natura postmoderna del nuovo corso: e così si evocano anche gli appuntamenti precedenti della serie, il numero 107 e l'almanacco della paura 2009 - rinforzando anche, a suo modo, la blanda continuity di questo filone.



Lo stacco al bianco e nero è decisamente efficace, e riprende uno stilema impostato da Recchioni su Orfani: pagine in bianco e nero in un albo a colori, per segnare un diverso piano di realtà. Qui non si adotta, come là, il B/N integrale, ma una mezzatinta che accentua ancor di più il senso di "realtà" di queste tavole, prive di segno di contorno (ma, forse, il puro, classico bianco e nero bonelliano sarebbe stato un salto ancora più netto).







Il tricheco di p. 35 rimanda al personaggio di Alice, che richiama abbastanza anche nell'aspetto (solo più snello).



Aggiungo qui una breve parentesi non sviluppata nell'albo (poteva essere interessante qualche rimando): la storiella in rima originale di Carroll (del 1872, in Alice attraverso lo specchio), attrasse notevole attenzione per il suo possibile significato "esoterico" (vedi qui il testo). Disney la volle inserire nel suo Alice in Wonderland. Il tricheco sarebbe Budda, mentre il carpentiere Cristo: la fiaba, che all'apparenza riprende la struttura di Cappuccetto rosso (quella originale, senza ritorno in vita), assume così un possibile significato inquietante della religione come vampirismo psichico.



Tornando alla storia, mi sarei dunque aspettato un plot twist legato al tricheco, ma questo non avviene (o viene conservato per future storie?) e Dylan risolve l'enigma della morte dei cartoon in modo decisamente più semplice, che non sto ovviamente a svelare.



Un divertissment gustoso, quindi, in attesa del prossimo Color a tre storie, il prossimo 9 agosto in edicola.