Dylan Dog 381 - Tripofobia / Recensione.









LORENZO BARBERIS



Uscito il 30 maggio 2018 il 381 di Dylan Dog, incentrato su una nuova forma di fobia emersa recentemente, la Tripofobia, la paura dei buchi. Un albo quindi anche educativo, che insegna qualcosa e farà piacere al nuovo ministro dell'istruzione, il quale aveva in precedenza effettuato la classica dichiarazione per cui un buon libro è meglio di un fumetto. Possibili blandi spoiler proseguendo nella lettura, ovviamente.



L'albo vede l'esordio alla sceneggiatura di Giovanni Eccher, che opta per un esordio piuttosto morbido e tradizionale, affiancato dai disegni di Davide Furnò e Paolo Armitano, che bene si sposano a questa lettura del personaggio. Più classica rispetto a virtuosismi passati anche la cover di Gigi Cavenago, con il classico Dylan minacciato dal mostro, che in qualche modo mi ricorda il "Benvenuti a Wickedford", ancora di Stano.











I disegni sono infatti ovviamente particolarmente importanti in un albo basato su una paura visuale come la tripofobia, e il segno elegante dei due autori fa il suo mestiere nell'evocare una sottile sensazione di fastidio - magari autoindotta, per un po' di classica ipocondria - nelle texture di fori ricorsivi che appaiono all'interno dell'albo.



Un pattern disturbante cui fa da contraltare, correttamente, un segno pulito, essenziale, senza eccessivi dettagli, cosa che permette di dare particolare risalto ai pattern ossessivi della tripofobia. Un tratto anche piuttosto algido, con un'espressività dei personaggi tendenzialmente piuttosto fredda e trattenuta (mentre la tripofobia si associa anche alla paura dello sporco, evocata dalla porosità dei piccoli fori).



Il contrasto di bianchi e neri è nitido e contribuisce a una certa eleganza dell'albo, basata su contrasti chiaroscurali piuttosto netti ma sfumati qua e là dall'uso di mezzetinte.











L'inizio della storia è molto classico, come sarà nel complesso tutta la narrazione: Dylan porta la fidanzata del mese a un concerto presso un centro sociale ispirato a un luogo reale, il Mereway Day Center (p.7.i), come anche i graffiti di Hertz (6.iii).



Il punk fan di Dylan ha un curioso tatuaggio sulla tempia, una stella sormontata da tre stelle minori (p.8). Chissà se in futuro ne sarà svelato il significato. Torna il tema metafumettistico della notorietà di Dylan su internet,che del resto era già stato introdotto nell'era Gualdoni con "Il delitto perfetto" (302).



L'albo è tra l'altro ricco di piccole citazioni visive correlate all'immaginario dylaniano, musicali e non, a partire dal tipo con la maglietta dei NOFX a pagina 9. Non sto ad elencarle tutte, lasciando il gusto di scoprirle ai lettori (non sono in sé troppo criptiche, del resto): cito solo, perché interessante in relazione alla storia (e questa sì, un po' più dissimulata) "The Devils of Loudun" (1952) di Aldous Huxley, uno studio sulle possessioni che ha delle possibili attinenze col tema dell'albo.



Ad ogni modo inizia il concerto psichedelico con visual tripofobici e (dopo una bella splash in 12) la Lydia di turno si sente male.









Nel prosieguo dell'albo, la tripofobia viene a fondersi con un rimando piuttosto appropriato all'orrore lovecraftiano. Accenni sporadici sono presenti da sempre in Dylan, a partire dall'apparizione di Lovecraft in Cagliostro!. La testata dell'era sclaviana però ha prediletto sempre altri rimandi, da Poe a King passando per Romero, mentre il reboot di Recchioni ha in effetti rispolverato - per ora, sullo sfondo - i tentacoli dei grandi antichi. Un richiamo aperto non è stato effettuato, anche perché, in Bonelli, è più in Dampyr che sono apparsi rimandi esoterici più contestuali (anche se ora i due universi narrativi sono stati connessi da un crossover).



Tuttavia, questa è la prima volta che appare chiaramente evocata una precisa divinità lovecraftiana, con tutto il lore correlato di nomi ed evocazioni. Un'apparizione piuttosto significativa, che forse meritava una centralità maggiore, mentre qui passa tutto sommato in relativa sordina. Può anche darsi che, dato che l'imminente ciclo della meteora si collega al tema lovecraftiano delle storie di John Ghost, si sia voluto iniziare a introdurre quasi subliminalmente il tema. 



A metà dell'albo, quando l'indagine inizia a stringere il cerchio, vengono esplicitamente citati i "Culti innominabili" di Von Juntz (erroneamente scritto "Von Junzt"), con riferimenti puntuali e precisi. Un po' ingenua appare la classica, rivelatrice "illustrazione esoterica" di p.55.iii, meno curata di quanto altre volte fatto.



Non manca nemmeno la "blanda continuity" col numero precedente, con Carter in debito (43) e Rania irritata (44) con l'eroe, tanto da arrivare a un conflitto piuttosto forte e un po' sopra le righe (66-67).



Il musicista maledetto sembra quasi l'ennesima riproposizione dell'avatar di David Foster Wallace (già apparso tre volte in questo ruolo, nei due "Graphic Horror Novel" e in un Maxi), ma forse è solo suggestione della sua frequente presenza nel nuovo corso dylaniato.



La storia procede poi verso la sua logica conclusione, ben orchestrata, e il finale aperto ci fa intendere che la setta legata al diabolico culto potrebbe tornare senza problemi in futuro. 



Nel complesso quindi una storia classica, ben orchestrata, e che oltre a introdurre vistosamente il tema tripofobico fa filtrare più sottilmente molto di lovecraftiano nell'immaginario dylaniato, forse in previsione di future evoluzioni.



Non resta che attendere il prossimo numero, una nuova copertina essenziale di Cavenago con tanto di esoterica Rosa Rossa.