Dylan Dog - Profondo Nero (recensione)





LORENZO BARBERIS



Con questo numero 383, uscito il 28 luglio 2018, arriva in edicola "Profondo nero", storia di Dylan Dog scritta dal massimo maestro dell'horror cinematografico italiano, Dario Argento, in coppia con Stefano Piani, mentre i disegni sono di Corrado Roi, uno degli autori più evocativi del personaggio. (Possibili alcuni spoiler minori: consiglio comunque, come al solito, di leggersi prima l'albo).



Su Dario Argento è superfluo aggiungere troppo, anche perché è uno di quei rari casi per cui, di un fumetto da edicola, si può citare direttamente la Treccani (vedi qui): naturalmente il titolo cita "Profondo Rosso" (1975), forse il suo film più famoso (ambientato nella mia Torino, tra l'altro), e la copertina argentata di Gigi Cavenago è ovviamente un rimando al nome dell'autore.









Argento del resto nei primissimi anni '90 aveva cercato di cavalcare il successo di Dylan Dog (e degli horror più estremi, antologici, come Splatter) con questa sua testata fumettistica intitolata proprio a Profondo Rosso: quindi un cerchio che si chiude, a suo modo, e magari apre nuove riprese cromatiche (un'idea che ricorda anche un po' il ciclo narrativo dei colori di Cristiana Astori, da "Tutto quel nero" in poi): già qui, oltre a Nero, Rosso e Argento, si evoca il "Grigio" di un nuovo "Mr. Grey".



Se proprio amiamo i simbolismi curiosi, quest'albo esce all'indomani dell'eclissi lunare del secolo, che nella notte tra il 27 e il 28 luglio ha prodotto una eccezionale luna rossa prima della luna nera dell'eclissi.



Interessante anche che il curatore della testata, Roberto Recchioni, vi abbia avviato una sua "trilogia delle madri" (che inevitabilmente echeggia quella argentea, pur essendo poi del tutto diversa) per ora in fieri, con due albi pubblicati di alto livello come "Mater Morbi" e "Mater Dolorosa".



Se comunque Argento non ha bisogno di presentazioni, su Stefano Piani può essere interessante precisare qualcosa in più: in forza a Nathan Never dal 1995, dove realizza una storia notevole come "Bauhaus Killer", collaborando poi con varie testate bonelliane, ma non con Dylan Dog, dove anch'egli è all'esordio. In seguito ha però anche lavorato molto per tv e cinema, collaborando con Argento a una sua opera tarda come "Dracula 3D" (2012). L'autore ha quindi probabilmente operato una mediazione tra Argento e la scrittura del bonelliano, e il risultato è in effetti un albo molto classico.









Azzeccati comunque i disegni di Corrado Roi, che si associano bene alla definizione di "Profondo nero" data dal titolo, con i loro classici, potenti contrasti chiaroscurali, smussati dal caratteristico effetto sfumato.



Pur molto bonelliana nel ritmo narrativo e nel disegno di Roi, che non si scosta dai suoi elegantissimi stilemi, notiamo a livello di montaggio di tavola qualche soluzione eclettica rispetto alla classica gabbia. Non tanto le splash page ormai sdoganate, ma qualche sequenza muta più frequente e ampia del solito (14-18), qualche composizione particolare ma sempre leggibile ed elegante (35, 38, a puro titolo d'esempio).



La storia è collocata temporalmente in modo preciso, come molte nell'ultimo periodo, con riferimento al 2006 (p.5) e al film del Codice Da Vinci (p.7) di Dan Brown, che diviene un riferimento ripreso anche nella trama dell'albo.











Anche il salto al 2018 è apertamente precisato (p.9), e il disguido con il maggiolino di Dylan, che non ha riscontri nella trama, prepara forse la prossima storia di Simeoni dedicata a tale tema.



La mostra fotografica a tema BDSM, significativamente dal titolo "Hell's Gate", in cui Dylan inceppa in seguito a tale inconveniente introduce il tema sadomasochistico che sarà centrale per tutto l'albo, come mostra anche la copertina, che mostra i rituali che Dylan vive in modo onirico.



Ci sono tutti i topoi del genere: il teatro abbandonato, gli occultisti con maschere animali, la ragazza masochista legata alla X-Cross.











Tanto basta per spingere Dylan, sulla scorta delle visioni del suo quinto senso e mezzo, a mettersi sulle tracce di Lais, pseudonimo della modella-prostituta che ella riprende da una celebre schiava greca, immortalata anche da Holbein.















Citazioni colte, quindi, mescolate a quelle ultrapop di rito (Secretary e il modesto 50 sfumature di grigio), con il merito di un rilievo narrativo nella storia.



Nella bella recensione di Garofalo per Nerdcore (vedi qui) si evidenzia come la pratica di attività sadiche anche da parte di Dylan sia in effetti una significativa rottura con l'immagine costituita del personaggio (soprattutto nell'interregno tra la costruzione sclaviana del personaggio e l'attuale "rinascimento dylaniato").



Il tema del whipping boy si connette in modo interessante a questa discesa agli inferi sadiani, particolarmente in virtù della citazione di Holbein: difatti, il pittore operò alla corte di Enrico VIII (di cui realizza il più celebre ritratto) e a dare inizio al mito del whipping boy contribuì molto la ripresa letteraria di tale ambiente nel fortunato romanzo "Il principe e il povero" di Mark Twain, dove il principino figlio di Enrico ne possiede appunto uno.



Inoltre, Holbein ritorna anche nel Da Vinci Code, uno dei riferimenti dell'albo, dove il suo dipinto dei "Due ambasciatori" svolge un ruolo. Del resto, nel volume di Dan Brown ritorna un po' di tutto, incluso uno spiccato gusto per la flagellazione in connessione alla setta di cui l'Albino, antagonista dell'eroe Langdon, è un esecutore (ed è un rimando alla mortificazione corporale dell'Opus Dei, tuttora praticata). Questi riferimenti a quell'immaginario insomma contribuiscono a dare un certo retrogusto esoterico, che amalgama meglio il BDSM all'immaginario dylaniato.



Una storia quindi interessante per il tentativo di rilanciare la testata con queste inedite collaborazioni (in passato, una comparsata di Carlo Lucarelli venne molto meno sfruttata di così), magari anche in vista di una maggiore crossmedialità futura di Dylan Dog. 



Chiudo riportando anche la cover "nuda" di Cavenago, che conferma la sua bravura in pezzi che, forse, sono ancora più belli come pure opere "pittoriche" (sia pure digitali) che non come copertine (dove comunque, a mio avviso, funzionano egregiamente).