Un canone per la Bonelli. Gli anni '60: da Zagor alla Storia del West









LORENZO BARBERIS.



La Bonelli degli anni '60 porta il nuovo segno impresso all'editrice da Sergio Bonelli, salito alla guida della casa nel 1957. Il 1961 è infatti l'anno di esordio di Zagor (1961) da lui creato assieme a Gallieno Ferri come ideatore grafico: l'altra testata Bonelli, con Tex, tuttora operativa, coeva della Silver Age supereroistica. 



E ai supereroi, assieme ad altre cose, guarda la testata. Se da un lato sopravvive il western come fondale, di fatto questo diviene un pretesto per inserti dei vari registri del fantastico, tra horror e fantascienza. I “generi attraverso il genere”, tipici del bonelliano, apparivano già in Tex, con molta più moderazione: se però qui erano variazioni una tantum, in Zagor divengono la norma, l’idea di fondo.












Interessante notare che siamo anche nell’anno di Diabolik delle Sorelle Giussani, che dà la stura ai “fumetti neri” (naturalmente, profondamente diversificati tra loro). Lo stesso anno in cui, tra l'altro, nasce il primo saggio italiano (e forse europeo) del fumetto, "I fumetti" di Carlo Della Corte, che dà l'avvio una una considerazione seria del medium, in parallelo con una sua certa maturità che porta alla nascita del "fumetto d'autore".



Probabilmente è il fumetto nero, più ancora che Zagor, a interpretare al meglio lo spirito dell’Italia non più rurale degli anni ’60, che al culmine del boom economico (1958-1963) ha raggiunto il benessere ma inizia una fase di disillusione rispetto ai vecchi valori perfettamente rappresentati in Tex. In modo analogo, gli anni '60 in letteratura sono l’età di uno scrittore del calibro di Giorgio Scerbanenco, mentre al cinema arriva il poliziottesco: anche se, in questo, letteratura e cinema pop arrivano un po' dopo al successo del fumetto nero. La quadrilogia di Scerbanenco inizia nel 1966; i primi poliziotteschi sono attestati del 1965. 











Se questo stream non viene colto dalla Bonelli, e genererà una fioritura per ora da essa separata, un altro filone cinematografico riprende fortemente (ai limiti del plagio, per Bonelli senior) quell’immaginario western italiano creato da Tex nello Spaghetti Western reso famoso da Sergio Leone, ma che si compone da una rosa molto più ampia di registi. Se da un lato è un merito innegabile di Tex e dell’immaginario bonelliano, ciò mostra anche la sua marginalizzazione, dato che sta solo ora, faticosamente, ottenendo il riconoscimento che Leone ha – giustamente in sé, sia chiaro – ottenuto quasi subito, pur nell’innegabile qualità di Tex nell’ambito fumettistico e il suo valore seminale sul veristico western all’italiana.



A parte Zagor, molte altre testate dei '60 hanno valore di curiosità: ad esempio, nel 1962 - nelle strip di Tex - viene pubblicata di nuovo una storia non-western, I tre marines (1962); mentre nel 1963 arriva nelle edicole il Giudice Bean (1963), prima creatura di Sergio Bonelli, di cui avevamo già accennato. Anche Oliver Bold (1964) disegnato da Dino Battaglia, riprendendo il tema piratesco va di nuovo ad allargare l'orizzonte dal western quasi esclusivo, proprio di molte serie del periodo.











Il tentativo di allargarsi oltre il west passa anche tramite recuperi di produzioni americane, come in fantascientifico Magnus e il supereroico Doctor Solar, nel 1965 (Solar è praticamente un "vero", e non citazionista, Doc Manhattan di Watchmen).



Queste timide sperimentazioni - che non godranno di enorme successo - si accompagnano al rinascimento fumettistico sotto il profilo culturale, che ha in Italia la sua patria e in Umberto Eco il principale mentore. Il Gruppo 63, sorto proprio nell'anno suddetto, ha portato a una nuova riflessione sul post-moderno e sulla cultura pop, in chiave certo ipercritica ma, da parte di Eco, con aperture che si rifletteranno in Apocalittici e Integrati (1964), il primo saggio pienamente accademico (e di uno che diverrà uno dei massimi accademici mondiali) ad occuparsi di fumetto. 



Nel saggio Eco inizierà ad affinare le armi dell'analisi semiotica, che nel decennio successivo svilupperà fino a potersene porre, col trattato generale del 1975, come legittimo fondatore. Fumetto e semiotica iniziano così quel loro rapporto privilegiato che continua ancora oggi soprattutto nella critica "alta", universitaria. 



Nel 1965 la fondazione di Linus (su cui Eco dibatterà con Vittorini, primo intellettuale, nel 1945 col Politecnico, a occuparsi seriamente di comics) darà definitivamente la piena dignità "letteraria" (Eco userà, non certo a caso, questo termine) ai fumetti. Emerge però in Eco, Vittorini, Del Buono una legittima ma innegabile esterofilia: più che al fumetto ci si rivolge - sacrosanto, sia chiaro - ai comics. Il nuovo fumetto italiano che nasce su Linus, Valentina di Crepax, che pone il modello per il fumetto d'autore, guarda al limite al fumetto nero "portato al livello dell'arte" (fuso al limite con la Barbarella francese del 1962), con la piena consapevolezza postmoderna tipica del suo autore. La Bonelli resta, in parte, isolata dal discorso.



Sono anche gli anni in cui la Pop Art di Lichtenstein e Warhol si occupa dei comics americani, certo con atteggiamento fortemente critico verso tale sistema produttivo, ma di fatto - per l'eterogenesi dei fini - in sostanza nobilitandolo. E, curiosamente, anche la ricezione italiana della Pop Art (a spanne: sarei lieto di essere contraddetto) al limite riprende i riferimenti d'oltreoceano.



La cosa è curiosa perché Zagor (anche se, va detto: il solo Zagor) interpreta perfettamente lo spirito pop e postmoderno del mash up, che diverrà poi una caratteristica tipica della Bonelli dagli anni '80 in poi. Tra tutti i successi della Bonelli - e sono, ormai è evidente, notevoli - manca quello di giungere subito a un pieno riconoscimento culturale.











Intanto nel 1966 il trio Esse-G-Esse realizza il suo importante fumetto bonelliano, ancora western (benché nordamericano) con Il comandante Mark (1966). Un buon fumetto di indubbio successo, che dimostra però anche come la Bonelli, per ora, non riesca a uscire dal genere western dove trionfa, ma dove per ora è confinata (per quanto, come detto, Zagor sia western solo all'apparenza: ma un'apparenza comunque necessaria).



L'anno seguente però una svolta significativa è quella compiuta da Gino D'Antonio con La storia del west (1967): se da un lato restiamo nel genere western, dall'altro si passa dal west immaginato e senza tempo di Tex (dove c'è anche spazio per il fantastico, come detto) a un west rigoroso, storico, sia pure letto tramite lo sguardo della famiglia McDonald, che ne attraversa, appunto, la storia. In certo qual modo, è questa la ricezione possibile, in quest'epoca, della spinta del fumetto "autoriale". La Bonelli, tra l'altro, ha sempre adottato una politica "degli autori", riconoscendo il nome dei realizzatori delle storie (anche se, è chiaro, al centro restava il personaggio), a differenza ad esempio della Disney dove i singoli autori dovevano "sparire" nel marchio - e nel mito - del buon vecchio Zio Walt.











Il periodo di transizione dai '60 ai '70 non vede il lancio di nuove testate, pur nella vitalità delle principali ammiraglie finora dette. Sono anni, ovviamente, di enorme trasformazione non solo del fumetto, ma della società italiana. 



Nel 1968 si avvia, è chiaro, il '68, che aprirà una trasformazione più libera nei costumi nel corso degli anni '70, dando fondamento giuridico all'evoluzione avvenuta nel corso del '60, in seguito al boom, a partire dal divorzio, ottenuto nel 1970. Dall'altro canto si sviluppa anche la radicalizzazione degli "anni di piombo", in cui la società viene avvolta nella plumbea cappa del terrorismo rosso, del terrorismo nero e dei loro molteplici manovratori. 



La Bonelli resta nella sua dimensione "di evasione", a differenza del fumetto impegnato (come Linus), ma anche di altri editori che, anche solo per l'ambientare le loro storie nel mondo reale, presentano maggiori intersezioni con il periodo storico, da Alan Ford (1969) a Unknow (1975), ma anche Il Commissario Spada (1970) del Giornalino.



Va rimarcato però un segnale del grande interesse di Sergio Bonelli per la legittimazione culturale del fumetto: quando uno scrittore del calibro di Dino Buzzati realizza il suo "Poema a fumetti" (1969), che corona definitivamente un'età "autoriale" del fumetto, ne acquisisce una tavola per la sede della sua azienda. Prima di vedere un pieno influsso del surrealismo onirico di Buzzati (tutto, non solo del poema, anche di quello letterario) bisognerà attendere gli anni '80, con i mondi onirici di Mystere e Dylan Dog.









Appunti per un canone Bonelli. La serie completa:
(ogni articolo copre una decade della casa editrice).



http://barberist.blogspot.com/2018/08/un-canone-per-la-bonelli-gli-anni-40.html



http://barberist.blogspot.com/2018/08/un-canone-per-la-bonelli-gli-anni-50-da.html



http://barberist.blogspot.com/2018/08/un-canone-per-la-bonelli-gli-anni-60-da.html



http://barberist.blogspot.com/2018/08/un-canone-per-la-bonelli-gli-anni-70.html



http://barberist.blogspot.com/2018/08/un-canone-per-la-bonelli-gli-anni-80-il.html



http://barberist.blogspot.com/2018/08/un-canone-per-la-bonelli-gli-anni-90-la.html



http://barberist.blogspot.com/2018/08/un-canone-per-la-bonelli-gli-anni-00.html



http://barberist.blogspot.com/2018/08/un-canone-per-la-bonelli-gli-anni-10.html


Bibliografia:



Luca del Savio, Graziano Frediani, "Bonelli - La fabbrica dei sogni", SBE 2017.