Dylan Dog Color Fest - Il male infinito





LORENZO BARBERIS



Spoiler Alert, As Usual.



Questo numero 27 del Color Fest dylaniato, uscito l'8 novembre, è ad opera di Carlo Ambrosini autore completo, dalla bella copertina a soggetto, sceneggiatura e disegni della storia all'interno. Solo la colorazione spetta a Francesca Zamborlini, con scelte interessanti nel segno di una resa particolarmente cupa del colore in svariati punti dell'opera.



E cupa è l'opera, a partire dal duro incipit dove si programma la morte della bambina, salvata dal cane nero segnato da una stella che sarà centrale nella narrazione. A p.12 il titolo, "Il male infinito", che ci chiarisce la dimensione cosmica che avrà questa storia di orrori umani e sovrannaturali. Tre tavole pressoché mute (12-14) salvo poche imprecazioni fanno partire la storia, all'inizio apparentemente tradizionale: Cloe giunge da Dylan dopo l'incidente, svelandogli la natura fantasmatica del cane che continua a seguirla (e, può ritenere il lettore, proteggerla: anche, quindi, nello scatenare questo incontro con Dog).











Colpisce, come si era accennato, la scelta di un colore piuttosto cupo, dai colori terrosi, che conferma una narrazione dai toni più drammatici. L'entrata in gioco dell'arcangelo (24-25) rompe la griglia in tavole piuttosto innovative, portando Dylan alla consapevolezza del ruolo sovrannaturale del cane in una connessione col mito biblico. Pur rari, gli angeli agiscono in Dylan Dog saltuariamente, senza che questo indichi una scelta di campo per il fantastico cristiano: appaiono infatti, sullo stesso piano, miti di altri popoli (forse non casualmente, un riferimento all'induismo appare appunto nella storia di Torti e Monteleone sul Maxi in uscita questo mese).



Si ribadisce l'ateismo di Dylan (32), accennato già in altre storie: la sua assenza di fede nel fantastico - il classico scetticismo sul sovrannaturale del personaggio - si estende anche alla sfera religiosa. La citazione de Il navigatore del diluvio (1954, ma pubblicato solo nel 1979) di Mario Brelich è doverosa, a p.79, in quanto questa visione di un patriarca dubbioso proviene di qui. 



Curioso che Brelich, nella sua trilogia biblica, tratti anche di Giuda (notare l'inusuale "Giuda traditore!" a p.16, variazione sul noto "Giuda ballerino!", rimando a Giuda impiccatosi, apparso a p. 14), con un Dupin che indaga sul suo ruolo. L'opera, del 1975, è debitrice della riscoperta della gnosi filo-iscariotica riscoperta da Borges nel suo Finzioni (1947), ma sicuramente innovativa per l'ambito italiano e molto vicina a una certa concezione di Dylan Dog come uno Sherlock Holmes del sovrannaturale in senso metafisico-filosofico.











A p.42-44 ritorna il tema della scienza malvagia carissimo a Sclavi, con il perverso esperimento neurologico che tenta di eliminare l'aggressività dall'uomo, finendo per fargliela rivolgere su sé stesso. Interessante notare che è il tema di Jekyll e Hyde di Stevenson: lo scienziato inizialmente cerca di isolare il lato aggrssivo per eliminarlo.



Mentre la parte investigativo-avventurosa della storia prosegue, notiamo che gli esperimenti sono coperti dal Segretario di Stato inglese (p.52), cosa che si ricollega, forse, all'idea del grande piano di John Ghost al servizio di una deviata corona britannica.



Procedendo verso il finale, vengono aggiunte datazioni più precise: Cloe ha 24 anni (cosa che, per inciso, la renderebbe forse troppo giovane come neurologa già laureata: ma probabilmente si preferisce evidenziare la scansione delle tre fasi della vicenda separate ognuna da 12 anni). I colori terrei e cupi sono ancora una volta bene adatti all'esplosione di violenza da parte di Ken, quella violenza incontrollata che può esplodere verso l'esterno dopo una lunga repressione (e che il progetto cui Cloe partecipa vorrebbe contenere).



Il finale è particolarmente brillante: dopo averci condotti a un passo dal finale più tradizionale (a p.85), Ambrosini sterza verso un finale apparentemente negativo (a un primo livello) e oniricamente raffinato: dopo il suicidio di Bolton, medico schiacciato dai sensi di colpa, Dylan e Cloe sono catturati e condotti anche loro al suicidio da una visione non più di animali (scimmie e coccodrilli, nei due casi che abbiamo visto), ma di zombies; quello di Dylan, compiuto con la pistola, è simmetrico a quello di Bolton. Le due specie rappresentate prima non sono comunque casuali: le scimmie rimandano all'origine darwiniana dell'uomo, opposta al racconto biblico, e il coccodrillo rimanda al "cervello rettile", sede degli istinti di reazione più aggressiva.



Il finale negativo è ribaltato da una ripresa della scena iniziale: tutto quanto avvenuto è solo onirico? O a essere solo mentale è la morte e il suicidio di Dylan e Cloe? Oppure si rappresentano due diversi sviluppi in due realtà parallele? O Dio ha riavvolto il tempo in quanto con Dylan, oltre che con l'Uomo, "non ha ancora finito"? In ogni caso, è una diversa azione di Cloe che segna il differente svolgimento, fermandosi subito la ragazza a soccorrere Dylan, in risposta all'invito del suo cane guardiano. Lo Shard che occhieggia a p. 95 può essere un rimando a Ghost, che qui ha la sua sede.



L'albo si segna quindi come una intensa riflessione sull'ineludibilità del Male, pervasivo in tutta la storia umana, con accenti dolenti non lontani a quelli sclaviani in un albo come "Il male".