Dylan Dog 392 - Il Primordio





LORENZO BARBERIS



Uscito il 30 aprile 2019 il numero 392 di Dylan Dog, "Il primordio", coi disegni di Paolo Martinello per i testi di Paola Barbato in collaborazione col curatore Roberto Recchioni. (ovviamente, da qui in poi possibili spoiler: leggere prima l'albo).



Il ciclo della meteora, che giunge con questo numero al "-8" di countdown, conferma così una ricca presenza di Paola Barbato, autrice storica che aveva già operato su storie cruciali della rivoluzione dylaniata (l'abbandono di Bloch, "E cenere tornerai..."). Del resto, la Barbato, con Recchioni e Michele Medda (che si era poi defilato) era stata l'ideatrice di una prima proposta di rinnovamento dylaniato, che si è poi incarnata nella curatela di Recchioni. 






E ad affiancarla in quest'albo è proprio il curatore Roberto Recchioni, che ha sempre centellinato la sua presenza sulla testata, riservandosi però, logicamente, le storie di svolta. E questa indubbiamente lo è, con la "blanda continuity" che si fa più stringente e accelerata.





Nella sua introduzione, Recchioni cita molti riferimenti propri del Ciclo della Meteora e del suo "rinascimento dylaniato" in generale: Lovecraft, ovviamente, ma anche Grant Morrison, che viene per la prima volta citato esplicitamente (mentre in modo aperto, in "Al servizio del Caos", si era citato Alan Moore). Un riferimento molto interessante, perché palesa la ripresa di una concezione del fumetto come "comics magick", che in Recchioni e i suoi è, credo, solo prospettiva narratologica. E, come vedremo, ha potenzialmente un riscontro piuttosto preciso in quest'albo. 





In più, vi è a mio avviso un riferimento possibile a un terzo maestro del literary magick, Umberto Eco, come vedremo: non saprei nemmeno se sia un parallelismo intenzionale o si sviluppi una simmetria lavorando sugli stessi archetipi, ma era a mio avviso interessante annotarla.





L'albo.













La cover di Gigi Cavenago è ottima, come al solito: oltre all'eterna presenza della meteora in cover, notiamo una impostazione che, sfruttando il tema della curvatura dello spazio-tempo al centro dell'albo, pone Dylan al centro di un globo di luce, sottolineandone la natura sempre più vistosa di Eletto. Lo corona la DYD 666, che già in altre storie ha mostrato un ruolo sovrannaturale (che ricorda un po' quanto avviene in una serie tv "esoterica" come Supernatural), mentre dinnanzi a lui vi è appunto il manufatto su cui si incentra la narrazione. Anche la copia capovolta di "The Sun", che presenta l'avvento della meteora, lambisce la figura di Dylan, con una apparente ambivalenza: "it's coming" la cometa distruttrice, ma anche (forse?) l'eroe in grado di contrastarla (e il valore di annuncio messianico della cometa appare sempre più forte...).



Tre tavole mute all'inizio della storia ci mostrano l'arrivo del manufatto al centro della vicenda; bello il "correlativo oggettivo" tra 7.vi e 8.i, dove il passaggio di tavola è segnato dalla forma simile del manufatto e della bottiglia di ketchup presa da Groucho.



La sequenza successiva chiarisce come la presenza della meteora sia sempre più insistente: assalto ai supermarket come durante la Guerra del Golfo, mentre in TV non manca chi (un politicante che potrebbe quasi ricordare Trump, in 9.v) continua a negare l'evidenza della meteora, come oggi si nega il riscaldamento globale.









La bella splash page di Paolo Martinello a p. 12 (dopo una serie di tavole basate sulla tradizionale griglia) ci introduce agli effetti del manufatto, riecheggiando la cover. Da notare che Dylan, che non ha ancora appreso a maneggiarlo, è qui "fuori fase" rispetto al cerchio creato dalla distorsione spaziotempo. Viene invece evidenziato il sarcofago, che più avanti avrà un ruolo centrale come varco (e che potrebbe essere stato attivato proprio in questa sequenza).



Di qui in poi pressoché in ogni tavola avvertiremo gli effetti della distorsione, con una sfida non indifferente per il disegnatore, che Martinello (che con la Barbato aveva già realizzato L'uomo dei tuoi sogni) riesce a compiere con incredibile, virtuosistica efficacia. Anzi, le tavole fino a 23 servono sì a spiegarci i poteri dell'oggetto, ma ancor più a mettere in scena la potenza visiva della distorsione, oltre l'esigenza esplicativa. Martinello, in recenti interviste, ha precisato le tecniche realizzative, che hanno ovviamente incluso, come ormai è normale, l'uso di programmi informatici di grafica per creare le deformazioni: ma il lavoro risulta comunque impressionante.



Il rimando visivo immediato appare essere quello a Inception, come più avanti, sempre di Nolan, appariranno dei possibili rimandi visivi alla casa di Interstellar; se vogliamo, possibile pensare anche alla serie di The Cube. Tuttavia questi omaggi visuali non devono fuorviare verso un citazionismo derivativo: si tratta solo di possibili declinazioni di un archetipo più ampio del fantastico e della fantascienza che viene qui ripreso. Il merito di Martinello è quello di riuscire a fondere questi rimandi visivi in modo coerente con il suo stile, cupo ma minuzioso e dettagliato, con un certo gusto generale che sembra quasi xilografico.











La meteora di Foucault.



La zona di impatto della meteora, che per la prima volta viene chiarita in Ayers Rock, è molto interessante. Mi ha infatti colpito il parallelo con una centralità esoterica di questo luogo, presente certo in tutta la tradizione della "letteratura iniziatica", anche nel Pendolo di Foucault (scelto anche, probabilmente, perché agli antipodi approssimativi dell'Inghilterra - che nel "Pendolo" si lega all'antagonista, il massonico visconte di Sant'Albano, una delle possibili incarnazioni dell'immortale Saint-Germain).



"Intuivo che un unico piano univa Avalon, l'iperborea, al deserto australe che ospita l'enigma di Ayers Rock." dichiara infatti il protagonista Casaubon; e più avanti, più esplicitamente:



"Gli atlantidi a loro volta avevano appreso tutto da quei nostri progenitori che si erano spinti da Avalon, attraverso il continente di Mu, sino al deserto centrale dell'Australia – quando tutti i continenti erano un unico nucleo percorribile, la meravigliosa Pangèa. Basterebbe saper leggere ancora (come sanno gli aborigeni, che però tacciono) il misterioso alfabeto inciso sul grande masso di Ayers Rock, per avere la Spiegazione. Ayers Rock è l'antipode del grande monte (ignoto) che è il Polo, quello vero, il Polo iniziatico, non quello dove arriva qualsiasi esploratore borghese. Come al solito, e com'è evidente a chi non abbia gli occhi abbacinati dal falso sapere della scienza occidentale, il Polo che si vede è quello che non c'è, e quello che c'è è quello che nessuno sa vedere, salvo qualche adepto, che ha le labbra sigillate."











Mi aveva colpito, nel Pendolo, il fatto che Ayers Rock fosse citato en passant come uno dei due poli mistici centrali, ma poi abbandonato in favore di altri elementi (questo dire e non dire, questo "fare l'esoterico", faceva parte del gioco del Pendolo di Eco, ovviamente). Il collegamento lasciato intendere, ovviamente, è il fatto che l'Uluru è un ciclopico monolite, come i menhir.








Chiesa di San Michele a Glastonbury (identificata con Avalon).



Su Avalon invece (l'isola mistica dove attenderebbe Re Artù dopo la sua apparente morte, per tornare quando l'Inghilterra fosse minacciata), nel Pendolo, si tornava più volte: e il misterioso antagonista "immortale", dalle mille potenziali identità, lo riteneva il luogo della sopravvivenza templare (collegandolo poi all'Ultima Thule, all'Iperborea e a vari miti destroidi).



Il massacro di Coniston ad opera di coloni anglosassoni del 1928 è un fatto storico, e - inserito in questo contesto - sottolinea un elemento esoterico di black magick "suprematista", apparso altre volte nella continuity.



Inoltre, il riferimento a sei "Primordi", sei artefatti in grado di controllare l'equilibrio dimensionale della terra, ricorda da vicino i sei punti in cui era disseminata la mappa templare per il controllo delle correnti telluriche nel Pendolo di Foucault. Lo sviluppo narrativo è totalmente diverso, per cui non è strettamente parlando un caso di ripresa citazionistica: tuttavia è interessante la risonanza abbastanza precisa di certi archetipi (e di archetipi junghiani si parla esplicitamente all'interno della storia).



Altrettanto significativo il fatto che la crisi imminente vede la distorsione del reale certo, ma soprattutto dei grandi landmark verticali che, in una consolidata narrazione "esoterica" ormai divenuta pop culture (anche nel romanzo di Eco), svolgono la funzione di catalizzatori geomantici, sostituendo gli antichi menhir o andando a crearne la funzione laddove sono assenti. Il Big Ben e la Statua della Libertà, che qui appaiono "ripiegati" nello spaziotempo, sono spesso associati a tale ruolo (anche perché è facile azzardarne una derivazione "massonica" in senso lato). E questo ci conduce quindi al tema risolutivo e portante dell'albo.













Il tesseract.



La soluzione del tesseract, davvero brillante, si ricollega in primis a un albo storico come Maelstrom, il numero 63, di Sclavi e Piccatto. Inserito anch'esso nella "blanda continuity" dei primi cento numeri sclaviani. L'elemento è chiarito fin dalla bella cover di Stano, che con un omaggio ad Escher (che affiora qua e là anche in Martinello, oggi) ci mostra la casa inglese di Kim e Cagliostro, con funzioni analoghe a quella dylaniata, anche se poi sviluppate su parametri divergenti. Colpisce, con gli occhi di oggi, la libertà - sacrosanta - con cui si gioca sugli archetipi cristiani: un elemento presente anche nel ciclo moderno di Recchioni, che però gioca di simbolismi molto più sfumati, almeno fino ad ora.











In Maelstrom vi è anche l'esplicito omaggio a uno storico racconto di Heinlein, "La casa nuova" (1941), reinterpretato ovviamente in chiave "esoterica" più che fantascientifica, che costituisce il riferimento primario, in letteratura, al tema del tesseract. 











A mio avviso, benché non sia mai esplicitato a chiare lettere (né in Sclavi, né in Barbato-Recchioni), il tema dell'ipercubo, per il suo carattere cruciforme, potrebbe rimandare anche a Dalì e al suo Cristo Ipercubico, data la valenza cristologica che Dylan sta sempre più caricando su di sé (figlio della Mater Dolorosa, opera un percorso di caduta e redenzione per salvare il mondo da un'Apocalisse...). Dylan, del resto, viene esplicitamente connesso all'Archetipo dell'Angelo Custode, il difensore di questa dimensione (almeno per Londra): un tema che riprende, di nuovo, abbastanza precisamente Maelstrom (rovesciando alcuni ruoli).



Curiosamente, collegandoci al paragrafo precedente, il tesseract ritorna anche nel Pendolo di Foucault. In una conversazione con la fidanzata Lia, il protagonista Casaubon si sente accusare di essere "un tesseract" in modo figurato ed ironico:



"Stai dicendo che sono superficiale?"

"No," mi aveva risposto, "quello che gli altri chiamano profondità è solo un tesseract, un cubo tetradimensionale. Entri da un lato, esci dall'altro, e ti trovi in un universo che non può coesistere col tuo."



Il passaggio è rilevante per il romanzo, perché qui Lia mette in discussione "il Piano" che Casaubon (e l'autore Eco) ha costruito: sembra profondo, ma (come tutto il citazionismo postmoderno) è, anche volutamente, superficiale. Inoltre, tutto il romanzo di Eco è strutturato sullo sviluppo delle Sefiroth, che sono anche state associate, se non a un Ipercubo, perlomeno a un doppio cubo, in ragionamenti esoterici che Eco indubbiamente conosceva (anche se non riprese apertamente: tranne, forse, questo indizio sul tesseract).











Il tema del tesseract, comunque sia, potrebbe avere anche un valore metafumettistico, mostrando l'incastro di vari elementi (citazioni, archetipi, continuity, trama orizzontale, tradizione della serie...) a costruire una narrazione postmoderna.



Se volessimo proprio precisare la metafora, potremmo collocare a un primo livello di superficie le citazioni più spicciole e immediate, a un livello più profondo, tridimensionale, il lavoro sugli archetipi (per la prima volta, nell'albo, si parla esplicitamente di questo concetto, riprendendo tutto un filone dello Jung più mistico). Questi archetipi "tridimensionali" vengono poi ogni volta ricombinati nel gioco del "comics magick", ripiegandoli su di loro nella "quarta dimensione" della narrazione. 



Non a caso, proprio il citato Grant Morrison, per definire lo specifico del suo "comics magick" (rispetto, ad esempio, al rivale Moore), ha coniato il termine "hypersygil", indicando che un "sigillo fumettistico" (un ipotetico artefatto magico, in questo caso in forma di fumetto) ha uno sviluppo narrativo che lo rende più potente dei consueti casi di magia talismanica (condensati in un oggetto fisico inevitabilmente più semplice). E l'Ipersigillo rimanda inevitabilmente all'Ipercubo, specie nel fumetto, dove tale dimensione "temporale" è compattata all'interno del parallelepipedo di un albo.



Per concludere, Ghost.








In conclusione (dell'albo, e di questa analisi) l'apparizione finale di Ghost riconnette la storia alla continuity, chiarendo gli ultimi punti e mostrando il procedere del suo Grande Piano.



Volendo identificare delle corrispondenze con Pendolo, al centro del suo Order Magick vi è l'archetipo di Albione, nome della Gran Bretagna che deriva, plausibilmente, dalle bianche (albae) scogliere di Dover che la identificano giungendo dal Continente. Un concetto da sempre venato di ermetismo: Albion è per William Blake il Primo Uomo (con plausibile identificazione con l'Albedo alchemica, uno dei due poli, con la Nigredo, dell'opera iniziatica). E il biancovestito Ghost si identifica (ambiguamente) con questo polo "bianco", presentandosi come difensore dell'umanità, pur con metodi machiavellici.



Ora, anche Eco nel Pendolo gioca molto su tale aspetto, creando una continuità tra Sant'Albanus, il mitico "cristianizzatore" dell'Isola - dal nome fortemente simbolico - e vari detentori del titolo di visconte di Sant'Albano, tra cui Francis Bacon e altri riconnessi a un percorso templaristico-scozzese (il "convento delle bianche stole" dantesco, la "fratellanza bianca" di cui parla l'antagonista), unificati - a livello simbolico, o forse reale - dalla figura dell'immortale "Saint Germain".



Il rischio di sovrainterpretazione è ovviamente sempre presente (e, trattando di Eco, che l'ha teorizzata fra i più autorevoli come studioso, è ironico); ma indubbiamente tra Eco e Dylan c'è sempre stata una tensione di reciproco interesse (arcinota: non sto qui a ripercorrerla), e il parallelo, anche se non intenzionale, è per me significativo.




Tra l'altro: il Pendolo nasce nel 1988, a due anni dall'apparizione di Dylan Dog: Eco ci lavora dal 1984 (anno della conclusione della storia), e appare innegabile l'influsso - non dichiarato - di un altro capolavoro bonelliano quale Martin Mystere, apparso nel 1982. Quindi anche il gioco delle eventuali riprese appare qui intricato come un tesseract.







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Insomma, un albo affascinante, che chiude molti snodi per aprirne altri, in un meccanismo narrativo intricato e preciso nello sviluppare la sua piegatura spaziotemporale, supportato da disegni estremamente efficaci nella realizzazione insolitamente difficile richiesta. Il tutto con una scrittura estremamente brillante nei dialoghi, con quel costante registro ironico che è tra i migliori punti di forza di Dylan Dog.