Maxi Dylan Dog 36 - Old Boy.







LORENZO BARBERIS



Il Maxi Dylan Dog 36, uscito il 28 giugno 2019, è piuttosto interessante per vari aspetti. 



La bella cover dei Cestaro fa riferimento alla prima storia, che omaggia nel titolo il "Sottosopra" di Stranger Things (che in questi giorni è giunto alla terza stagione), anche se lo sviluppo è radicalmente diverso.



La cosa che salta all'occhio subito è che questo numero si caratterizza per uno splatter molto più accentuato, proprio delle storie dei tempi classici e soprattutto di quelle disegnate dallo studio Montanari e Grassani, cui si è aggiunto di recente Valeri (che ha preso il posto di Grassani sulla terza storia).



La prima delle tre è ad opera di Paola Barbato, in pieno stato di grazia con due storie recenti molto buone sulla regolare, la 391 e la 394. Questo accentua ancor di più il gioco dei parallelismi tra la realtà parallela in cui nulla è cambiato in Dylan Dog (la realtà della linea narrativa dell'Old Boy) e quella della serie regolare, dove è iniziata la continuity culminata in questo ciclo della Meteora.



Questa è l'altra caratteristica di questo albo: il gioco delle dimensioni parallele. Già presente negli altri Maxi, qui vi sono almeno le prime due storie molto più vicine, nei temi, a quanto succede nella linea temporale principale.









Sottosopra.



Iniziamo in modo estremamente classico e splatter: una domestica vessata da una superiore si ribella e la uccide in un tripudio di sangue. Un dipinto, un "quadro nel riquadro" (7.iv) ci fa subito intuire una connessione con la regina, che nel ciclo di John Ghost è connessa a entità mostruose primordiali (una ripresa delle teorie rettiliane di David Icke, a suo modo).



E proprio la regina fa rapire Dylan dai servizi segreti, per costringerlo volente o nolente a un team up con vecchie glorie come Lord Wells, la Trelkowski e la sua nipote Diana, apparsa nel lontano numero 60, "Frankenstein!" (un numero che mi è caro: qui era apparsa una mia lettera da adolescente, con tanto di poesia orrorifica...).



Entriamo quindi nel vivo del caso, e ci viene spiegato il ruolo degli inquietanti parassiti del piano astrale che avevamo visto in copertina. La Barbato, come suo solito, orchestra una storia raffinatamente intricata, e pervasa di corretti rimandi esoterici alla parapsicologia swedemborghiana, riassemblati in modo personale ai fini della massima efficacia narrativa. L'autrice mi pare qui più vicina ai suoi stilemi classici, mentre le due storie sulla regolare sono più sul versante dell'approfondimento psicologico che sulla costruzione di una trama esoterica e complessa (come invece avveniva ne "La caduta degli dei", al 390).



Il tema viene poi sviluppato in modo particolarmente unheimlich per merito del segno pulito, minuzioso e old style dello studio Montanari e Grassani: i parassiti spirituali, resi con precisione acribica di dettaglio, risultano autenticamente disturbanti. Sono anche eleganti, all'opposto, le scene minimali giocate su nettissimi contrasti di bianco e nero, come la sequenza 28-29 (da cui è tratta l'immagine della copertina "interna" all'albo).



L'impostazione di tavola è la griglia classica, come spesso sull'Old Boy e particolarmente con lo studio M. e G., ma con l'uso quando necessario di splash page come 38, o comunque efficaci quadruple che incrementano l'aspetto quasi fisicamente fastidioso dell'affollarsi di mostruosi germi. 



Anche la svolta nella trama che consente di mostrare un Dylan eccezionalmente "fuori dal suo umore", freddo e asettico, aggiunge una interessante variazione a una storia già in sé originale.



Il colpo di scena finale è abbastanza logico, ma consente di tornare su un tema - quello della sostanziale anaffettività di Dylan: ama tutte, e quindi non ama nessuna. Un tema che si è di recente rivelato centrale per la conclusione del Ciclo della Meteora, e già sviluppato ne "Il cuore degli uomini" da Recchioni, ma anche da Cavaletto ne "La calligrafia del dolore" (curiosamente, proprio l'autore torinese firmerà la seconda storia dell'albo, come ora diremo). Inoltre, la Barbato gioca sul mostrare un Dylan manifestamente anaffettivo (per influsso del procedimento cui è sottoposto) per svelare come Dylan sia anaffettivo sempre, sotto la maschera della passionalità.



Curioso notare poi come il finale dell'albo sia aperto a possibili sviluppi futuri (i parassiti psichici, prima di vedere cancellata la loro infestazione, potrebbero aver compiuto danni gravissimi alla psicosfera), e come sia molto coerente col gioco della "doppia dimensione": per quanto apparentemente casuale, il "rituale" che ha scatenato i parassiti si è sviluppato a Buckingham Palace, fulcro del potere oscuro di Albione nella regolare.











Grande Distruzione Organizzata.



La storia di Cavaletto è ancor più manifestamente orrorifica: non tramite la dimensione del disgustoso, ben manovrata dalla Barbato nella prima storia, ma tramite un esplicito gusto gore (naturalmente nei limiti possibili su una testata mainstream) che si fa satira sociale come caro all'autore di Paranoid Boyd.



Di Boyd ho scritto molto, ed è indubbiamente uno dei più interessanti esempi di horror radicale a fumetti italiano, pubblicati dalla Edizioni Inkiostro che è la realtà dominante in questo ambito, affermatasi in questi anni 2010s. Come ho detto spesso in queste occasioni, un punto interessante dell'orrore estremo di Cavaletto è che poteva essere - assieme ad altri stimoli - una nuova linfa vitale per Dylan Dog quando avesse saputo trasfonderlo e in parte adattarlo al nuovo contesto.



Il radical horror cavalettiano infatti non è mai totalmente gratuito (che è una dimensione legittima, sia chiaro, dell'horror estremo, per le convenzioni di genere) ma si muove su almeno tre piani: una satira sociale disintegrante, l'introspezione psichiatrica (più che psicologica) e l'esoterismo più oscuro. Tre dimensioni spesso presenti in quest'ambito, ma che l'autore torinese sa intersecare molto bene tra loro. 



Anche qui, la fitta intersezione di simboli (che solo in parte potremo dipanare) è consentita dalla fedele precisione di dettaglio di Montanari e Grassani, che consentono di intessere una rete di riferimenti in cartelloni pubblicitari, scritte sul vestiario e così via.


Tornando a Cavaletto: finora, nei Dylan Dog, pur riusciti, non vi era stata questa sanguinolenta trasfusione di temi. Qui, invece, l'operazione va pienamente in questo senso, che mi pare il miglior apporto possibile dell'autore alla tradizione dylaniata. Siamo nel centro commerciale della White Rose, come ci mostra già la copertina interna della storia (nome che mi colpisce, perché la zona in cui io abito si chiama appunto, per antiche memorie, "La Rosa Bianca"). Un termine alchemico, dove la rosa bianca simboleggia l'albedo (anche se qui vi sarà invece lo spargersi di sangue della rubedo, in un rito che sembra catalizzare la nigredo del peggior black magick).



Usando un espediente narrativo interessante, che con didascalie nere ci mostra il convergere delle varie storie verso il megacentro commerciale nella bella splash di p.105.



La violenza gratuita del giovane antagonista dell'albo, Aaron, simile nell'aspetto a un Dylan giovane, ci introduce l'Inkblot Society, con un rimando al test di Rorschach (108) che può essere un rimando sia al mind-control, sia al personaggio di Watchmen, la scheggia impazzita del sistema. Inkblot, inoltre, è la "macchia nera", ovvero l'elemento di Nigredo presente nell'Albedo, così come appare nel simbolismo orientale dello Yin Yang (e in modo simile, un albedo puntiforme è sempre presente nella nigredo, ovviamente). La distruzione anticonsumistica è insita nella consumistica distr-ib-uzione, e viceversa (anche tramite il gioco di parole evidenziato dal titolo...).



Vediamo poi l'entrata in azione degli adepti, volti a rovesciare chaoticamente la Grande Distribuzione in Grande Distruzione Organizzata, come proclamato dal titolo. La battuta in 116.ii è probabilmente una frecciata obliqua ai detrattori anonimi online.



Un'altra splash page, interna alla GDO, questa volta, ci mostra un rimando alle Ghost Industries: un nuovo stretto rimando alla continuity principale, dopo quello della Barbato che rimanda al ruolo della corona inglese (legata a filo doppio a Ghost come proprio alfiere). I due pilastri dell'apocalisse imminente sono qui evocati nel manifestarsi del loro potere in modo "statico", pre-continuity (concluso l'albo, si torna allo status quo), e non "dinamico", come sulla regolare. Anche se in entrambi i casi, comunque, la storia resta "aperta" e passibile di sequel (come tipico fin da Dylan delle origini).



Siamo al lancio del Ghost 2000, mentre nella timeline principale vi è il Ghost 9000. Da un dettaglio interno (la quadrupla di p. 129: Cavaletto ne fa un uso nettamente più ampio della Barbato, in quest'albo, per rendere lo straniamento dei vasti spazi del non-luogo commerciale) comprendiamo che potremmo essere nel 2006, dato che vi è una vasta pubblicità di Casinò Royale di James Bond, uscito in quest'anno (e comunque ulteriore rimando al "bondism" di molte delle storie con Ghost).



L'ultraviolenza entra nel vivo con una bella tavola doppia (138-139) dall'originale impostazione verticale, aprendo al tripudio di splatter su cui si fonda la storia.



Bello il ruolo di Groucho che, sia pure per aiutare Dylan, pare stare dalla parte dei folli di Inkblot, all'apparenza (e del resto, il suo "tradimento" di Dylan, magari fondato da qualche ragione ancora oscura, appare in 394, nel consueto gioco di rimandi). La folla che inneggia "GDO, GDO!" certo si rifà appunto alla Grande Distribuzione Organizzata (acronimo che funziona anche in inglese, penso), ma appare, nella sintesi dell'acrostico, un anagramma sia di GOD - il Moloch del centro commerciale - sia di DOG, che a tale nuovo idolo pagano da sempre si oppone. Questa fusione di elementi sacrali si rivelerà significativa nello sviluppo di un albo, sul piano "esoterico" che Cavaletto cura sempre con attenzione.



Non a caso, al culmine di sequenza di follia distruttiva che giunge addirittura all'orgiastico, Dylan appare quasi crocifisso (160) all'apice di una bella tavola su tre strisce orizzontali. E dopo una complessa sequenza piuttosto inquietante dove si mescola violenza, tensione erotica e riflessioni filosofiche, Dylan risolve la crisi cedendo al suo nemico (holy?) Ghost, celebrandone il potere in un modo che ricorda - con sottile blasfemia: non di Cavaletto, di per sé, ma del culto consumistico estremo - l'Eucarestia (192).


Interessante come di nuovo sia ciò che di consumistico (albedo) è insito nell'anticonsumismo (nigredo) a portarne alla distruzione: gli Inkblot usano il cellulare per celebrare le proprie gesta, e la devozione al cellulare li riconduce alla sottomissione al sistema. Del resto non può esservi vera opposizione: il consumismo si fonda sulla consunzione dei beni, e la loro distruzione insensata è in verità solo una modalità della dimensione del "consumo".



Su questo tema Cavaletto aveva già realizzato ne La calligrafia del dolore uno dei suoi albi dylaniati più significativi del "nuovo corso", dove esaminava in modo abbastanza chirurgico (ma senza uno splatter così accentuato) il consumismo sociale, ma anche quello di Dylan, "collezionista" di relazioni vuote. In qualche modo, dunque, anche quest'albo si ricollega al tema. "Le cose che possiedi ti possiedono".



Una storia centrale quindi molto ben strutturata: caustica come al solito la satira sociale, possibile il livello metaletterario, devastante la dissoluzione della mente dei protagonisti nei due estremi che si toccano: l'iperconsumismo e la sua iconoclastia. E, su tutto, il livello esoterico, che rimanda al filone ghostiano dell'Order Magick: "il caos non è un caso", come dichiara un personaggio, in quanto è strutturale all'eterno New World Order, che da sempre rinasce in un continuo ciclo di Ordo Ab Chao.



Sandheaven











La terza storia, di Giovanni Masi, ha una strutturazione complessivamente più classica, con un rimando a un certo "giallismo dylaniato" comunque tipico del personaggio (la storia, alla sua conclusione, può essere riletta per cogliere gli indizi che avrebbero permesso al lettore di sciogliere la sua parte investigativa). 



A fianco di Montanari vi è qui Valeri al posto di Grassani: non vi sono differenze macroscopiche nel segno, legate alla tradizione dello studio. Forse in questa storia è meno carico di dettagli, ma questo può dipendere anche dalla sceneggiatura di Masi, che orchestra una narrazione più lineare, meno stratificata nei simbolismi, ambientata nella campagna inglese: tutti fattori che portano a un segno meno affollato. Le scene di atmosfera (ad es., p. 217) hanno però la loro efficacia.



Il "paradiso di sabbia" del titolo è, comprendiamo immediatamente, una struttura mirata a intrappolare Dylan e separarlo da Groucho, in un clima straniante, surreale, e a tratti - le sequenze grouchiane - anche umoristico, dell'humour nero che è uno dei tratti della serie. Il tutto ha il sapore di certe puntate di Twilight Zone, ma ancora una volta il finale, nel segno di una setta identificata da una X (la "setta X" era - secondo le prime testimonianze dei colpevoli, poi ritrattare - il livello superiore delle Bestie di Satana). 



Se fino a qui la storia prosegue su binari di orrore classico, nel finale si ha un'impennata splatteristica e un rituale con elementi esoterici che la uniforma alle altre. Anche qui resta un finale classicamente aperto. Per ora, tuttavia, appare quella meno connessa alla continuity della regolare: se la prima evocava la Regina diabolica, e la seconda Ghost e il suo piano, qui al limite appare una sorta di setta paramassonica, elemento per ora assente sulla regolare.



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Un trittico dunque interessante, nel suo complesso, come ho cercato di evidenziare: con tre storie differenti interseca in dosi diverse un peso maggiore di elementi splatteristici ed esoterici nell'horror del personaggio.

Sarebbe interessante comprendere se questi stimoli avranno la possibilità in futuro di essere maggiormente declinati anche sulla serie regolare.