Dylan Dog 395 - Del tempo e di altre illusioni / Il tempo è spazio bianco.





Il tempo è spazio bianco.



LORENZO BARBERIS



Il numero 395 di Dylan Dog, il 30 luglio 2019, ci conduce sempre più vicini alla conclusione del ciclo della meteora. Si tratta di un ritorno di Carlo Ambrosini come autore completo, in continuità con tutte le sue storie all'interno del "rinascimento dylaniato" (iniziato ormai sei anni fa), che si era aperto con Nuova Vita, il suo numero 325, poi parzialmente citato anche in Cronodramma, che ha una palese continuità nel titolo stesso.



Come al solito, avverto che naturalmente vi sono possibili spoiler: consiglio di leggere prima l'albo.









La copertina di Cavanago è come al solito ad altissimi livelli.







La citazione va a Zeus e Teti di Ingres (1811), uno dei più noti capolavori del classicismo, che sarà ripreso anche nell'albo. 



L'incipit è infatti cosmico, come spesso nella Meteora, con una bella tavola 5 sostanzialmente astratta. Coerentemente col titolo, lo spazio si tramuta nel tempo (6) e un John Ghost smarginato rompe la quarta parete e ci parla dell'Apocalisse (l'angelo che appare a p.7 pare un rimando a un'altra storia di Ambrosini, Il male assoluto).



Bella anche la soluzione di p.8, dove la griglia a nove vignette va verso una progressiva dissoluzione



A p.9, una tavola muta dal gusto quasi pittorico grazie alle retinature ci porta a un'eruzione vulcanica.









A p.10 capiamo che sono i fotogrammi di un film, Stromboli di Adolf Mayer, un film muto anni '20. Il richiamo è a Carl Mayer, lo sceneggiatore di Murnau. Il gioco di rimandi volutamente scaleni è intenzionale: Murnau e l'espressionismo tedesco sono un fondamentale rimando visivo per Dylan Dog, una delle vette del fumetto in bianco e nero italiano: ma molto meno sotto l'aspetto testuale, che solo raramente ha potuto seguirne i ritmi, guardando invece all'horror e all'hard boiled americani come struttura (e a mille altri rimandi come variazione). 



Ma qui Ambrosini evoca la scrittura. Fosse uno sceneggiatore, il gioco sarebbe più scoperto, rivendicazione del proprio ruolo e così via. Ma Ambrosini nasce come disegnatore, ed è qui autore completo: il rimando è quindi non lineare, come al solito. Anche Adolf comunque, parlando di Germania anni '20, non è un riferimento casuale (specie su Dylan Dog, fumetto da sempre dichiaratamente antifascista): Carl Mayer, oltretutto, di origine ebraica, dovrà lasciare il Reich dopo l'avvento di Hitler.











Il film dunque è di invenzione e di ambientazione classica: in modo sempre non lineare, guarda però a Stromboli (Terra di Dio) di Rossellini, del 1950, uno dei grandi capolavori del cinema italiano.



Sottile è il gioco di Ambrosini: qui ci aspetteremmo, in un albo di Dylan classico, i "titoli di testa". Abbiamo invece quelli di un film immaginario intersecato metanarrativamente alla vicenda, e quelli veri arriveranno solo dopo molte pagine.



Si passa quindi a una grandiosa splash page introduttiva (12). Anche questo, è un gioco sottile: la citazione del cinema non si pone solo come omaggio al "gemello diverso" del fumetto, ma anche come sfida (il cinema non ha la possibilità tecnica di un equivalente della splash page, ovvero quella di spiazzare il lettore con una sola grande unità visiva). 



Più che al cinema, naturalmente, la sfida è alla concezione del fumetto come "cinema su carta": scelta legittima, ma limitante, che di solito porta a concepire una griglia costante, regolare, come appunto l'inquadratura filmica. Una posizione, tra l'altro, presente in Bonelli, anche inconsciamente, nell'adozione della "griglia a mattonicino", che - pagando con dei limiti - ha poi una forte efficacia narrativa. Scelte dichiarate nel senso del "cinema cartaceo" sono presenti su molti Julia classici, rivendicate apertamente in tale senso da Berardi.



La narrazione del film muto procede naturalmente per didascalie (13), rese in bianco su nero come era usuale nei film dell'epoca: un elemento che sottolinea la maggior vicinanza tra fumetto e cinema muto, quando il medium non era ancora audiovisivo (pur essendovi l'accompagnamento musicale: non è certo un caso che Ambrosini si premuri di evidenziarlo in 10.iv). 



Tra l'altro, non so se intenzionalmente, il modo di narrazione ricorda certi cineromanzi anni '50 che riassumevano i film alternando fotogrammi e didascalie, senza il fumetto (presumibilmente, rivolti a un pubblico adulto che non si era formato al balloon, apparso nei tardi anni '30).



Oltretutto, se ora per un po' ci accompagnerà questa - comunque insolita - modalità di narrazione, fino ad ora ogni tavola, come evidenziato sopra, ha variato le aspettative del lettore, non solo a livelli di tema ma di struttura: con un livello di sperimentalità notevole.



A p.17 appaiono i due personaggi che segnano la continuità con il n. 325, con forti interazioni con quest'albo (tutto il tema della Prima Guerra Mondiale viene da qui).



Dopo una ulteriore p.18 che riassume la narrazione, 19-22 riporterà una lunga sequenza interamente muta del film, senza didascalie. Giunti alla scena chiave, il tempo della narrazione si sovrappone al tempo ipotetico del film, con un ulteriore gioco di bravura di Ambrosini (del resto totalmente funzionale alla storia).



Anche tavola 24, che chiude la narrazione filmica (un quarto dell'albo), è simmetrica alla splash page che l'aveva aperta: qui abbiamo non una singola tavola di grandi dimensioni, ma un montaggio "analogico", non lineare, che rappresenta bene il rifiuto di una concezione semplicistica e lineare del tempo. Di nuovo, si sottolinea un vantaggio del fumetto: il cinema ha molti vantaggi sul fumetto, ma le sue sequenze sono disposte in una sequenza lineare. La closure del fumetto è invece potenzialmente molto più "problematica", costringendo il lettore a colmare quello spazio bianco con maggio impegno, specie quando, come qui, si ripudia l'adesione a una convenzionalità facile che faccia da guida.



Finalmente, a p.25, giungiamo ai titoli di testa del fumetto, e la trama inizia a svilupparsi secondo canoni all'apparenza più consueti (sempre nei canoni del fantastico dylaniato, ovvio: anzi, proprio questo forma la - illusoria - rassicurazione del lettore).



Lo scultore Vulcano Martini (30) cita ovviamente Arturo Martini. Curiosamente, Martini venne associato al fascismo, avendo aderito al futurismo e operato sotto il regime, ma rifiuterà tale connotazione. Un rimando alla previa citazione di "Adolf", e alla risignificazione del classico del fascismo? Qui però appare citato il classico nella lettura pre-fascista, sulla soglia di quella interpretazione. 



Il riferimento a Vulcano, citazione manifesta, va però colta nel suo rimando preciso al dio romano e non all'Efesto greco, che rende più manifesta la citazione (ma nel caso di Ambrosini, che intesse citazioni sottilissime, non è probabilmente il punto centrale). Al di là di altre differenze, potrebbe essere suggestiva la sua derivazione dagli dei inferi cretese, Velkhanos: a Creta e al Minotauro Ambrosini aveva dedicato un fumetto in un Color Fest.









Il flashback di Melissa rimanda a una grande classica come "Il lungo Addio", che viene apertamente citata (p.44), inclusa la scena della discesa nella grotta, dove avviene un incontro fantastico. Il bambino ha qui il numero 8 (41.iv), che viene confermato alla sua riapparizione nel presente (46.i). 



La transizione onirica di Dylan che lo insegue avviene a p.48, e nel sogno il bambino ha il numero 80 (p.51). Si esplicita la prevedibile natura onirica dell'incontro con Carpenter e Ranja (49): l'incontro con Bloch ha il sapore di un "ritorno al passato" (replicato poi dall'apparire dello zombie), al ripetersi dell'identico che trova il suo spazio sull'Old Boy (che, come ho argomentato su tutti i numeri, è sostanzialmente una realtà parallela, più che il passato puro e semplice).



Si manifesta il reiterarsi di rimandi alla morte (56, poi 61), illusori. Billy ha sempre il numero 80 (57.iii). L'apparizione del manifesto di Stromboli (59) mette Dylan - e il lettore - sul chi vive, ricordandogli la sequenza di p.26-27. "Timeless Books" è un nome adatto al negozio stregato dell'albo: "libri senza tempo" in senso letterale, non metaforico. "Library" (62) è un errore di inglese (il classico "falso amico": vuol dire biblioteca, non libreria) oppure un rimando criptico? Con questo Ambrosini è difficile dirlo.



Dylan vede così il film leggendone la sceneggiatura (si spiega in parte il gioco di Mayer, qui regista e nella realtà sceneggiatore). Oltretutto: spesso lo storyboard di un film è realizzato in forma simile al fumetto; anzi, di fatto, se storyboard visuale, è un testo fumettistico tecnico con sue specifiche caratteristiche (in questo caso, con una griglia regolare e precise annotazioni).



L'inserto di un balloon espressivo (67.iii), l'unico che appare nel "film muto" nelle sue varie incarnazioni all'interno dell'albo, non è certo casuale, ma rimanda all'eterno dialogo tra fumetto e cinema istituito nell'albo (come metafora del più ampio rapporto tra fumetto e percezione del tempo, al suo interno e come questione filosofica generale).  Allo stesso modo a p.68 appare un effetto sonoro: non è infatti qui un film muto, ma un film muto "girato nella testa di Dylan", eroe di fumetto.



Nuova splash a p. 70, simmetrica alla cover e con l'originaria citazione di Ingres, pone il manifestarsi del divino classico. Una conferma della "dottrina degli archetipi" dylaniata: le divinità sembrano tutte vere contemporaneamente, come esistenti in parallelo alla credenza degli uomini che li genera in un immaginario collettivo junghiano.



La citazione di Emanuele Severino, che appare anche fisicamente a p. 72, conferma la natura dotta dell'opera e fa particolarmente piacere. Severino, poco valorizzato dal discorso pubblico italiano, è fondante nell'aver dimostrato la derivazione da Leopardi (e dal classico, su cui l'autore si fonda con precisione filologica che precede la rilettura geniale) del nichilismo nicciano che fonda il Novecento filosofico europeo. Ambrosini così mette un ulteriore suggello al nichilismo sclaviano, stabilendo una ulteriore legittima continuità (nel bicentenario dell'Infinito leopardiano, se amate - come me - tali corrispondenze).



Naturalmente, la vetta toccata da Ambrosini ha un costo: se il discorso filosofico è raramente così alto in un fumetto (non solo "in un fumetto da edicola") e, meritoriamente, condotto in modo strettamente fumettistico, bisogna sacrificare qualcosa: il proprio figlio prediletto, come insegna la stessa metanarrazione, ovvero l'aggettivo "popolare" che accompagna il sostantivo "fumetto". Non vi è più tale rimando, in questo singolo albo, nemmeno come "primo livello di lettura". Una scelta occasionalmente fatta anche da Sclavi ("Storia di Nessuno", per dire), ma qui ancora più ostica: quello che nel padre di Dylan è lo scavo psicanalitico, qui diventa scavo metafisico.



Non si sono sciolti i dubbi, si sono intensificati, come riconosce lo stesso Dylan (73.i). Una incarnazione del giallo - giallo/horror, in questo caso - filosofico che voleva Borges (che occhieggia in molte citazioni sul tempo insite nell'albo). Egli scrisse a tale proposito una finta recensione in "Finzioni": "L'avvicinamento ad Almothasim"): se già il giallo diveniva, con la sua maturità, giallo-sociale, egli radicalizzava chiedendo un giallo filosofico che devia dal "wodunnit" ("who has done it", la ricerca del colpevole) per condurre a riflessioni più ampie il lettore. 



Il trionfo della morte finale è a suo modo una rassicurazione al lettore, tornando all'apparenza sui terreni di Sclavi (nella terribile splash di p.77 vi è addirittura la "poesiola sulla morte"), anche se in realtà la si decostruisce. In Sclavi la morte ha un suo fascino romantico, qui è mostrata nel suo volto più orrendo, il carnaio della Grande Guerra (a p.78, con un nuovo uso ancora del retinato, Ambrosini la porta in scena concedendosi il lusso di non usare nemmeno lo splatter - come potrebbe - per segnare il suo punto). Forse involontariamente, ma il segno sembra quasi guardare qui, in certi tratti, a Hugo Pratt, che in Corto rappresentò perfettamente tale massacro.



Finito tale excursus (84), ci viene mostrato come il bambino è tornato un 8 (forse all'inizio di questa sequenza: ma solo qui ci viene mostrato, non a caso). In 88 - casuale? - l'8 appare uno zero, ma in questo caso può essere solo un effetto di inquadratura (altrove nell'albo, no). Ambrosini non scioglie, ci mancherebbe, questo simbolismo: viene da pensare a 8 come infinito, infinito che è anche nulla, ovvero 0.











La numerologia è tutto e nulla a sua volta: alla partita a scacchi tradizionale, su uno scacchiere 8X8 con cui anche Dylan ha giocato nel numero 66, Partita con la Morte, si sostituisce la partita a tombola mentre si cita lo scienziato Julian Barbour e il suo La fine del tempo (1999), il fondamento hard-science dell'intuizione dell'illusorietà della nostra percezione temporale.



 La paura, del resto, fa novanta, come la pagina dove appare il dipinto di una classica "partita con la morte". Dylan rifiuta però il gioco (a p.93, l'omologia tra l'8 del ragazzo e i numeri della tombola nella vignetta seguente è evidente). Come spesso in Ambrosini, tutto si chiude circolarmente a p.96, con una nuova citazione filmica sul sole che tramonta, che rimanda anche alla filosofia di Hume (il primo - poi ripreso e codificato dal matematico Russell - a decostruire le nostre illusorie certezze induttiviste, come quella che domani il sole sorgerà).



L'ultima tavola chiarifica il senso alto di quest'albo di Ambrosini: letteratura e arte, ma ancor più i novecenteschi cinema e fumetto, possono farci percepire la irrilevanza del tempo nella convenzionalità della loro rappresentazione interna, che ci deve spingere a riflettere sulla convenzionalità della loro rappresentazione nel reale. Come nel '600 il primo infrangersi delle certezze eurocentriche e geocentriche si era trasposto in un teatro barocco che ci mostrava come "La vita è sogno" (Calderon De La Barca) e "Il mondo è un palcoscenico" (Shakespeare), così la rupture definitiva del Novecento va letta con le sue arti specifiche. E solo il fumetto può spezzare del tutto i fotogrammi intorno a noi.



Il tempo è spazio bianco, e siamo noi lettori a riempirlo di un senso che non esiste.



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Dylan Dog n. 395 - Del tempo e di altre illusioni

Soggetto, sceneggiatura e disegni di Carlo Ambrosini

Copertina di Gigi Cavenago