Dylan Dog 396 - Il suo nome era guerra







LORENZO BARBERIS



Il 31 agosto 2019 è uscito il n. 396 di Dylan Dog, "Il suo nome era guerra". Soggetto e sceneggiatura di Giovanni Eccher, disegni di Luigi Siniscalchi. Si tratta del quartultimo albo prima della conclusione del Ciclo della Meteora che ha segnato quest'ultimo anno dylaniato. Bella come al solito la cover di Gigi Cavenago, che come al solito rappresenta nell'immagine la Meteora in arrivo, colta questa volta con un virtuosismo, ovvero all'interno di un Ghost 9000, il cellulare al centro dei piani di John Ghost per Dylan. Non si coglie se sia un riflesso o l'immagine sul cellulare: un'ambivalenza significativa? Ma vediamo meglio lo sviluppo dell'albo (disclaimer: possibili spoiler, naturalmente).



Giovanni Eccher - autore anche di Nathan Never - non è nuovo a Dylan: si era distinto, nel "nuovo corso", per l'interessante "Tripofobia" (380), che introduceva questa "nuova paura" emersa negli ultimi tempi, e per il Color Fest 18, su cui aveva realizzato "Diario degli uccisori".



La sequenza introduttiva è efficace e classica, l'orrore della follia che appare devastante nell'apparente tranquillità suburbana della classe media. Curioso notare come non è però una "scena prima dei titoli di testa" perché il titolo appare subito, a p.5 (mentre di solito, in Dylan, appare appunto dopo la sequenza iniziale). Il tasso di ultraviolenza è radicale: la scena più atroce del massacro è solo implicata, con un efficace stacco (tra p.9 e p.10). L'arrivo di Carpenter (11), protagonista in questa storia, inizia a precisare il fondamento dell'esplosione di follia omicida: Lance Snow è pregno, più che di un'ideologia nazista come sarebbe stato negli albi classici, della paranoia del complottismo dilagante portata agli estremi.



A parte questa efficace attualizzazione, l'indagine si sviluppa in modo molto classico (salvo, ovviamente, il ruolo dei nuovi personaggi: è quindi chiaramente Rania a coinvolgere Dylan, e così via): una sensazione di classicità portata anche dal segno elegantissimo e nervoso di Luigi Siniscalchi, il grande ritorno di questo albo. Siniscalchi (di cui avevo parlato nei miei vecchissimi saggi su Dylan da cui nasce questo blog) aveva esordito ancora nei famosi "primi cento", al n.78, "I killer venuti dal buio", seguito da "Fantasmi", con Chiaverotti, e  "I giorni dell'incubo", "L'orrenda invasione", "La governante" con Manfredi. Poi una lunghissima pausa, fino al recente ritorno col Maxi 35, a fianco di Dell'Agnol, e questa storia, in cui possiamo apprezzare appieno l'evoluzione e la continuità del suo segno.



Il senso di classicità, oltre che dal tratto dell'autore, nasce anche dalla griglia, la tipica "gabbia a mattoncino" bonelliana. Un montaggio particolarmente efficace nelle sequenze di azione realistica, che costituiscono, potremmo dire, il core business bonelliano e che anche in questa storia predominano, come capita occasionalmente anche su Dylan Dog.



La particolarità, al massimo, è l'uso insistito di vignette a taglio orizzontale (sequenza 26-33), legittime anche nel montaggio classico, ma usualmente più rare, e soprattutto nella lunga sequenza pressoché muta. 



Anche qui, come nella sequenza iniziale, si denota come parallelamente anche l'ultraviolenza splatter risulta reinterpretata. C'è lo splatter delle origini, che era però più giocoso, anni '80, e tendenzialmente su Dylan escludeva sequenze troppo atroci, come quella della bambina nella scena introduttiva, e qui la violenza ai danni della poliziotta, che viene addirittura rappresentata in scena. Una violenza non gratuita, che ha un senso nella trama, ma comunque piuttosto forte per lo standard bonelliano tradizionale, anche di Dylan. Non manca naturalmente l'elemento contemporaneo, con la folla che circonda gli stupratori armata di telefonino (un rimando al massacro con smartphone della copertina, e il tema trasversale della continuity "ghostiana").









Con l'avvicinarsi della metà dell'albo ci si inizia ad avvicinare alla soluzione. A livello simbolico la cosa è ben congegnata, poiché la divinità, Ninurta, esiste davvero ed è inserita in modo coerente alla trama: anche il suo simbolo è plausibile come la soluzione che viene individuata per annullarlo. In qualche modo, viene da pensare all'"Esorcista" e al suo uso inquietante delle antiche divinità mesopotamiche come demoni, efficace per il giusto equilibrio tra simbolismi iniziatici e realismo del contesto.



La degenerazione della violenza ovviamente, mentre Dylan indaga, continua e si espande, amplificata dall'effetto sovrannaturale ma fondata sulle tensioni sociali reali. Lo stesso Eccher ci ironizza con un Groucho metanarrativo, a p. 62: "Che noia questi film horror in cui ci mettono la politica!" commenta osservando il telegiornale, ma con ovvio riferimento sarcastico alla storia. L'apparizione di Lord Wells, coerente con la sua utilità a quel punto del racconto, potrebbe suggerire il suo maggior uso futuro di cui si vocifera, magari a bilanciare una possibile sparizione di Groucho con la fine del ciclo (anche, forse, per le difficoltà di usarlo cinematograficamente, per via dei diritti della famiglia Marx).



La conclusione è coerente con lo sviluppo della trama, portando a un atteso scontro finale. Il tentativo di violenza subito da Rania, di nuovo, è un elemento piuttosto radicale, anticipato dall'analoga scena della poliziotta durante i tumulti. La sequenza conclusiva di p. 95-98, infine, risulta particolarmente potente proprio grazie alla classicità delle tavole precedenti, utilizzando una lunga serie di vignette mute in "taglio orizzontale" su quattro strisce, e anche l'unica potente splash page della storiaUn numero, quindi, che porta ancora più giù nell'abisso la degenerazione del mondo dylaniato sotto gli effluvi malefici della meteora, e questa volta con una modificazione nei rapporti tra i personaggi principali del nuovo ciclo (Rania e Carpenter, e il loro rapporto con Dylan) che sembrano avere lasciato in tutti un segno profondo.