Dylan Dog 397 - Morbo M.







LORENZO BARBERIS



Di nuovo un albo potente nel crescendo rossiniano che prepara l'apice e la conclusione del ciclo della meteora. La cover di Cavenago, notevole come al solito, ricorda per certi versi la recente "Chernobyl", che bene si addice a questo arrivo dell'apocalisse: il titolo Morbo M., può far pensare al trionfo della Mater M. recchioniana, che pur non apparendo si esplica apertamente in questa storia.









Torna ancora una volta Paola Barbato alla sceneggiatura: l'autrice ha seguito la maggior parte degli albi del ciclo, fino a questo rush finale che si prepara in prossimità del 400, che dovrebbe invece vedere una preminenza del curatore Recchioni, il quale si è occupato degli snodi narrativi della lunga, blanda continuity da lui introdotta sul personaggio.









I disegni sono questa volta di un autore di eccezione come Corrado Roi, che su testi della Barbato aveva già raccontato una moderna peste bubbonica nella Londra dylaniata, con qualche corretta reminiscenza di Manzoni, oltre a creare insieme un mondo postapocalittico come quello di UT.



Una sinergia quindi ottimale, e ideale per questo tipo di scenario, che si presta perfettamente al segno essenziale e lunare di Roi. Scenari vuoti, desolati, privi di eccessivi dettagli, evocano bene il senso di dolorosa sospensione di questa storia, in cui gli effetti della meteora sono ormai giunti a disgregare pesantemente la società inglese come la scritta della testata dell'albo.



Il tema dell'incubo della malattia e del labirinto ospedaliero è poi una ossessione diffusa della scrittura sclaviana, a cui la Barbato è particolarmente vicina, declinandola nell'originale senso di orrore surreale di memoria buzzatiana, senza esplicitare in modo evidente la chiave polemica come fatto da Chiaverotti o Medda. 



In una scrittura radicalmente diversa, ricorda appunto l'operazione di Recchioni, che - nel suo stile - in Mater Morbi reinterpretò l'angoscia del tema ospedaliero senza sviluppare il complottismo antiscientista presente in parte in Sclavi (narratore: lo Sclavi persona è iscritto al Cicap). 



Una prova di bravura, ma anche un'adesione alle convinzioni personali del curatore, legate al suo vissuto personale, che divenne in fondo il "punto di partenza" del suo successivo ruolo nel rinascimento dylaniato, dopo l'apprezzamento di Sclavi di questa sua seconda storia lunga su DD (la prima, meno armonica nel suo sviluppo, contiene in nuce tutto il soggetto del ciclo ghostiano).







Non mancano qui in Barbato nemmeno le citazioni manzoniane che le sono care da La Peste (la madre di Cecilia, a p.30) in una cupa desolazione in cui anche i testi si fanno scarnificati in favore di un'azione disperata e disperante. Del resto, Poe apprezzò Manzoni individuandovi delle risonanze (nei due diversi generi), sorprendenti per il lettore italiano condizionato dalle incrostazioni scolastiche più stanche: e su Poe si fonda molto del mondo dylaniato (con esplicito riconoscimento nella Zona del Crepuscolo sclaviano).



Un'eco si risente anche del ciclo del Pianeta dei Morti di Bilotta, che proietta tale ossessione della pestilenza zombie nel futuro del personaggio: e, del resto, si tratta di uno dei tanti mondi paralleli dylaniati, ognuno dei quali esercita sugli altri una sua qualche sottile influenza.









La storia prosegue sui logici binari fino alla metà dell'albo, dove viene rivelato un plot twist amarissimo e efficacemente spiazzante (p.58). Qui torna in parte l'elemento didascalico che si distacca dall'onirismo puro sclaviano, ma è una scrittura comunque coerente con le modalità del ciclo della meteora: riflessione sui meccanismi di comunicazione globale (simboleggiati in John Ghost, che fa un suo brevissimo cameo sul finale) e costante straniamento e spiazzamento di Dylan, il quale è sempre travolto dagli eventi, si presume pianificati da Ghost. Ancora una volta, l'eroe chiude il caso tradendo un pezzo di sé: la Barbato - che ha scritto molte di queste storie legate alla drammatica discesa agli inferi - inserisce anche un doppio colpo di scena con un brillante secondo twist psicologico finale (p. 93) che dimostra la sua ottima padronanza del personaggio e delle sue dinamiche relazionali.









Le posizioni espresse ricordano anche quelle de La Fine della ragione del curatore Recchioni, nella differenza quasi simmetrica della scrittura (diretta, polemica, estremizzante quella di Recchioni nel suo pamphlet; bizantina e problematica nella Barbato).



Si tratta dunque di un ennesimo capitolo della pur rispettosa riforma del personaggio operata da Recchioni, che su questo ha compiuto una evoluzione piuttosto radicale, anche se meno appariscente di altri aspetti: il superamento dell'antiscientismo seminale in Xabaras e nei due dottor Hicks (che suonano come "X", quasi ulteriori proiezioni xabariane al Crepuscolo e nella Londra ospedaliera), tutti con l'ombra nazisteggiante del Doktor Terror sullo sfondo.



Non resta che attendere dunque con interesse il gran finale di questo ciclo dylaniato, che ha ridato vita - e cioè, trattandosi di horror, morte - alle ossessioni che sorreggono il personaggio.