Dylan Dog 398 - Chi muore si rivede (analisi)







LORENZO BARBERIS





Con "Chi muore si rivede", di Paola Barbato e Paolo Armitano, il ciclo della meteora si avvicina al suo gran finale. Ovviamente allerta spoiler, ma se seguite Dylan Dog i miei spoiler sono il minore dei vostri problemi, di questi tempi.













Armitano (qui identificato col solo cognome, come da lui scelto ultimamente, come "nome d'arte") è uno dei notevoli disegnatori emersi col nuovo corso: apparso per la prima volta al 357, albo che viene citato in questo numero, insieme a molti altri (la blanda continuity riceve una netta accelerata) ma in modo più centrale, per il ruolo che vi ha uno dei personaggi della storia. La Barbato riconnette infatti molte sue storie, con cui ha costruito la sottile linea rossa che percorre il rinascimento dylaniato fino a condurci a questo nuovo turning point.





Armitano ha un segno efficace, pulito, elegante, che aveva già dato molto in Tripofobia, albo sceneggiato da Eccher in cui l'elemento del disegno era fondamentale nell'evocare quello specifico tipo di disturbante (la paura di buchi piccoli e ravvicinati).





Anche qui, come diremo meglio analizzando la storia, il ruolo di Armitano è essenziale. La storia è punteggiata di scene splatter che risultano particolarmente efficaci grazie alla resa di una sobria eleganza, che non toglie però nulla al dettaglio. Come logico che sia, dato il collegamento con 357, domina un immaginario vagamente BDSM, per certi versi anche in continuità con un certo leitmotiv del Dylan di Recchioni, da Mater Morbi in poi.










La sceneggiatrice Paola Barbato costruisce del resto una storia deliziosamente perfida, che si sposa bene a questo signorile splatter sadomasochistico evidente anche nei disegni.





La deliziosa cattiveria parte dall'esordio con unicorni, arcobaleni e due rachitiche cosplayer di Sailor Moon (5), che fa subito presagire il peggio per la coppia di amiche (se non di più). A p.6, oltre a condannare questa scena zuccherosamente surreale a una pessima fine, l'autrice gioca in contropiede e ci svela subito un altro ritorno che in altri tempi sarebbe stato centellinato e millesimato per il finale. 





I due personaggi arrivano infatti direttamente dal cruciale 338, per tornare al 349 con un albo a loro dedicato - sempre di Barbato - che evoca la morte fin dal titolo (come del resto usuale su Dylan Dog), ed è anche subito comprensibile cosa stanno cercando di fare (8), posto che ci si ricordi dei precedenti. Sarà comunque uno solo dei filoni intrecciati a comporre l'albo, ma uno di quelli che darà spunto ad alcune delle scene più autenticamente disturbanti, grazie appunto ai disegni dettagliatissimi e impietosi di Armitano. Un disturbante che, senza citazioni dirette, ci ha ricordato un certo piacere nella visione insistitamente fastidiosa proprio di Eraserhead di Lynch.





Il secondo delitto della Funny Die presentato (p.11), su un grasso nerd vestito alla Tex, conferma la valenza metafumettistica di quel rimando iniziale a Sailor Moon. Certo, si citano anche Titanic e un cavaliere dalla lucente armatura, ma il focus sul fumetto appare significativo. Nel mondo condannato di Dylan Dog le vittime della società dell'immagine si affannano a cercare una morte bella e spettacolare che dia senso alla loro esistenza: e spesso questo avviene tramite appunto il cosplay di chi si è sognato di essere in vita. Il sarcasmo contro il cosplay e i funboy, se non fosse chiaro, è esplicitato dallo scambio di p. 54, dove un cosplayer di Dylan si è riciclato nella Funny Die, non capendo nulla dello spirito del personaggio.







(p.20)





L'idea di fondo della Barbato è brillante, e ricorda un po' (con uno sviluppo del tutto autonomo e diverso) l'Anonima Aldilà di Sheckley. Là la vita umana perdeva di valore perché eternamente resuscitabile (e quindi l'omicidio diveniva reato minore); qui perché depauperata di valore dall'imminente dissoluzione della società. 


Due cause simmetriche, che infatti conducono a due differenti dissoluzioni sociali. 





Appare curioso, dunque, che la satira spietata del marketing esperienziale (con, come abbiamo visto, un duplice rimando al fumetto) avvenga mentre Dylan Dog come serie prepara il 400 con un battage mediatico senza eguali, che sfrutta anche potentemente, e correttamente, tale elemento, con la Wedding Box in particolare.  Ma in fondo è un po' tutta la gestione di Lucca Comics, che quest'anno Dylan Dog ha mediaticamente egemonizzato, grazie ai numerosi annunci ad effetto - ospitati con centralità su Repubblica, fino alla prima pagina di oggi - tra ritorno di Sclavi e team up con Batman e Joker - recentemente tornato ai massimi fasti, questo, con Joaquin Phoenix.

















A margine, curiosa la simiglianza tra Xabaras e il curatore Recchioni, che è comunque interamente casuale (Recchioni sarà inoltre l'autore del crossover). Sul possibile parallelo tra il gnostico Abraxas/Xabaras e il Joker di Phoenix si potrebbero scrivere invece curiose pagine speculative, ma si andrebbe decisamente sui sentieri della sovrainterpretazione; per cui torniamo all'albo.





L'estetizzazione spettacolare della morte, sembra dunque dire la Barbato, è l'ultima tappa della trasformazione dell'esistenza in una diretta social. Nel mondo di Dylan arriva con una meteora che avvicina per tutti la fine nello stesso momento; da noi, probabilmente, giungerà con l'approssimarsi alla terza età delle prime generazioni pienamente interconnesse.













Giocando sulle aspettative del lettore, dopo aver intessuto uno stretto rapporto tra quest'albo e i suoi precedenti, la Barbato colloca in continuity anche il suo Cimitero dei Freaks (245), albo potentemente sclaviano nei pressi di una - mancata - svolta, quella del 250 (anno 2007), in un'era pre-social in assoluto e ancor più per quanto riguarda Dylan Dog (che entrerà nel mondo di facebook nel 2013, appunto con la curatela Recchioni). 





Un modo per istituire una "lunga continuity", di cui si erano avute sottili avvisaglie anche in passato, in grado di rivalutare la ricchissima tradizione del personaggio: non solo i mitici "primi cento" (età dell'oro che a mio avviso si può estendere anche a una "età argentea" 101-250, fino al "definitivo abbandono" di Sclavi), ma anche la "lunga transizione" al rinascimento dylaniato (250-325).













L'indagine prosegue, punteggiata da efficaci sequenze splatter rese eleganti dall'impeccabile bianco e nero netto di Armitano. Il secondo omicidio (14) sarà rispecchiato in 86; il secondo, dal netto sapore BDSM (sequenza 22 e seguenti) contribuisce al gusto sadiano proprio del citato 157, che tornerà spesso nell'albo. Inoltre, specularmente, questo inizio dell'indagine torna nella sua conclusione (94.v: con citazione di Frankenstein Jr che è anche citazione dylaniata/grouchiana - dal n. 3 in poi).





Ma, prendendo solo l'immagine in alto (24), vediamo bene di cosa parliamo quando diciamo di un elegante splatter-gore di Armitano: la scena, infatti, è sì splatteristica (e in modo piuttosto forte), ma ha anche una disturbante sensualità, con un certo gusto quasi feticistico che non saprebbe spiaciuto a Saudelli (che ha operato spesso su Dylan: stupisce anzi che non vi sia un suo ritorno, che sarebbe ottimale per queste storie a tema sottilmente sadiano), per il suo gusto per il bondage e il fetish.





Anche il montaggio della tavola è molto vario, e contribuisce alla vivacità della storia. Frequente l'uso delle quadruple, spesso ad effetto (ad esempio, 24, 47, 53, 56), o per introdurre una nuova sontuosa ambientazione (42), così come una gabbia su quattro strip invece che le consuete tre, solitamente a taglio orizzontale (8, 9, 11, 16, per esempio: molto efficace in chiusura, a p.97). P. 20, che è presentata sopra, rende l'idea del monitor in modo leggermente diverso dal solito, con un lieve disallineamento tra la griglia della tavola e quella del monitor (invece del più consueto espediente del bordo smussato della vignetta, a simulare un tubo catodico). Molto bella la doppia muta di p. 72-73, e la splash smarginata in 83. Frequentemente appare l'espediente di far sconfinare a un elemento grafico il confine della gabbia (la spada in 86, ad esempio: ma è ricorrente), conferendo maggior efficacia alle scene d'azione.





La recitazione dei personaggi è, come richiede la storia, caricaturale e a tratti grottesca; il bilanciamento dei neri è logicamente spostato verso i toni oscuri della tavola, come si confà a una storia orrorifica, pur nella presenza di temi futuribili, quasi alla Black Mirror, propri della continuity di Ghost (che la Barbato riesce bene ad amalgamare con l'horror tradizionale dylaniato).





Giunti alla scena citata dalla copertina di Cavenago, ambientata in uno scenario che cita l'Eyes Wide Shut kubrickiano (42), l'immaginario per eccellenza della festa BDSM-NWO, la trama ha una netta svolta. La scissione della protagonista evocata in cover le consente di ottenere il suo mortifero quarto d'ora di celebrità warholiano. Tuttavia, la ripresa in copertina dell'albo, se non vogliamo vederlo come puro depistaggio (l'episodio è tutto sommato marginale nella trama), potrebbe avere la valenza di sottolineare il tema del doppio e della scissione, che subliminalmente ricorre in tutto il rinascimento/decadenza dylaniata (a partire, ma non solo, da questa duplicità: una rinascita di Dylan come albo, tramite una caduta agli inferi di Dylan personaggio).





(A margine, notiamo che nella cover appare come al solito la meteora, come decorazione duplice della festa di sangue. Quasi a evidenziare come anche questa sia un rituale necessario alla preparazione di Dylan da parte di John Ghost).





La metà albo segnata da p.51 segna dunque la lunga svolta verso il finale, in una sapiente costruzione della Barbato che dissemina i giusti indizi per decodificare l'illusione. Il film "Lost Creep..." o qualcosa di simile non lo conosco, quindi non so se anche il suo inserto in 55.vi può rivelarsi utile. Indubbiamente utile è invece 56.i; in 62, invece, la gente che riprende quanto sta succedendo può rimandare (specie a posteriori, dopo la chiusura dell'albo) a "White Bear" di Black Mirror. 





I pupazzi fumettistici al servizio di Wells che appaiono sono parte del canone del personaggio, ma acquistano particolare forza nel senso di una "fine dei sogni del fumetto" evocata già nelle sequenze iniziali (i nerd uccisi al massimo della loro felicità, nel cosplay del loro eroe) con la morte di Betty Boop, di Pippo, di Felix The Cat (p.71) che prelude alla grande distruzione dylaniata dei prossimi albi (ormai nota a tutti gli appassionati).





L'ultimo terzo dell'albo, da p.66 in poi, è a continuity serratissima: appaiono tutti gli attori della trama orizzontale della meteora, in un dipanarsi frenetico dell'azione. Si moltiplicano le morti eccellenti, fino alla abbastanza ovvia prima rivelazione finale in pagina 84, che di nuovo va a citare l'esoterico Kubrick evocato poc'anzi: non più quello dei rituali massonici ad occhi chiusi/aperti, ma quello del presunto fake-allunaggio.





Albo dunque interessante, indubbiamente, che conclude la grande opera della Barbato nello sviluppo del ciclo meteoritico; ora si aprono le danze, con grande attesa, sul gran finale del 399 e del 400, orchestrato dal Gran Mastro Recchioni in persona.