Dylan Dog Speciale 33 - Saluti da Undead
LORENZO BARBERIS
Il 27 settembre 2019 è uscito il numero 33 dello Speciale dylaniato, che con il nuovo corso del curatore Roberto Recchioni ha visto lo sviluppo del Pianeta dei Morti di Alessandro Bilotta, nato nel 2008 su un Color Fest e divenuto un vasto "futuro alternativo". Come recita già il titolo, qui il salto indietro è a un momento ancora più seminale, quella Undead che ospitava gli esperimenti di Xabaras nel celebre numero uno.
La cover di Marco Mastrazzo, sempre tecnicamente impeccabile, non aggiunge forse molto all'albo, ma è sempre gradevole visivamente. Potenti invece i disegni di Paolo Bacilieri, con cui l'albo assume subito una fortissima carica di autorialità. In più, ad assistere l'autore Vincenzo Filosa, che ha contribuito alle matite e Fabio Ramiro Rossin, che si è occupato invece dei retini grigi, come spiegano qui gli Audaci.
Fin dalle prime pagine notiamo una Undead che ricorda più, per certi versi, la Zona del Crepuscolo: non gli zombie classicamente feroci (che si erano avuti nel primo episodio) ma quelli stralunati, inconsapevolmente ancora umani (e ovviamente metafora del non senso dell'esistenza di ciascuno di noi) apparsi dal numero 7 in poi.
Le "lampade a forma di gallo" che, in modo insulso e inutile, produce la fabbrica dove si trascinano a lavorare i due zombie protagonisti, sono un probabile rimando ad Abraxas come fonte di Xabaras, il cui nome è un anagramma. Un elemento già presente in Sclavi e ripreso da Bilotta, che pone una connessione esplicita con la divinità gnostica dalla solare testa di gallo.
La cosa notevole di Bacilieri è come, rispettando formalmente la griglia bonelliana con scrupolo (a parte il frequente inserimento di riuscite splash page), la decodifichi radicalmente dall'interno, anche grazie al più ampio "spazio bianco" posto tra le vignette, che pare quasi a invitare a una closure meno scontata.
La parte più forte della decostruzione della tavola italiana classica passa anche qui per il raffinatissimo lavoro di Bacilieri sull'architettura, che ha il suo apice nel recente Tramezzino (qui l'ottima recensione di Chiara Cvetaeva).
La facciata architettonica, trapuntata di finestre, diviene un correlativo oggettivo della tavola di fumetto, come reso evidente a p. 16: le vignette come finestre, squarci imperfetti da cui sbirciare all'interno della storia. Un parallelismo che si esplicita a tavola 18.
Update del 25/09/2020
Andrea Gallo Lassere, sceneggiatore orrorifico di fumetti di cui ho parlato qui e qui, trova delle analogie nelle strutture del palazzo al centro della vicenda (e quelli che lo circondano) e lo stabile di via Buonarroti, sede della Bonelli editore. Una suggestione interessante, che sarebbe ricca di significato e coerente con la trama generale dell'opera.
La citazione di Joe Galaxy (p.20) è un omaggio a Massimo Mattioli, recentemente scomparso. Meno trasparente, almeno per me, il Mickey Mouse deformato in 22, o la citazione di Ciao!, l'orrida mascotte di Italia 90, n 23, se non per parallelismo con il kitsch delle sculture del gallo che, in 24, illuminano la casa/tavola.
Interessante il contrasto che si crea poco dopo: l'apparizione di Dylan ce lo rappresenta più sereno, con lo psicologo che lo dichiara guarito dai traumi vissuti e lo invita alla leggerezza calviniana (41): il chiaro indizio metafumettistico di una voglia di restart anche per Bilotta, che scioglie la continuity più serrata dei precedenti albi almeno per questo, più digressivo e sostanzialmente autonomo rispetto ad essi.
Subito dopo, però (42), assistiamo a un trionfo di violenza piuttosto cruda e splatter (da cui non è immune nemmeno Osmond: vedi 44).
Se però sembra di essersi incamminati sul filone "patetico", tipicamente sclaviano, de "i veri mostri siamo noi", Bilotta spiazza di nuovo le aspettative nella sequenza successiva, in cui il protagonista si reca, come atteso, ad Undead. Avviene infatti l'incontro con i veri zombie "alla Xabaras", in una nuova sequenza action-splatter non priva di autentico disgusto, tutt'altro (54).
E tuttavia anche nell'apparente serenità degli zombie "da Crepuscolo" c'è lo stesso orrore, ridotto da Splash Page (54) a vignetta semplice (l'ultima di 71, ma con ripresa in 73.i e oltre), ma sempre presente, anche se meno vistoso.
La fuga di Dylan, con un raro uso di vignette circolari (coerente allo spezzare la griglia squadrata della casa, in 81).
Il tema dei flagellanti (che a sua volta si ricollega a Xabaras/Abraxas gnostico, effigiato con un flagello in mano) tesse qualche snodo di questa "blanda continuity" (seconda dopo quella della serie regolare), ma non spiega nulla (105), come chiosa Dylan davanti alla Shard Tower che, nel presente della serie, ospita John Ghost.
Il colpo di scena finale, per ora, sembra un po' posticcio, anche se certamente apre a sviluppi interessanti, ma non aggiunge molto a una storia giocata sul registro d'atmosfera più che su quello della trama e delle sue peripezie. Sull'evocazione emotiva dello spirito sclaviano, aggiornato al sottile nichilismo di Bilotta, la riuscita invece è innegabile.
La citazione di Joe Galaxy (p.20) è un omaggio a Massimo Mattioli, recentemente scomparso. Meno trasparente, almeno per me, il Mickey Mouse deformato in 22, o la citazione di Ciao!, l'orrida mascotte di Italia 90, n 23, se non per parallelismo con il kitsch delle sculture del gallo che, in 24, illuminano la casa/tavola.
Interessante il contrasto che si crea poco dopo: l'apparizione di Dylan ce lo rappresenta più sereno, con lo psicologo che lo dichiara guarito dai traumi vissuti e lo invita alla leggerezza calviniana (41): il chiaro indizio metafumettistico di una voglia di restart anche per Bilotta, che scioglie la continuity più serrata dei precedenti albi almeno per questo, più digressivo e sostanzialmente autonomo rispetto ad essi.
Subito dopo, però (42), assistiamo a un trionfo di violenza piuttosto cruda e splatter (da cui non è immune nemmeno Osmond: vedi 44).
Se però sembra di essersi incamminati sul filone "patetico", tipicamente sclaviano, de "i veri mostri siamo noi", Bilotta spiazza di nuovo le aspettative nella sequenza successiva, in cui il protagonista si reca, come atteso, ad Undead. Avviene infatti l'incontro con i veri zombie "alla Xabaras", in una nuova sequenza action-splatter non priva di autentico disgusto, tutt'altro (54).
E tuttavia anche nell'apparente serenità degli zombie "da Crepuscolo" c'è lo stesso orrore, ridotto da Splash Page (54) a vignetta semplice (l'ultima di 71, ma con ripresa in 73.i e oltre), ma sempre presente, anche se meno vistoso.
La fuga di Dylan, con un raro uso di vignette circolari (coerente allo spezzare la griglia squadrata della casa, in 81).
Il tema dei flagellanti (che a sua volta si ricollega a Xabaras/Abraxas gnostico, effigiato con un flagello in mano) tesse qualche snodo di questa "blanda continuity" (seconda dopo quella della serie regolare), ma non spiega nulla (105), come chiosa Dylan davanti alla Shard Tower che, nel presente della serie, ospita John Ghost.
Il colpo di scena finale, per ora, sembra un po' posticcio, anche se certamente apre a sviluppi interessanti, ma non aggiunge molto a una storia giocata sul registro d'atmosfera più che su quello della trama e delle sue peripezie. Sull'evocazione emotiva dello spirito sclaviano, aggiornato al sottile nichilismo di Bilotta, la riuscita invece è innegabile.