Samuel Stern #4 / L'isola dei perduti - un'analisi





Torna per il suo quarto appuntamento in edicola "Samuel Stern", la novità fumettistica da edicola - e solo da edicola - di questo 2020, che sto seguendo con attenzione (qui le mie recensioni dei numeri uno, due e tre) anche dato il mio interesse per il fumetto "esoterico". 



Questo quarto numero vede sempre Massimiliano Filadoro e Gianmarco Fumasoli a soggetto e sceneggiatura, mentre per i disegni arriva Ludovica Ceregatti. La cover, sempre di Piccioni, Di Vincenzo e Tanzillo, conferma la sua efficacia con un'immagine di forte impatto (ma non slegata dall'albo) tramite un netto contrasto chiaroscurale di impronta pittorica, e una forte angolazione di camera. 



Nella presente analisi non sono presenti particolari spoiler: in caso di timori al proposito, ovviamente, tornare qui dopo aver letto l'albo.



Il brano di apertura di Derryleng (che abbiamo conosciuto come personaggio nello scorso numero) tratta stavolta il tema delle "isole perdute", l'argomento che è logico aspettarsi nel numero. Il filo conduttore - oltre ai molti mitologemi citati, da Atlantide in giù - è quello del pensiero sul mito di Mircea Eliade, che conferma un taglio colto - e vagamente ermetico, come è giusto che sia - di queste prefazioni.



Assistiamo inoltre alla prima trasferta del personaggio, sia pure in questo caso rimanendo in un ambito vicino, un'isoletta delle Ebridi realmente esistente, come evidente fin dal titolo. La trasferta, in questo caso, più che introdurre un luogo esotico rispetto alle consuetudini del personaggio, serve anche a rendere credibile un approccio più estremo, per così dire, al problema delle possessioni che è il fulcro del fumetto (un elemento che in un contesto urbano sarebbe meno credibile).



La storia si avvia sui binari prefissati dal set up, che non sveleremo per evitare eventuali spoiler. Lo spunto consente dialoghi piuttosto brillanti, con una venatura di humour nero. Una scrittura ben supportata dal disegno della Ceregatti, con un segno nitido e preciso e una particolare cura nell'espressività dei personaggi, di cui si coglie a tratti (senza arrivare al caricaturale) una certa ironica accentuazione delle espressioni. Un segno che comunque dà ancora il meglio di sé quando, come avviene anche qui nel prosieguo della storia, può indugiare in mostruosità orrorifiche legate da un lato al gusto esoterico, dall'altro a una certa inquietante carnalità.











Questa volta, rispetto ad altri albi più "d'azione", l'orrore ci mette un po' di più a manifestarsi, entrando in scena solo verso la metà dell'albo, mentre la prima parte è dedicata all'approfondimento psicologico dei due comprimari, Samuel e Padre Duncan, e agli aspetti quotidiani della loro indagine sovrannaturale.



Nella seconda parte dell'albo inizia a baluginare anche un qualche rimando più esplicito all'occultismo: nello sviluppo della storia fanno la loro comparsa, in modo ancora per ora vago e accennato, simbolismi esoterici e rituali oscuri. Si conferma anche (vedi 61.i) il parallelismo con "Outcast" di Kirkman, che probabilmente sarà sviluppato con le dovute differenze (ad esempio, un più accentuato elemento sovrannaturalistico) ma che qui introduce un'ulteriore potenziale simiglianza (per quanto sia uno sviluppo prevedibile nel prosieguo di una serie "esoterica": ad esempio, elementi simili appaiono anche in "Supernatural", per citare un esempio dalla serialità televisiva).



La cosa curiosa è che nella ricezione critica della testata si dà in genere maggior rilievo al parallelo con Dylan Dog (su questo, come ho già detto varie volte, io trovo più una comunanza generica agli stilemi della detection bonelliana, e quindi bonellide, che non a Dylan in sé). Ad esempio, nella recensione di Alberto Brambilla  - a mio avviso in questo caso decisamente ingenerosa, più nei toni che nei legittimi contenuti critici - su "Fumettologica", che pure cita Outcast lateralmente, ma poi si concentra su un "rovesciamento oscuro di Dylan" (che, per paradosso, sarebbe stato interessante, nonostante appaia forzato).



A margine, ai tempi un'operazione di tale tipo, ai tempi era stato tentata in un numero di John Doe (vedi qui) o col curioso esperimento di Daryl Dark. Ma qui siamo nel campo di curiosità per dylaniati, quindi torniamo sull'albo di Stern.



L'azione che era stata dilazionata nella prima parte dell'albo torna in un frenetico, concitato finale, che offre alla Ceregatti l'occasione per dare anche su questo buona prova di sé in scene orrorifiche col giusto grado di inquietudine esoterica e "carnale"



Il taglio della narrazione e del disegno, anche grazie a un montaggio piuttosto moderno, con soluzioni più americane rispetto alla classica gabbia bonelliana (ormai riformata anche nella "casa madre", del resto, in varia misura) offrono passaggi piuttosto godibili che culminano, narrativamente e anche visivamente, nella "scena del quadro" (già condivisa su internet, e che quindi mi sento di citare senza dare altri elementi di contesto):











L'efficacia della scena è indubbia. Un lettore minimamente smaliziato credo capisca rapidamente dove si va a parare (i segnali, anche giustamente, sono disseminati nella narrazione in modo correttamente canonico), ma la scena è gustosa anche nell'assenza, qui, di un reale "effetto a sorpresa" (mentre era filosoficamente interessante, a mio avviso, il numero 3, il più originale forse finora nella costruzione di un dilemma morale sul tema delle possessioni), che arriverà ancor più avanti.



Il bilanciamento di bianco e nero è efficace, anche se non particolarmente "caricato al nero" di quanto usualmente avvenga nell'horror. Tuttavia - e non è il primo fumetto bonellide in cui mi viene questa sensazione: è un tratto che ho riscontrato, ad esempio, anche nel valido Caput Mundi - mi viene la curiosità personale di vedere queste tavole con una opportuna colorazione di atmosfera (mentre non mi viene questa idea nei classici del bianco e nero bonelliano, un Roi, un Mari, un Dall'Agnol o similari). 



Dopo aver fatto tralucere l'esoterico, il suo pieno palesarsi verso il finale è un elemento ben calcolato, in 87, con l'esagramma unicursuale di Crowley e soci (vedi qui, ad esempio, un noto sito in dubbio bilico tra fondamentalismo cristiano e trolling, che fa parte della moderna cultura generale esoterica su internet).



Inoltre, se alcuni elementi (cui ho rimandato prima) fanno pensare ad Outcast, altri, legati al "colpo di scena" conclusivo, introducono anche la necessaria variazione, ricollegandosi al limite a una certa lettura dello scontro cosmico tra bene e male che appaiono in Hellblazer, in Sandman, in Supernatural, in Streghe (per citare alcuni esempi notori di supernatural fiction, fumettistica e no). Topoi universali, anche qui, di cui Samuel Stern punterà nei prossimi numeri a definire in una personale permutazione.



Per concludere, dunque, Samuel Stern si conferma intanto un piacevole intrattenimento per gli amanti dell'horror fumettistico. Nell'attesa di vedere quanto saprà scavare, nel tempo, negli abissi davvero profondi dell'inquietudini, e con quali armi: approfittando magari, appunto, della maggior libertà che consente l'estraneità al "mainstream" bonelliano, per quanto oggi forse anche questo più libero di un tempo. In fondo, come ci ricorda anche Gozzano parlando di isole impossibili, è la prossima storia, la prossima gothic novel quella che ci potrà svelare porte del plaisir du texte ancora non svelate. 



O del piacere di avere paura.










Ma bella più di tutte l’Isola Non-Trovata:


     quella che il Re di Spagna s’ebbe da suo cugino


     il Re di Portogallo con firma sugellata


     e bulla del Pontefice in gotico latino.





     L’Infante fece vela pel regno favoloso,


     vide le fortunate: Iunonia, Gorgo, Hera


     e il Mare di Sargasso e il Mare Tenebroso


     quell’isola cercando... Ma l’isola non c’era.





     Invano le galee panciute a vele tonde,


     le caravelle invano armarono la prora:


     con pace del Pontefice l’isola si nasconde,


     e Portogallo e Spagna la cercano tuttora.





     


     L’isola esiste. Appare talora di lontano


     tra Teneriffe e Palma, soffusa di mistero:


     "...l’Isola Non-Trovata!" Il buon Canarïano


     dal Picco alto di Teyde l’addita al forestiero.





     La segnano le carte antiche dei corsari.


     ...Hifola da - trovarfi? ...Hifola pellegrina?...


     È l’isola fatata che scivola sui mari;


     talora i naviganti la vedono vicina...





     Radono con le prore quella beata riva:


     tra fiori mai veduti svettano palme somme,


     odora la divina foresta spessa e viva,


     lacrima il cardamomo, trasudano le gomme...





     S’annuncia col profumo, come una cortigiana,


     l’Isola Non-Trovata... Ma, se il pilota avanza,


     rapida si dilegua come parvenza vana,




     si tinge dell’azzurro color di lontananza...