Dylan Dog: La casa che piange





Il Maxi Dylan Dog n.38, in edicola dal 26 febbraio, sarà l'ultimo di questa formula, con tre storie ambientate nell'era del Dylan "classico". Lo chiarisce l'editoriale congiunto di Roberto Recchioni e Franco Busatta, che diverrà il nuovo curatore con il nuovo progetto, presentato dal prossimo numero.



Veniamo quindi a queste tre storie di chiusura, che per l'occasione (e per il molto tempo a disposizione che tutti abbiamo) ho deciso di centellinare, leggendo e recensendo una per volta. E cominciamo proprio dalla fine, la storia di Giancarlo Marzano, uno sceneggiatore che apprezzo sempre ma che ho trovato su questo numero particolarmente in forma.



I disegni dell'albo sono ad opera dello studio Piccatto, per le matite di Luigi Piccatto e Giulia Massaglia, e gli inchiostri di Matteo Santaniello. Il segno di Piccatto è perfetto per storie dotate tra le righe di un certo humour nero, e Marzano non si fa sfuggire l'occasione con una storia intrisa di un certo brillante sarcasmo che è tra le doti di questo sceneggiatore.











La storia si apre in una villa d'élite della fidanzata di Dylan, quella che dà il titolo alla storia. I nouveau riches d'oggi sono descritti col giusto taglio di graffiante ironia, soprattutto grazie ai vivaci dialoghi di tutto l'albo. Si parte dai menu pretenziosi di questo brunch signorile fino ad arrivare alla strutturazione stessa della casa, naturalmente edificata secondo i migliori principi del feng shui. Manca solo Greta Thunberg invitata d'onore a sferzare i gioviali miliardari compiaciuti per il brivido d'emozione donato dal penitenziagite ecologico.











Marzano come al solito realizza una struttura classica elegante, e perfino compiaciuta, con tutti i dovuti set up che produrranno in corso d'opera il dovuto pay off. L'intro di due tavole mute all'inizio, ad esempio, che tornerà nel finale e attraverserà tutto il testo in un ben punteggiato "tema del rospo" (sarebbe piaciuto a Crowley e all'occultismo classico), ma anche p.204.iii, ad esempio.



Un Dylan old style, dunque, a partire anche dal sesso (un pochino) e ultraviolenza (a volontà) in campo. La mattina dopo la festa d'inaugurazione il sovrannaturale inizia a manifestarsi - con la casa che piange del titolo, che è certo anche una strizzata d'occhio alla - opposta, ovviamente - "Casa con le finestre che ridono" (1976) di Avati, grande classico dell'horror padano.











Dopo gli irritanti nuovi ricchi, raffinati e cool, Marzano ci fa incontrare i classici capitalisti cattivi di sclaviana memoria, intenti a un disboscamento (e, proseguendo, ad altre malvagità assortite). A differenza dell'accorato spirito sclaviano (e di molti emuli come Medda), in Marzano pare di leggere un filo di autoironia nello sviluppo del cliché del cattivo speculatore, che fa la fine più logica possibile in un horror di matrice anni '80.



Secondo lo schema di molti Dylan tradizionali, l'indagine del protagonista si alterna a nuovi siparietti splatter, sempre molto divertenti, grazie anche all'accurato gusto per i dettagli del team di disegnatori. Soprattutto il terzo delitto è particolarmente efferato, anche visivamente, in un crescendo di originalità orrorosa. Come, in fondo, è giusto che sia.



La soluzione non è difficilissima per un lettore di fumetto dylaniato, ma è comunque ben strutturata e chiara. Nella villa con quadri di Keith Haring alle pareti si consuma il colpo di scena e lo scontro finale, prima della consueta chiusura del caso con gli appunti di diario di Dylan, e la classica "scena dopo i titoli di coda" che conferma che l'orrore non è vinto, ma più vivo che mai.











La griglia, come quasi sempre con Marzano, è quella storica, "a mattoncino", ma con diverse soluzioni riuscite, ben supportate dall'efficacia del tratto "piccattiano": ad esempio certe belle simmetrie come p.236-237, o - a distanza - 205-250, 201-271, che utilizzano bene anche le ben dosate quadruple (qui l'inquietudine viene da uno stesso scenario presentato prima come rassicurante e poi come terrifico).



Una storia classica ma pienamente gustosa, anche grazie, come accennato, all'efficacia dei disegni, accurati (e quindi splatteristici) ma anche con quel tot di ironia dark impostata dal testo.

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Bonus Track:
Marzano ha messo disponibile online - per questi giorni di clausura forzata - un suo film del 1999, che anch'io devo ancora vedere, "Torino Calabro 9", irrinunciabile per i piemontesi come me.

https://www.youtube.com/watch?v=5s_3svxOqEw