Francesco Corigliano, "Malasacra" (2019) - Un'analisi

 


La raccolta di racconti "Malasacra" (2019) di Francesco Corigliano è un interessante esempio di recente letteratura esoterica italiana. Il titolo quasi evoca il quartiere praghese di Mala Strana (luogo esoterico per eccellenza, del resto), come evidenzia oltre il resto anche la bella prefazione di Danilo Arrigoni. Il termine sembra evocare "mala sacra": cose sacre eppure malvagie. Quasi un ossimoro, ma un ossimoro "interno", in quanto in latino il concetto di "sacer" rimanda in modo ambivalente sia al sacro quanto al maledetto, come vox media che poi si perde in italiano.

L'efficace copertina di Franco Brambilla conferma questo senso di inquietudine con corpi misteriosi e poco rassicuranti che emergono dalle acque come dall'inconscio dell'autore, in uno stile surrealista che pare quasi ricordare un Magritte oscuro.

Edito da Kipple edizioni nella collna K Noir, dedicata all'horror e al weird, in esergo si riporta una citazione di Sancta Sanctorum, il secondo racconto, di cui si sottolinea così l'importanza strategica nel piano narrativo dell'autore. "L'amigdala del sacro" si trova nella follia e il protagonista (ma, in questa citazione, pare alludere a una poetica condivisa dall'autore e dall'hypocrite lecteur) "impazzirà per divenirne degno". Siamo dunque nei dintorni di Providence, per certi versi: ma come vedremo con una forte specificità e, cosa che mi compiace, una specificità italiana.

"Il silenzio", il breve racconto che introduce la raccolta, evoca l'incontro con l'orrore cosmico senza precisarlo, lasciando sulla soglia della percezione senza esplicita, aperta manifestazione (almeno al lettore, almeno nei margini della narrazione). Una prosa d'arte che pare evocare un tema classico della letteratura italiana, della poesia in specie, il confronto con la realtà naturale che risponde all'io poetico osservante ma che, da Petrarca in poi, lo fa con inquietudine, "ove per poco il cor non si spaura". 

Una degna introduzione al più programmatico e tipico "Sancta Sanctorum", che ci conduce nel vivo della raccolta. Corigliano imbastisce un bel contrasto tra il preziosismo stilistico della narrazione - che, con qualche variazione nel registro, accomuna le varie novelle - e il tema inquietante con una leggera concessione al disgusto e ovviamente al sottilmente blasfemo. Un contrasto che evoca lo stile decadente degli Scapigliati nelle loro più riuscite novelle orrorifiche. Raffaele Gabrieli, col nome dei due arcangeli più noti (e un angelo è evocato anche nell'incipit, in un quadro), rimanda subito alla "magia angelica" alla John Dee (o alla John Constantine).
De Sanctis, invece, pare quasi un rimando al padre della storia letteraria dell'Italia postunitaria, anche se ci troviamo tra Siracusa e Palermo, e non nei pressi della sua Napoli.

"La verità sulla Carolus Rex" paga poi tributo a William Hope Hodgson, modello di Lovecraft ch viene qui omaggiato nel nome di un marinaio. Un modo per sottolineare come il visionario di Providence sia un punto, pur di rilievo, sulla linea di una lunga tradizione: il merito di Corigliano è di rifarsi ad essa, appunto, nella sua interezza, e non solo col rimando all'acme narrativo lovecraftiano, divenuto ormai il riferimento più pop.

Anche il fatto che il nome della nave si richiami a "Carolus Rex", a Carlo Magno, ha il senso di incistare tale storia - pur di ambientazione moderna: ci sono riferimenti cronologici dichiarati al 2016 - in una tradizione profonda. E non a caso poi si torna indietro sul finire del '500, con le vicende inquietanti della diffusione del cristianesimo in Giappone e i conseguenti martiri. Ma il monaco Bernardo che scrive evoca a sua volta qualcosa di ancor più seminale, col nome del santo che diede la regola ai templari, e uno spirito che rievoca la Navigatio Sancti Brendani, testo fondante della letteratura medievale (X secolo) alle radici anche, in alcuni punti, della Commedia dantesca. Il fatto stesso che la nave di Bernardo si chiami Ecclesia solletica una lettura allegorica, in quanto la metafora della Chiesa come nave in mezzo alla tempesta è fondante del cristianesimo, fin dai Vangeli. Ecco allora che l'orrore "lovecraftiano" (l'umanità come un'isola felice perché ignara, circondata dai marosi dell'orrore cosmico) viene connesso in modo inquietante - e qui sottile, mentre in Sancta Sanctorum era esplicito - alla religiosità cattolica che ha radici particolarmente profonde, come ovvio, nell'Italia del papa.

Con "La terra altrui", in un ulteriore viaggio a ritroso (l'800 scapigliato, le pieghe di inquietudine scovate nella letteratura religiosa) affrontiamo il rapporto col Sacer nelle sue origini in età romana. L'orrore del romano civilizzato - e quindi ormai privo di fede religiosa, corrotto dalla filosofia greca che ferum victorem cepit - nei confronti del sacro indomabile dei germani e dei barbari risulta particolarmente efficace perché, anche qui, fondato su reali pagine (di Tacito e altri) di orrore nei confronti di quei culti primordiali, eppure così più vitali.

Dopo questo trittico che va in profondità e À rebours  (l'orrore nell'occultismo ottocentesco, poi nel Sacro cristiano, poi nel Sacer pagano) segue una triade che potrebbe sembrare indagare tre volti dell'orrore novecentesco, in tre diversi filoni - in parte collegabili ad autori, ma anche come sottogeneri dell'Inquietante.

"Il dragone del vuoto" pone quindi un'ulteriore svolta: cessano i riferimenti storici precisi, siamo in una modernità indefinita, in cui il distacco dal Sacer rende ormai l'uomo quasi sordo al suo manifestarsi, incapace di comprenderlo e orrificarsi. Il cambio di stile, più asciutto e sobrio, unitamente alle tematiche, evoca un ricordo di Dino Buzzati, che sovente ha scritto narrazioni su questo rapporto impossibile con l'assoluto (positivo o negativo): il tema dell'Occasione Mancata che spesso è anche esistenziale (il Colombre), ma spesso è semplicemente il mancato rapporto col sovrannaturale (divino, diabolico o neutro): "Una goccia", ad esempio. Se vogliamo anche indagare la ripresa di stilemi dall'immaginario cattolico (risignificati), vi appare un rovesciamento del concetto del "Dio del vuoto", il Dio usato come ipotesi filosofica per spiegare ciò che non si può spiegare in altro modo, i cui spazi - con lo sviluppo della scienza - si sono rimpiccioliti a dismisura. Lo stesso avviene per il Drago, simbolo diabolico, che viene ancor più che ridimensionato, cancellato dalla modernità, ancor più di Dio, e resiste come ombra (e quindi Ombra dell'Ombra, ricorsiva).

"Del vuoto mormorare. La controlinguistica a partire da Lacan", ricorda invece certi divertissment di Umberto Eco ne Il diario minimo, che anticipano già gli esperimenti sistematici del Nome della Rosa e ancor più del Pendolo di Foucault. Un saggio accademico di linguistica segnato dall'oltranza della ricerca universitaria più avanzata (Corigliano, che ha conseguito un Dottorato di ricerca sul weird, non è digiuno di tale ambito, anzi) che conduce all'inevitabile disfarsi del linguaggio come massimo orrore.

Tra l'altro proprio nel Pendolo Eco, forse più sottilmente, fa intuire a Casaubon di aver perso una funzione del linguaggio, quella metaforica, cancellata dal complottismo: per cui, se si fa un riferimento a un "tramonto rosso sangue", il cospirazionista penserà solo e subito a un allusione al graal o ai culti vampirici, perdendosi il livello dell'apprezzamento letterario che costituisce il segno della civiltà linguistica.

"In tenebris umbra" esplora ancora un altro volto del letterario moderno, esaltandone le ombre inquietanti: il giallo "colto", il giallo italiano nobilitato dalla funzione sociale, da Gadda in poi (e con una particolare rilevanza, è chiaro, in ambito siciliano e dell'Italia meridionale in genere, con Sciascia prima, e con Montalbano e Ricciardi poi). Qui, al primo livello, si va a indagare uno dei nuclei forti delle ombre inesplorate dal giallo all'italiana: non solo la mafia (qui, in Calabria, la 'ndrangheta), ma le sue profonde connessioni con la massoneria (vedi qui, ad esempio). Corigliano scende ancora a un "terzo livello" e coglie ovviamente, come proprio di quest'opera, le sfumature esoteriche di questo "patto scellerato".

Seguono una triade che potremmo collocare, in questo sistema che abbiamo individuato, di variazione geografica, con incursioni siberiane con Megataiga e in Galizia con Il funebre canto, prima di un ritorno dell'autore alle sue terre. A indicare che l'orrore di cui tratta è universale, ancestrale ma non per predilezione di un singolo luogo specifico: e che però quel luogo specifico (inteso come i suoi dintorni stretti, e inteso come una certa tradizione occidentale) gli interessa qui indagare.

"Del male" ritorna così in modo centrale sul tema del Sacer cattolico, che nei racconti precedenti aveva occhieggiato (tranne in Sancta Sanctorum, ove era programmatico). Se in quell'opera vi era la visione laica, esoterica, del riuso della reliquia, qui il culto della reliquia e il suo orrore è colto dall'interno del luogo sacro, tramite il santuario di San Francesco di Paola presso la città omonima. Una connessione anche onomantica col suo autore, prima di un ultimo racconto, "Le colline e la città", che resta su questi luoghi (si evoca Vibo Valentia) ma introduce una sperimentazione grafica in sé non assoluta, ma pregevolmente sviluppata: vasti spazi bianchi, a incorniciare lacerti di testo in prima persona. Un diario di discesa nell'orrore la cui conclusione, però, è accortamente antilovecraftiana, potremmo dire, nell'evocare il vero significato possibile dell'orrore, quello del puro non-senso: "Sarebbe forse meno doloroso dover credere che qui, sotto la martoriata e marcia Calabria, non giaccia altro che stupida, inutile, mutissima terra?".

L'orrore cosmico, dunque, ma come specchio dell'orrore nichilistico quotidiano: qui declinato con rimando alla terra dell'autore, ma che il lettore può facilmente estendere ai propri dintorni. Certo, con più facilità quanto più condivide qualche elemento con la costellazione mentale che Corigliano abilmente evoca e suggerisce. Ecco, però: io scrivo dalla provincia profonda del Piemonte, da quella Cuneo che ho spesso ho indagato nei suoi meandri gotici ed esoterici (in chiave perlopiù saggistica, tramite l'affascinante progetto del CuNeoGotico del prof. Biffi Gentili, cui mi onoro di aver partecipato). E devo dire che, anche da qui, l'inquietudine di Corigliano risuona forte e chiara, eco ineliminabile di un'Italia ancestrale che ci accomuna.