Jioke, Pazzia

 


"Pazzia " di Jioke, nome d'arte di Giovanni Dell'Oro, è una lettura profondamente disturbante. Si tratta del fumetto di debutto di questo fumettista emerso, come ormai molti, online. La particolarità dell'autore sta indubbiamente nella scelta di un horror decisamente radicale, piuttosto raro almeno sulla scena italiana, dove di solito si vede una alternanza di intimismo e di umorismo surreale, ovviamente con molte variazioni ma poche che si spingano (almeno con ampio successo di pubblico) nei territori dell'orrore (se non, a volte, in modo ironico, e soprattutto in ambito internazionale: l'adorabile famigliola satanista di Belzebub, oppure la "Slutty Witch" di War And Peas).

Qui invece non siamo solo dalle parti dell'orrore, ma di un orrore radicale. Undici storie brevi, due inediti, che indagano i temi più crudi della psiche umana: come recita il titolo, è la follia il centro dell'orrore, più che mostri, demoni o fantasmi.

Giovanni Dell’Oro è nato nel 1996. Ha iniziato sin da bambino a inventare e scrivere storie e non si è mai fermato, affinando nel tempo uno stile personale sia per i temi, sia per il tratto. Ha iniziato nel 2014 a pubblicare brevi storie sulle sue pagine social, appassionando e coinvolgendo decine di migliaia di fan. Diplomato all'Accademia di Brera, frequenta la scuola Internazionale di Comics a Milano. 

Federico Salvan, editor di Edizioni BD, che ha pubbblicato l'opera, spiega giustamente: «JiokE si è costruito, a colpi di racconti spietati e serviti benissimo dal suo stile da incubo (in senso positivo visto il tema), una schiera di fan che, come noi, amano i fumetti in grado di risvegliare forti emozioni. Cosa che queste storie faranno ancora meglio su carta, con l'atto fisico di voltare pagina come perfetto meccanismo-generatore di suspense per la prossima, terrificante sorpresa che Giovanni ci scaglia contro.»




In effetti, le storie di Jioke hanno varie frecce al loro arco da scagliare dritte al cuore del lettore. Il segno, innanzitutto, riprende da un lato il manga orrorifico, pur in una sintesi personale, e da esso deriva un elemento non facilmente riproponibile nel fumetto occidentale classico. Infatti il segno morbido, tondeggiante, stilizzato del manga si presta perfettamente a un gioco di contrasto tra una situazione iniziale apparentemente serena (benché già percorsa magari da rivoli di inquietudine, specie nella forma breve che deve, come in questo caso, arrivare più rapidamente al punto) e il dilagare di un orrore assoluto, dirompente, dilaniante fisicamente e psicologicamente per i protagonisti (spesso giovanissimi, come avviene anche qui). Il nome archetipo che viene in mente è quello di Junji Itō, ma vi è tutta una ricca tradizione al riguardo.

Il manga adotta però solitamente un segno "pulito", in un netto contrasto di bianchi e neri o, più frequentemente, con l'uso di mezzatinte in retinatura; quando non è presente (più nell'animazione o nel videogame che sfruttano il segno manga) il colore. Anche nei casi, meno frequenti, in cui vi sia un segno più nervoso vi è sempre di fondo una certa pulizia formale (almeno nelle forme più mainstream, e più diffuse). Viceversa, Jioke adotta un segno che fa del tratteggio ossessivo uno dei suoi marchi di fabbrica, elemento che - utilmente - pone una separazione tra il suo segno autoriale e lo "stile medio" dell'horror nipponico. Un elemento visivo che, opportunamente calibrato, riesce a evocare un senso costante di oppressione psicotica.

Le storie sfruttano poi abilmente il classico meccanismo del "rovesciamento finale", impostosi soprattutto nei maestri dell'horror breve americano degli anni '50, nomi come Matheson, Brown, Bradbury, maestri della fantascienza, ma anche del fantastico e dell'orrorifico. Focus sulla psicologia, forte tensione narrativa, scioglimento con un ribaltamento spiazzante: una scelta che qui può apparire a volte un po' manieristica al lettore più smaliziato, ma conserva la sua efficacia intatta.



Altra tecnica che viene usata (come in "Segreti") è quella di una autocensura rivelatoria del personaggio: i testi del balloon di pensiero mostrano censure che sono però indicative dei reali pensieri che si vogliono rimuovere e poi esploderanno. Viene in mente, tra i casi celebri, un videogame come "Doki Doki Literature Club", che ne fa ampio uso.

Qui l'autore ricorre oltretutto, raffinatamente, a una "doppia censura": una riga tirata sopra alle affermazioni discutibili meno gravi, e una scarabocchiatura (sotto cui però possiamo indovinare la scritta originaria, con un po' di sforzo) per quelle più atroci. Un doppio livello che rafforza la funzionalità di questo espediente.

In altre opere, come "La stella di Beatrice", questa tecnica si estende anche alla cancellazione degli occhi di una persona, con valore emotivo, intervenendo quindi non solo nei testi ma anche nel disegno.

Altrove, come in "Intrusi", l'uso di un tratteggio nervoso è esteso invece al contorno delle vignette, a segnare i momenti più tragici della storia. In "Crooked", è invece l'intero segno delle vignette che è sottoposto a un progressivo deterioramento man mano che si ripetono le nottate all'addiaccio dei protagonisti, sempre più disperati.

Insomma, una ricerca stilistica interessante, messa al servizio dell'orrore più nero, e la cui vicinanza con l'horror fumettistico nipponico è sottolineata anche dal formato adottato dall'editore, vicino a quello della etichetta  J-POP Manga. Un esperimento che porta nuova linfa nella ricca tradizione dell'horror fumettistico italiano, che spazia dal mainstream di Dylan Dog e della nuova serialità di Samuel Stern fino all'orrore radicale di editrici come Ed Ink. Qui ci troviamo però nei pressi di un potenziale "horror radicale di massa" fumettistico, che coniuga un discorso estremo - per contenuti e visivamente - con una declinazione rivolta al grande pubblico, almeno online. Sarà interessante vederne gli sviluppi.

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Rimando direttamente al profilo facebook dell'autore, dove potete leggere gran parte delle sue storie:

https://www.facebook.com/Jiokeart