Alfabeto Simenon / Un'analisi

"Alfabeto Simenon", dello sceneggiatore Alberto Schiavone e del disegnatore Maurizio Lacavalla per Edizioni BD, è un'opera a fumetti di grande interesse. Innanzitutto, perché affronta, come è evidente, Georges Simenon (1903-1989), tra le altre cose padre di un giallo moderno con il suo commissario Maigret, una figura affascinante, sfuggente, tutto sommato poco indagata dal fumetto dove la fa da padrone la figura ingombrante, più "supereroistica", dell'Holmes di Arthur Conan Doyle.

Anche il padre Brown di Chesterton, che ne è una prima revisione in chiave cattolica, non ha goduto di un eguale successo (ne ho trattato qui). A Simenon va un po' meglio, perché il suo Maigret è giustamente una gloria nazionale francese ed è quindi, in modo sacrosanto, "propheta in patria", come ricostruisce questo sito dedicato italiano (vedi qui).

Ma non risultano biografie fumettate dell'autore, anche per la difficoltà di condensare nella narrazione sequenziale - che richiede un certo grado di sintesi - la storia sterminata di Simenon, come autore (con la sua produzione industriale benché di qualità, al ritmo di 80 pagine al giorno) e come persona (con una bulimia a tratti quasi patologica di amanti, relazioni, spostamenti.

La scelta di Schiavone, precisata anche nell'introduzione, è particolarmente brillante ed evidenziata dal titolo: un Alfabeto Simenon, appunto, 26 brevi capitoli, uno per lettera dell'alfabeto, racconti a fumetti teoricamente autosufficienti, ma che si saldano in modo irregolare a comporre un quadro d'insieme, non esaustivo (sarebbe impossibile) ma in grado di lanciare comunque uno sguardo più profondo sull'autore rispetto a un tentativo di biografia ordinata, classica.



L'eleganza della soluzione, già originale di per sé, sta anche nell'essere un rimando all'idea di letteratura ostentata da Simenon (certo anche con una parte di istrionismo che faceva parte del Grande Autore): il Metodo Simenon, spiegato anche in postfazione da Bruno Gambarotta - che lo conobbe, all'epoca operatore televisivo, e poi scrittore dall'ineffabile umorismo piemontese.

Si prende un elenco del telefono (che è in sé, ovviamente, un elenco alfabetico), se ne scelgono alcuni nomi che divengono personaggi. Quindi li si modella, li si costruisce sulla suggestione del suono e del significato del nome, e li si getta in una vicenda che ne intrecci le esistenze. Alfabeto e Cut-Up, insomma, in una formula chiaramente non immediatamente replicabile da chi non abbia la maestria simenoniana, ma rivelatoria di una volontà di estrarre i propri attori dal "popolo nudo", come egli lo definiva.

Schiavone, classe 1980, scrittore con un solido percorso (da "La mischia", scelto per i "Cento nomi dell'anno" di Repubblica nel 2009), dimostra un'ottima, appassionata conoscenza dell'autore, che emerge nella scelta di aneddoti, brani, racconti, sintesi di romanzi sempre rivelatorie, originali, che si incastrano tra loro in un puzzle scaleno evitando sia una eccessiva frammentarietà (nell'accumulo, emerge un quadro di fondo omogeneo, una lettura accurata dell'autore) sia una casuale ripetitività (ogni frammento aggiunge un dettaglio rivelatore, una nuova prospettiva della testa di Simenon che Gambarotta inquadrava da ogni angolazione in quel lontano 1963 del loro incontro).


Il gioco di specchi si chiarisce fin dall'inizio, dove l'A corrisponde agli Alias, alle molteplici identità letterarie di Simenon, che furono tantissime; narrando anche l'esperimento ipotizzato della "gabbia di vetro", che ne fa intuire la valenza simbolica (la volontà dello scrittore di osservare il popolo nella sua verità naturalistica, lontano dalle convenzioni del giallo come gioco scacchistico astratto), la ricezione insofferente da parte dell'élite intellettuale, insofferente verso il popolare (eccetto Gide, qui eternato alla lettera G: uno dei massimi gran maestri letterari di Francia, che di Simenon aveva una giusta, intuitiva stima altissima).

Fin da questa prima narrazione emerge anche l'efficacia del segno di Maurizio Lacavalla, il disegnatore dell'opera. Classe 1992, ha esordito nel fumetto nel 2019 col graphic novel "Due attese" per Edizioni BD, in nomination al Boscarato del TBCF e al Napoli Comicon. Il tratto è qui cupo, scuro, con un segno nervoso che alterna masse chiare a pozze scure che donano a ogni atmosfera un senso di ambigua quotidianità. La scelta è quella di disegni essenziali, che abbozzano un ambiente, una situazione, un personaggio con poche rapide pennellate nerissime: uno stile che esalta una certa dolente enfasi espressiva, in effetti propria di molti racconti di Simenon, sia nella narrazione psicologica pura che in quella applicata alla detection con Maigret.

Ecco che acquisiscono particolare forza i volti, spesso indagati con primi piani espressivi, intensi ma anche enigmatici, scavati, in una riuscita ricerca del vero psicologico della folla di attori - reali e immaginari - che si accalcano sul palcoscenico di questo sillabario a fumetti. Anche la recitazione dei corpi accompagna ed esalta questo studio espressivo, mentre l'ambientazione, comunque perfettamente evocata, si dissolve volutamente nelle pozze chiaroscurali che avvolgono la scena in quell'eterna penombra, spesso sfruttando anche effetti di sfumato.



La gabbia varia le solite soluzioni consuete: la griglia italiana a tre strip, l'uso occasionale di quadruple e splash page parsimoniose. Spicca il frequente uso della griglia 3X3, a nove vignette, eternata da Moore in Watchmen, qui con scopi diversi da quelli là evocati, ovvero al servizio, in Lacavalla, di una certa claustrofobia che affiora spesso in Simenon (la gabbia di cristallo che evoca l'incipit, come detto). Si veda ad esempio la sequenza p.18-21 per un caso molto efficace, ma questo montaggio ricorre altrove, esaltando con le sue sbarre un po' ossessive la cupezza psicologica costruita come si diceva prima.

Non mancano soluzioni eclettiche di montaggio, come p.25, ma sono punteggiature in un linguaggio accurato, disturbante per piccoli accenni, senza soluzioni urlate (come del resto nella narrazione di Schiavone, e in fondo appunto in quella di Simenon). Si veda la potenza - letta nel racconto - di una tavola come 61, dove in fondo tutto l'effetto inquietante è in un "taglio a metà" inconsueto della figura umana, inserito in tutta la suddetta cornice (i neri, i volti, la tensione sottile della storia...).

In conclusione, un'opera decisamente riuscita, da assaporare con cura, il radicale opposto di un Bignami educativo con le figure che è il rischio del fumetto "letterario". Questo non dà un facile, predigerito Reader Digest di Simenon, ma alcuni flash acuminati su vita e opere in grado di stuzzicare l'appetito del lettore e invogliarlo a tornare alla pagina originaria. Magari in francese, come mi suggeriva una persona a me cara (mi si consenta una piccola nota personale, in chiusura), per assaporare la forza della parola di Simenon nella sua natura originaria.

Se no, possiamo rivederci anche un film con Gino Cervi (che amava Maigret): sono così belli.