Lorenzo Fantoni, Vivere Mille Vite / un'analisi

 


"Vivere mille vite" (Effequ, collana Saggi Pop, 2020) di Lorenzo Fantoni è un libro che ho molto apprezzato. Fantoni, giornalista sulla stampa nazionale, fondatore di Nerdcore, rivista online con cui collaboro, ha la capacità di declinare, nella sua scrittura, un taglio personale, soggettivo, emotivo, in grado di coinvolgere il lettore; ma senza perdere di vista un certo rigore nella visione dei fenomeni - solitamente pop e specialmente videoludici e informatici - che descrive. 

Questo suo primo libro non fa eccezione: un memoir, come lo definisce lo stesso autore, che percorre tramite la sua esperienza personale (e, in molti punti, quella di una generazione che sostanzialmente ci accomuna) la storia del medium videoludicoUno stile, confesso, che a volte cerco di riprendere nelle cose che scrivo, di fumetto o letteratura, essendo più portato io, per formazione e forse carattere, a una scrittura tendenzialmente più asettica. Come chiarisce anche la prefazione di Marina Pierri, questo taglio è però nello specifico perfetto per i videogame, che più delle altre forme d'arte hanno un coinvolgimento forte, con un relazione "anche manuale (...) la partecipazione fisica tramite le mani, il corpo", cosa che spiega la loro particolare impronta emotiva.

Oltre a questo stile riconoscibile che è un punto di forza dell'autore, ci sono due sperimentazioni interessanti. La prima è l'uso della Scevà (dal tedesco Schwa, a sua volta dall'ebraico shĕwā), visivamente una e rovesciata (ə) che rende un suono "neutro" per indicare un termine equidistante da maschile e femminile. La sua introduzione è stata difesa, in particolare, dalla sociolinguista Vera Gheno, che collabora con EffeQu. L'editrice è quindi forse la prima casa editrice a adottare questo espediente, e ciò rende l'opera di Fantoni uno dei primi saggi, probabilmente, a introdurlo (in questo stesso periodo, Lucca Changes l'ha adottato per indicare i premi Gran Guinigi, dedicati ora al miglior autorə) e l'ha inserito in uno dei manifesti, quello di Sio (anche qui, con polemiche). Non saprei elaborare su questo discorso - che, come insegnante di italiano, mi interessa molto - un parere personale definitivo: trovo interessante l'uso in questo saggio, da parte di Fantoni, di tale espediente linguistico solo nei punti in cui ciò assume un valore "forte", rendendolo meno invasivo alla lettura di quanto potrebbe avvenire se fosse costante. Fa fermare il lettore sulla parola, ma di solito si comprende l'esigenza specifica del suo uso.

Sperimentale è anche l'uso di percorsi differenti (segnati da diversi pezzi del Tetris) che permettono al lettore di costruire differenti linee di lettura del testo incastrando in modo diverso i vari capitoli. Un approccio interessante, e che qui si collega in modo forte allo specifico videoludico. Notare che, sottilmente, Fantoni scoraggia la lettura tradizionale del testo, indicando come "vanilla" (termine che nasce dal mondo erotico, e indica chi si limita al sesso tradizionale: per estensione, un certo ingenuo tradizionalismo, diciamo). Il che ha suscitato in me pulsioni anarchiche e non ho seguito nessuno dei percorsi consigliati, ma ho ricostruito un mio percorso personale, saltando liberamente tra i vari capitoli, seguendo il filo della memoria e dell'interesse personale. Che è forse l'approccio che più consiglio.

Un discorso a parte va per il primo capitolo, più ampio, "Una via di fuga", è una sorta di storia del medium letta sempre con lenti molto personali. Una saudade per il videogame che è venuto "prima di noi", quello che abbiamo già giocato, molte volte, con un gusto retrò. Qualcosa che viene evocato anche dalla bella copertina, che nella sua essenzialità evoca subito la potenza iconica del nuovo media. Si tratta di Spacewar (1961), videogioco seminale di tutto il videogame, in un artwork di Simone Ferrini.

Gli altri capitoli, invece, trattano vari aspetti dei videogame, che si intersecano spesso tra loro. Il capitolo sull'Amiga - valido come gli altri - è quello che ha suscitato in me meno feels, in quanto non ho mai posseduto una console, ma ho iniziato nel 1987 con un PC vecchissimo, un 8086, che mio padre - ingegnere insegnante all'ITIS - aveva comprato per ragioni lavorative (l'ITIS stava iniziando a insegnare l'AUTOCAD e doveva studiarlo anche a casa).  Ma altri capitoli mi hanno colpito in modo personale: lo stile di Fantoni, affabile e personale, invita al ricordo e, come spiega correttamente in tutta l'opera, evidenzia come spesso i ricordi legati al videogame sono tra quelli che vanno più in profondità, tra i ricordi legati a un medium. 

Ho letto infatti come primo capitolo quello sui "God Games" (anche perché proposto online, come quello sui Walk Simulators: andateveli a cercare)  che sono stati il mio approccio al videogioco: giochi come Ancient Art Of The War e, soprattutto, SimCity. E ricordo con emozione quando, nel 1990, feci fare una partita a mio nonno, classe 1923, sindaco per vent'anni di Mondovì e da sempre appassionato di politica, che proprio in quell'anno si era, ritirato dalla sua passione amministrativa.  Il libro mi ha anche fatto riflettere su quanto Civilization abbia inciso (forse oltre la mia consapevolezza) sul mio modo di insegnare la storia, dando molto più peso alle evoluzioni tecnologiche (e ai combinati di evoluzioni tecnologiche) rispetto alla storiografia dettagliata di guerre e battaglie.

Prima ancora, ho condiviso il ricordo del "Bestiario di sala giochi": abitando in un piccolo centro, più che la sala giochi in sé (ai miei tempi, era solo quella allestita temporaneamente nelle fiere o per il carnevale, oppure quella visitata nelle vacanze al mare), in effetti la sala giochi diveniva la città, e il vero gioco era ricostruire la mappatura dei videogame dispersi nei peggiori bar malfamati (personalmente, ero appassionato quasi esclusivamente di cloni di Double Dragon, Golden Axe e similari, fuori dal videogioco stragegico a casa).

Doom, invece, e similari (per me, ancor più, Karmageddon) è legato al periodo universitario, dove la scelta per il videogame, in una facoltà di lettere valida ma elitaria che sprezzava i fumetti, era quasi una scelta di campo obbligata e provocatoria per la cultura pop. Dirmi appassionato di Pratt e Pazienza iniziava a non "épater le bourgeois". Ma provate ad apprezzare Max Damage (ma anche Monkey Island, eh: la spocchia del classicismo falsamente inteso non perde tempo a fare distinzioni).

Insomma, almeno per me, forse il modo più corretto per leggere questo libro di Fantoni per chi ha vissuto la storia dei videogame è percorrerlo seguendo il filo della propria memoria (ferma restando la logica dei percorsi proposti, come guida al lettore che preferisce ricevere una direzione). Ma non perché ci si fermi all'amarcord: anzi, il punto di forza è proprio quello di partire da questo aggancio emotivo per fornire una base "storicizzata" alla propria esperienza (e Fantoni è anche abilissimo nel collegare il videogame al quadro culturale globale, con poche pennellate leggere).

Forse, dopo una prima lettura seguendo il sentimento, la rilettura "vanilla" può servire a "platinare" il libro, restituendo al lettore (specie quello digiuno del tutto del medium, o all'opposto al giocatore appassionato ma non ancora appieno consapevole della valenza "culturale" della sua esperienza) un quadro organico del fenomeno. E dato che il videogame andrà sempre più imponendosi nel futuro come una nuova forma di "arte globale", questa "storia familiare" di Fantoni potrà rivelarsi per molti un preziosissimo punto d'accesso.