Dylan Dog 413 - I padroni del nulla

 


Dylan Dog 413, "I padroni del nulla", si apre con una appropriata cover carnascialesca di Gigi Cavenago, che anticipa correttamente i temi contenuti all'interno dell'albo.  Può meritare sottolineare una citazione chiarita online, quella del carro di Jacopo Allegrucci al Carnevale di Viareggio, una delle eccellenze della cultura italiana che viene celebrata (citazione appropriata, tra l'altro, nell'effigiare il diavolo in maschera).

Anche Dylan appare mascherato, non so se per la prima volta in copertina, con a fianco il "piccolo Arlecchino" diabolico che è il trait d'union di queste storie di Carlo Ambrosini autore completo sulla serie regolare, a partire da quel numero 325 con cui è iniziato, ormai otto anni fa, nel 2013, la nuova stagione del personaggio (e con cui sono iniziate queste mie recensioni sul blog).

Come sottolinea anche il curatore Recchioni nell'editoriale del mese, quella di Ambrosini è forse la voce più propriamente "autoriale" del Dylan di oggi (Bilotta lo è forse più sul suo Pianeta dei Morti che sulla regolare). Questo comporta anche una trama piuttosto intricata, almeno per gli standard del fumetto popolare, per cui - anche per riordinarmi le idee - ho buttato giù questi appunti un po' più aderenti alla storia del solito. Ciò fa sì che il testo, di qui in poi, vada affrontato dopo la lettura dell'albo.

Dal punto visivo, la storia in questione conferma l'evoluzione dello stile dylaniato di Ambrosini degli ultimi anni, anche sotto il profilo di un segno che si è fatto progressivamente "di sintesi", con una cupezza da xilografia espressionistica (parallela alla evoluzione del segno di un altro grande autore della testata, il disegnatore Piero Dall'Agnol), e che si sposa bene a queste storie più autoriali. Si noti, ad esempio, nella prima tavola, come il cielo "graffiato" dietro a Dylan in 5.i richiami la consueta resa dei bianchi "sporcati" nell'incisione classica su legno.

E la cosa ha un parallelo con una certa durezza "scolpita" dei volti, delle espressioni e dei corpi, da scultura lignea, con tutto ciò che implica anche in una certa voluta legnosità di espressione, che, a livello tematico, combacia con il tema di fondo del "teatrino di marionette", sia per la presenza dell'Arlecchino (e qui del Pulcinella), sia per il tema nichilistico di stampo quasi pirandelliano (la vita come teatro, teatro assurdo, tragico ma fondamentalmente buffo: il teatrino dei pupi del Maestro).

Si potrebbe chiaramente fare una analisi dell'albo soffermandosi solo su questo studio visivo (mi auguro che qualcuno lo faccia) e cercherò di dare riscontri sui punti dove incide più efficacemente sulla trama. Tuttavia, mi intriga molto soffermarmi sulla sottile tessitura anche "esoterica", a suo modo, della storia.

P.5,la prima, si apre dunque con una bella pagina muta che tornerà più avanti simile in un deja vu, che prosegue con p. 6 (salvo una singola battuta di dialogo). La pettinatura simile suggerisce che la ragazzina di 5.iv è la donna di 6.iii, come scopriremo meglio in seguito. L'elemento del piercing insistito in 3.iii è un elemento che sottolinea, anche, la modernità della visione (ma, come spesso in Ambrosini, serve anche a dare uno spessore non puramente "funzionale" ai personaggi).

Segue, sempre muta, la quadrupla di p.7, che ci conduce al funerale del "divertimento" pulcinellesco (unica parola che si legge confusamente nel basamento del feretro).

Pulcinella è vegliato da quelli che appaiono come dei suoi piccoli, identici minions, i quali covano delle uova, con rimando alla loro natura di "pulcini" (tramite di esse, viene spiegato nella storia, essi si riproducono per una sorta di partenopea partenogenesi), con un rimando alla plausibile etimologia per l'aspetto gallinaceo della maschera. In 8 e 9 appaiono accenni di dialogo, ma il montaggio si fa un incastro intricato, con le linee della griglia che si intersecano a quelle parimenti squadrate degli sfondi, della bara. Un elemento, questo di una griglia densa, coesa col reticolo squadrato dei segni di fondo, che caratterizzerà tutto il fumetto, in più tratti.

Stacco e titolo di testa, "I padroni del nulla", che come molti aspetti delle opere di Ambrosini non ha una chiarezza univoca, non viene risolto all'interno dell'opera. "I padroni del nulla" possono essere le divinità ctonie - qui rese come forze carnascialesche, in modo del resto piuttosto corretto - che dominano il Nulla dell'esistenza umana; o gli umani che non controllano nulla, al di là delle illusioni, delle loro misere vite manovrate come marionette dalle "marionette" stesse, l'incarnazione più credibile delle forze sovrannaturali e ctonie, ben più delle maschere vuote di "Dio", "Diavolo" e così via (vedi a p. 27, dove lo si esplicita).

"Il giroscopio di Foucault" citato da Groucho (p.8) è una citazione del Pendolo di Eco, e forse una spia a indicare un certo "esoterismo" del testo, come sempre in Ambrosini. Dylan sta andando fuori Londra a comprare un nuovo clarinetto: uno spunto per l'avventura che pone il personaggio, in modo sottile, "fuori sesto", con la rottura dello strumento che ha una così forte valenza di espressione della sua anima. Non so se il fatto che si recasse a cercarlo a Goldenstown (la "città dorata") abbia una qualche ulteriore nuance ermetica.

L'incontro fatidico (il tema di Dylan e Groucho in panne è un classico) è con il piccolo diavolo arlecchinesco - notare il consueto cappello "cornuto" - e, come sua accompagnatrice "matriarcale" (ne ha sempre una nelle storie di Dylan) Nina Simone, rimando (anche) musicale, oltre che di impegno politico in questi tempi particolarmente di attualità per le sue battaglie per i diritti civili dei neri americani, nei '60 e '70 (torna il tema della universalità della violenza storica, centrale in Ambrosini qui e nelle altre storie).

Si arriva così in un autogrill a tema pulcinellesco, con il ristorante a forma di Vesuvio, la P come marchio invece della M di McDonald e icone pubblicitarie col personaggio (notiamo anche che, nella quadrupla di p.18, i mascheroni in alto a destra hanno forse forma di uova).  Del resto egli deriva probabilmente dal Kikurrus romano (ma già forse prima greco, nella Nea-Polis partenopea), simile servus callidus all'esigenza aggressivo, che deriva il suo nome dall'onomatopea del gallo e dal suo simbolismo di spaccone favolistico.

Non è probabilmente un caso che l'incontro con Pulcinella come sacro avvenga nell'autogrill, luogo degenerato della modernità con particolare riferimento al cibo (mentre il luogo del dialogo onirico è come una locanda, dove viene offerto vino e uova). Volendo, perfino il fatto che si sottolinei l'amore di Dylan per la pizza (tratto introdotto dallo Sclavi classico) è un modo di creare un pur tenue rapporto tra Dylan e il cibo sacro pulcinellesco, che favorisce l'incontro.

Ci possiamo già attendere una riconnessione con la scena onirica iniziale, e questa avviene in 20-22, con il detto deja-vu. La ragazza incinta, Emma Gozzi, rimanda al tema dell'uovo, mentre il padre morente richiama - come lo stesso Dylan coglie - Pulcinella. Curioso che si evidenzi come Pulcinella sia "la versione italiana di Punch" (anche se ovviamente è in realtà il viceversa) nel momento in cui è in arrivo, a breve, uno Color Fest carnascialesco con mr. Punch. Un gioco, questo dei richiami tra testate, che era evidente con l'Old Boy, e che magari ora si estenderà anche ad altre testate.

A p. 26 torna quindi il Pulcinella del sogno, che opera la spiegazione del sogno con una storia che ricalca quasi quella della Monaca di Monza manzoniana.  Pulcinella colloca la vicenda "duecento anni fa" (28), nei "primi anni dell'Ottocento" (26.v), nell'ultimissima repubblica veneziana, poco prima di finire sotto l'Austria per la cessione napoleonica. La famiglia Gozzi esiste davvero, tra l'altro, tra quelle illustri veneziane, ma non questi specifici personaggi. 

La cupa vicenda che attornia la nascita costellata di morti violente del "figlio della colpa" risveglia l'attenzione dell'Arlecchino demoniaco di Ambrosini (non a caso, la maschera nasce nel mito da Alichino, un demone infero: e Pulcinella lo definisce "lo scornacchiato" (26.v, p.39), sottolineando l'elemento delle corna del suo cappello), del resto  correttamente collegato a Venezia, dove Arlecchino appare come servitore bergamasco (anche i Gozzi erano giunti come famiglia da Bergamo a Venezia nel '500). 

Il cambio di gobba di Pulcinella è una citazione a Frankenstein Junior, ovviamente, che pare in questo caso avere un rimando semplicemente ludico (p.35).

Pulcinella appare potenzialmente più benevolo di Arlecchino, ma sempre inquietante e da trattare con cautela, come ogni divinità ctonia. Per certi versi, lui e i suoi pulcinellidi paiono in un rapporto simile a quello che lega Pan (o Sileno) e i satiri: una sorta di corteo dionisiaco, di ridotta del paganesimo, come è in fondo appunto il carnevale. Forse qui si va nella sovrainterpretazione, ma è curioso che Kikirrus sia una sorta di totemico gallo ancestrale, e che in età gnostica appaia Abraxas come divinità misterica dalla testa di gallo, che su Dylan Dog origina la figura di Xabaras

Sarebbe davvero interessante, su questo, una opinione anche fugace dell'amico Alessandro Di Nocera, che potrebbe dirci quanto è azzeccato questo scavo sulla maschera napoletana, o quanto è una rilettura. Da profano curioso rispetto a quei misteri, a me pare una interpretazione riuscita. 

L'opposizione con Arlecchino - con cui spesso siede in neutrale amicizia nella storia - sembra infatti più territoriale: egli è giunto a difendere la ragazza Gozzi di oggi (su cui si riverbera la maledizione del passato) anche per via della sua ascendenza napoletana, oltre che veneziana (p.47). Forse anche il povero Oliviero, nel passato, era di ascendenza napoletana.

Dopo un intermezzo comico-surreale di Groucho, molto marionettesco, che lo conferma maschera tra le maschere, giunge un nuovo elemento in scena: un pullman di turisti in cui sono infiltrati dei terroristi. A margine, si può notare, qui come altrove, l'uso da parte di Ambrosini di piccoli tondi, per evidenziare un elemento significativo del racconto (55.i); una tecnica non così usuale in Bonelli. 

Sulle loro tracce c'è la polizia, in particolare Rania, che crea così un conflitto simmetrico con Selima (che è pure in trigono con la ragazza Gozzi, similmente portatrice di un figlio in arrivo). Il confluire della violenza sull'epicentro della nascita/morte del primogenito Gozzi è, si può presumere, non casuale, ma influenzata dall'azione dell'Arlecchino diabolico, che ha un interesse, scopriremo, su entrambi i nascituri.

Nonostante si proceda verso un finale che si intuisce tragico, il Pulcinella (che appare di nuovo in una breve visione di Dylan, inframmezzata all'azione principale) sottolinea che siamo in una commedia pulcinellesca - quindi commedia nera e volutamente "priva di significato stabile" (64.ii). "Divertimento per li regazzi" (65.i), come i fumetti: e forse come la musica, dato che in questa tavola si esplicita la citazione di Nina Simone, "colonna sonora implicita", da tradizione sclaviana, dell'albo.

La citazione di Salvatore Quasimodo che segue è coerente, ed voca anche il fatto che non dà quiete al poeta dell'Oboe Sommerso il "dolce flauto sonante dalle molte voci" (in una avventura dove Dylan è alla cerca del suo clarinetto).

Ambrosini costruisce bene l'ambiguità del rapporto eroi/terroristi: da un lato, Selima è un personaggio di cui non si dissimula la violenza (in questo, distante dai "mostri patetici" di Sclavi) ma al tempo stesso si mostra come questa violenza risalga a altra violenza (di nuovo, è centrale già nel passato un neonato), in una spirale inarrestabile che sprofonda le sue radici nella storia. Il tema centrale di Ambrosini su Dylan, specie in questo ciclo.

Interessante notare come nella potente, muta, angosciante tavola 82, volutamente, l'orrore che scatena la furia terroristica di Selima è lasciato misterioso, senza didascalismi (come potrebbe essere effigiare un bombardamento tecnologico, "occidentale" anche senza legarlo a eventi storici precisi). In questo, c'è anche la forza del fumetto, che può narrare per immagini, senza vincolarsi alla parola, che inevitabilmente rivela qualcosa di più (o palesa comunque in modo evidente la sua reticenza).

Uno dei tanti sottili paralleli della storia passa anche per le onomatopee: "We-we" è usato per rendere il pianto del neonato (85), ma anche il suono delle sirene della polizia (che segnano l'ingresso della violenza nella storia), e il canto di Pulcinella per calmare il neonato Gozzi. Se, come appare plausibile, è Arlecchino ad aver attratto qui la violenza terroristica (e Dylan, tra l'altro, che sale sul suo taxi), la cosa gli si è ritorta contro. 

Con un nuovo scarto, il figlio di Selima, che muore nella sparatoria (con forte angoscia di Rania che - se si manterrà la blanda continuity - non si può cancellare nell'arco di un numero) rinasce nelle schiere dei Pulcinella, che lo sottraggono ad Arlecchino, al posto di quello della ragazza Gozzi (84-87). Pulcinella vince anche questo scontro, e nel finale conferma la sua natura di trickster ingannatore, solo all'apparenza benigno, ma in verità imperscrutabile (forse il figlio della Gozzi avrebbe dovuto "nascere nell'altra dimensione", ovvero morire in quella reale, se non fosse stato sostituito da una vittima casuale).

La visita finale a Venezia di Dylan (che vi è già stato in passato) e Rania porta a scoprire i Pulcinella di Ca' Rezzonico, dipinti da Giandomenico Tiepolo sullo scorcio del'700, nel 1797 (vedi qui), palesando anche il punto di origine dell'influenza del Pulcinella della storia a Venezia, regno arlecchinesco. Un particolare influsso ha su Dylan "il mondo nuovo", opera particolamente potente dell'autore (vedi qui), oggi a Ca' Rezzonico ma realizzato dall'autore per la sua villa personale nel 1791, anno di enormi sconvolgimenti (che ispireranno anche a Ettore Scola il film omonimo, in cui si narra la notte di Varennes e il cambio d'era che a ciò si accompagna).

In particolare, nell'articolo sopra citato si accenna anche a un legame londinese come possibile ispirazione del titolo: "Erano d’altronde trascorsi pochi anni da quando l’esploratore James Cook, facendo il giro del mondo, aveva scoperto terre fino ad allora sconosciute portando con sé un pittore che, ritornando a Londra, aveva riprodotto quei luoghi su stampe che restituivano alla gente comune l’immagine di terre lontane."

Il Dylan che cade nel dipinto, a Venezia, appare infine una possibile citazione prattiana, dato che nelle vicende di Corto Maltese la sua capacità di "cadere" in un quadro o in un romanzo è un tema ricorrente.

Inoltre, il "Divertimento per li regazzi" pulcinellesco, evocato nell'albo, rimanda alla storia di Pulcinella elaborata in più quadri dal Tiepolo, opera quasi proto-fumettistica, di poco conseguente al protofumetto di Hogarth in ambito anglosassone: un antenato nobile italiano, che un filosofo del calibro di Giorgio Agamben ha indagato nel suo libro omonimo (2015), evidenziando la natura "nera" di questo Pulcinella (nella segnalazione relativa online, Ambrosini dichiara di non conoscere il volume nello specifico).

Uno spunto che potrebbe fornire ampi spazi per ulteriori analisi è quello fornito da Ambrosini stesso durante le discussioni online:

"Una cosa che potrebbe aiutare nella lettura della storia sta nella struttura del montaggio. La concezione del tempo lineare e progressivo, in certi momenti nella storia, è messa in discussione. Le cose procedono o meglio, appaiono provenendo dal dentro al fuori o dal fuori al dentro, prendendosi la scena. La tesi che il tempo sia una questione di profondità piuttosto che progressiva estensione mi ha sempre affascinato, tutto ciò che appare on può svanire nel nulla perché sarebbe paradossale che il nulla esistesse.
"

Forse, dunque, gli inserti pulcinelleschi non vanno letti come "interludi" dell'azione, ma momenti fuori dal tempo il cui incastro con le vicende del presente è arbitrario.

Un'opera dunque che non svela tutto di sé, si apre a più riletture e stimola il lettore ad approfondire, se lo vorrà, i rimandi culturali che contiene, mentre esprime con una forte voce autoriale la filosofia ambrosiniana, coerente con quella sclaviana ma con un forte tratto personale: la vita come cupa marionettata, segnata da una violenza senza senso, ineliminabile, incomprensibile quanto più ci si distacca dalla sapienza ctonia che a volte riaffiora nell'arte. 

Curioso, ora, di approfondire eventuali risonanze col Punch del Color Fest, in attesa dei "Giochi innocenti" che ci aspettano al palindromico 414, con Dylan e Rania di nuovo uniti, con la prima cover per lei e, forse, una blanda continuity.