Symposium Club, di Cavaletto e Schwanz

 


Symposium, dello sceneggiatore Andrea Cavaletto, dipinto - più che disegnato - dall'artista Attila Schwanz, è un nuovo horror fumettistico pubblicato da Ed Ink, e si rivela decisamente interessante.

Cavaletto riprende qui il discorso da lui sviluppato sul suo "Paranoid Boyd", di cui ho avuto ampiamente modo di parlare sul blog (vedi qui). Come nella sua opera precedente, la storia prende le mosse dall'11 settembre 2001, evento spartiacque nell'immaginario esoterico - e non solo, ovviamente.

E anche qui viene evocato, nel nervoso e possente bianco e nero di Schwanz (in seguito si passerà, con ottimi esiti, al colore) questo evento seminale della storia moderna. Un solo elemento è a colori, con una valenza simbolica per la storia chiarita nel testo, con una tecnica che ricorda quella di Frank Miller in Sin City (ma ha una vasta storia).

Come spiega già la quarta di copertina, i due protagonisti sono una coppia, Tommaso Rak e Domiziano Sangiorgi, Tom e Dom, che frequenta circoli tra il BDSM e l'occultistico, e qui viene ad apprendere l'esistenza del Symposium Club, un ritrovo che va ben oltre quelli da loro frequentati mettendo in contatto con una realtà davvero iniziatica. 

Partendo da Torino, che pare implicata come la loro città-base (nelle prime sequenze appare una mole Antonelliana rovesciata, forse riflessa nelle acque del Po, forse per simboleggiare un ribaltamento iniziatico), peregriniamo in diverse città europee alla ricerca dell'ancestrale Simposio che ha attratto la loro curiosità.

Pur non svelando nello specifico la trama, potranno esserci di qui in poi alcuni rimandi ad elementi della storia, inevitabili: consiglio dunque a chi vuole evitare ogni possibile spoiler di confrontarsi prima con l'opera - consigliatissima agli appassionati del genere esoteric-horror - e poi tornare qua.



Molte sono le citazioni esoteriche appropriate disseminate nell'opera, a partire da quella di partenza, dove essi incontrato una Madame Bathory - che richiama la terribile esoterista secentesca, dedita a riti della magia sanguinis - che indossa il costume del Baphomet, la demoniaca divinità venerata dai templari nella figurazione eternata da Eliphas Levi.

Schwanz ha modo di mostrare, fin da questo esordio, una eccezionale varietà e ricchezza del segno, pur mantenendo uno stile personale e riconoscibile. Interessanti anche gli inserti fotografici, usati per rappresentare gli schermi dei cellulari, o l'uso di inserti di variazioni tipografiche del nome del fantasmatico club a confermarne l'ossessione che cattura i due protagonisti, in tavole che richiamano le parolibere del futurismo. Non mancano curiose citazioni fumettistiche, come quando i nostri due investigatori dilettanti sono, ironicamente, colti nel segno del Tintin di Hergé.

Madame Bathory, comunque sia, accenna quindi a quattro figure - capra, gufo, rospo, gatto - che evocano una sorta di tetramorfo invertito rispetto a quello evangelico. Ricorre ovviamente spesso anche l'immagine del sigillo a cinque punte, e - anche grazie alla potenza evocativa dei disegni - traspare in tutto il senso di una graduale discesa nei segreti iniziatici.

Se però in questa prima parte tali misteri sembrano assumere un aspetto all'apparenza diabolico (non manca anche un'evocazione di "Legione", demone collettivo del Vangelo molto caro alla pop culture, dall'Esorcista in poi), nella discesa ctonia verso la verità avviene un'importante evoluzione: i segreti appaiono connessi ai miti legati all'antichità greca, che Cavaletto recupera evidenziandone l'originaria matrice inquietante e terribile: un vaso di Pandora di verità orribili che i protagonisti finiranno per scoperchiare.

Ecco allora che troveremo intrecciati il mito del Labirinto, del Minotauro, di Pasifae e del Toro Sacro da un lato, di Medusa dall'altro. Due miti che vengono ripresi e al contempo trasmutati: non solo per la già detta lettura orrorifica, ma per un cambiamento di prospettiva rispetto al significato originale.



La rilettura del mito minotaurico ricorda, in chiave horror, quella già effettuata da una auctoritas come Jorge Luis Borges nel suo "La casa di Asterione" (1949), in cui il Minotauro non ci appare come malvagio, ma vittima patetica della sua infelice condizione, pur mantenendo il carattere omicida assegnatogli dal mito. 

Anche il mito di Medusa viene ribaltato, come avvenuto di recente anche nella riscrittura femminista (vedi ad esempio qua). La mente dietro questo dedalo di perversioni iniziatiche, a sua volta, può costituire un rimando alla figura della Grande Madre.

Per certi versi, viene in mente una operazione fondante del fumetto autoriale, rilevante non solo a livello italiano, come il "Poema a Fumetti" (1969) di Dino Buzzati, dove era il mito di Orfeo ad essere attualizzato nel segno dell'inquietante. Buzzati, scrittore e pittore, affrontava quest'opera come autore completo, creando un sorprendente capolavoro della letteratura fumettistica.

Là naturalmente eravamo nell'ambito di un fantastico inquietante privo però di aperte sfumature orrorifiche, mentre qua trionfa una visione splatterpunk, cara ai due autori.

Anche in questa seconda parte, in cui si palesa il trionfo del mito ancestrale, i disegni svolgono una componente evocativa fondamentale. Il segno pittorico di Attila Schwanz è sorprendente per la capacità di rappresentare con efficacia la mostruosità in cui si immergono i due protagonisti, e con loro il lettore, coniugando al tempo stesso una estrema crudezza e una estrema eleganza del tratto.

Il suo segno ricorda qualcosa dei migliori autori del fumetto anglosassone, con echi di Kevin O'Neill, Bill Sienkievicz, Dave McKean, ma in una sintesi fortemente personale, di grande impatto sul lettore. L'espressività enfatizzata dei personaggi, nei corpi e nei volti è ben funzionale a questa storia di emozioni estreme, e la libertà nella composizione della tavola conduce a pagine di grande, spesso volutamente disturbante bellezza visiva, quasi una galleria pittorica che però si salda perfettamente nella sequenzialità del fumetto.




Anche la scrittura di Cavaletto naturalmente contribuisce in modo determinante all'evocazione della cupa atmosfera in cui è immersa la storia, non solo, come è ovvio, nella strutturazione di una discesa agli inferi perfettamente cadenzata, ma anche con l'eleganza di testi solenni, arcani, raccapriccianti: sia nelle battute dei vari personaggi, sia nelle didascalie che accompagnano il lettore. Una scrittura ricca, senza essere ridondante, che ci conduce fino al fondo dell'abisso, lasciandoci in attesa di possibili futuri sviluppi.

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Cavaletto si conferma così uno degli sceneggiatori più interessanti dell'ultima decade, riuscendo a coniugare tematiche esoteriche con un horror gore spesso senza compromessi, ovviamente declinato a seconda dei contesti: in chiave più moderata, complessivamente, nel suo lavoro mainstream su Dylan Dog e altre testate bonelliane, in modo più estremo, solitamente, in queste produzioni più autoriali (qui le sue opere di cui ho trattato in questi anni).

In questo Symposium Club tuttavia, rispetto ad altre cose più - intenzionalmente - sovraccariche, Cavaletto sembra aver trovato un equilibrio ottimale tra le tematiche che gli sono care e una certa misura che permette di far fruire quest'opera a un pubblico potenzialmente più vasto (parliamo sempre, chiaramente, di un pubblico adulto; ma non siamo in ambiti così estremi come il romanzo "Doll Syndrome", per citare una delle sue opere più recenti).

Attendiamo quindi con grande interesse le possibili evoluzioni di questo nuovo mondo creato dall'autore torinese, magari con la stessa squadra autoriale con Schwanz che qui ha saputo fare un lavoro davvero egregio. Il finale aperto apre molteplici possibilità, e l'appetito del lettore pare ben lontano dall'essere saziato da questa prima breve graphic novel.

Come quello del Minotauro, del resto.