Mio nonno Memo Martinetti, scrittore per ragazzi.




Oggi ho recuperato, dai miei, alcuni numeri dell'Aspirante del 1950, dove appare un romanzo a puntate scritto da mio nonno, Memo Martinetti. Mi è venuto quindi in mente di scrivere qualche riga sulla sua attività di scrittore per ragazzi, che è poco nota anche a Mondovì (e il cui vertice è la pubblicazione di un suo romanzo illustrato a puntate sul Vittorioso nella sua stagione più gloriosa, quella dei primissimi anni '50, che vede anche l'uscita di una delle più belle storie a fumetti di Benito Jacovitti, quella dedicata a "Don Chisciotte", di cui riporto sopra una stupenda copertina del giornale per ragazzi).

Classe 1923, Memo Martinetti è ricordato però a Mondovì soprattutto per il suo ruolo in politica nel secondo dopoguerra, dove svolse un servizio importante per la comunità monregalese (riconosciuto in genere da ambo gli schieramenti politici, eredi e avversari). Non è il tema che mi interessa qui rievocare, ma dato che online non ci sono fonti al riguardo, ne annoto velocemente qui. Chi non interessato, salti il paragrafo seguente.






Memo Martinetti come amministratore.

Nato nel 1923, Martinetti era legato fin da ragazzo all'Azione Cattolica, di cui alla fine degli anni '40 era delegato Aspiranti diocesano (vedi Unione del 2/1/1943). Nel secondo dopoguerra diverrà segretario della DC cittadina (in prevalenza nella corrente della sinistra sociale) nel 1950, e sarà candidato nel 1951 alle comunali, uscendo eletto.

Dopo il sindaco del CLN, il socialista Primo Silvestrini, erano seguiti dal 1946, per la DC l'avvocato Manissero (mancato nel 1953) e poi Michelangelo Giusta (1953-1958), nipote dell'avvocato Giovanni Antonio Comino che era stato sindaco della città dal 1897 al 1920, morto in carica poco prima dell'ultima giunta elettiva Pagliaro.

Martinetti fu il primo sindaco non proveniente dall'élite dei notabili cittadini, e guidò Mondovì per vent'anni cruciali dal boom economico fino alle soglie degli anni '80.

Da un punto di vista "simbolico", all'esordio della sua amministrazione si tenne il grande successo di Campanile Sera, nel 1959 (di cui ho scritto qui), con cui Mondovì divenne, secondo l'ironica penna del grande umorista Giovanni Mosca, "capitale morale d'Italia" per le numerose vittorie consecutive, prima "città campione" del gioco pensato per portare la TV nella provincia italiana tramite disfide tra cittadine (ne scrisse anche Giorgio Bocca in pagine attente all'evoluzione sociale che intrigava tutti nel passaggio epocale dell'era televisiva).




Gli anni dell'esordio sono anche gli anni del papa buono e del Concilio Vaticano II, coerente con la sua visione, e che portò a Mondovì l'arcivescovo conservatore Maccari (1964-1969) con cui ci non mancarono frizioni tramite la testata della sinistra DC monregalese che governava allora la città, "Il Belvedere" (nato nel 1963) di cui ho scritto qui. Nel 1967 una visita di Aldo Moro in città fu un momento importante di "legittimazione", per certi versi, della sua linea politica.




Direttore didattico (maestro elementare, si era poi laureato in Lettere), Martinetti venne identificato come "Il sindaco delle scuole", in quanto favorì l'insediamento in città di un alto numero di istituti superiori: accanto al già esistente Classico, vennero lo Scientifico e l'Ipsia (1959), ITIS e IPC (1962), Alberghiero (1972) e Agrario (1973), con cui rinverdire i fasti di Mondovì come "Atene del Piemonte" (per la sua antica sede universitaria, riconquistata poi col sindaco Gasco nel 1990 e poi perduta). 

Nel 1976 (mio anno di nascita...) passò al Comprensorio, una sua creatura politica per creare sinergie tra Mondovì e i comuni circonvicini che potevano guardare alla città come capofila. Nel 1980 fu consigliere regionale, per poi ritirarsi nel 1990, all'indomani del crollo del muro di Berlino, e con le avvisaglie della fine della Prima Repubblica, che sarebbe franata di lì a poco, nel 1992. Nel 1993 chiuse anche Il Belvedere, la rivista della sinistra DC monregalese, segnando la fine di quell'esperienza (e aprendo a un'era pressoché ininterrotta di preminenza del centrodestra in varie forme).


Il Martinetti scrittore per ragazzi.


Prima del Martinetti politico, però, ci fu un Martinetti scrittore per ragazzi, che è quello con cui ho sempre per paradosso avuto più affinità, dato che ci accomunava più la passione per le lettere che quella politica.




Probabilmente una prima opera, del 1940, pubblicata poi in volume nel 1943, è Pinocchio e il Mago. Una "fiaba aspirantistica" in due atti pensata per la messa in scena per il teatrino degli Aspiranti di cui il sedicenne-diciassettenne Martinetti era allora Delegato a Breo. Purtroppo questa non ho avuto modo di vederla.





Ho invece letto la successiva, "La bande del serpente nero"L'opera - a quattro mani con Piero Paoletti - venne raccolta in un volumetto a sé nel 1941, scritta da un Martinetti appena diciottenne e messa in scena per la prima volta dai suoi aspiranti della sezione Aldo Marcozzi di Mondovì Breo.

L'opera ha notevole struttura per essere scritta da un 17-18enne, pur mostrando una impostazione più nettamente moralistica che verrà meno in quelle successive. Viene da chiedersi se per la maturazione dell'autore o per la linea "più pop" del Vittorioso (e non solo) del dopoguerra.

Il giudizioso protagonista converte prima i giovini della banda del titolo, e dà loro un nuovo compito di Azione Cattolica, ovvero quello di conquistare alla causa un altro ragazzo ancora. Il titolo promettente, quasi di certi Tex a tema esoterico, viene subito deviato in senso edificante.

La cosa curiosa è che nel contesto c'è anche la pubblicità subliminale del Vittorioso, sorto nel 1937 per rispondere non tanto alla barbosa stampa per ragazzi di regime ma al successo delle testate con materiale americano come L'Avventuroso e simili.

Non è tanto il cosa ma il come: ad essere affascinato dal Vitt come frutto proibito è il maggiordomo Clodoveo, "che ha cinquant'anni e va per i settanta", e si ironizza bonariamente sul fatto che la "rivista per ragazzi" è sbirciata da molti adulti.




In questa prima versione l'autore preferito di Clodoveo è Sebastiano Craveri e il suo Zoo (curioso notare la "politica degli autori" del Vittorioso che si riflette anche in questo, oltre che nei nomi sempre riportati dei vari disegnatori e sceneggiatori); nella pubblicazione del 1953 sarà divenuto Jacovitti coi suoi 3P e Cip contro Zagar, segnando questa nota transizione tra i due autori di punta.

Appare interessante la centralità data al Vitt, introdotto nel 1937 e da diffondere e pubblicizzare capillarmente. Ma per il Martinetti di allora magari è un po' il suo "bonellide" con cui farsi notare in "Bonelli", ovvero un testo con cui ingraziarsi la redazione del Vitt a cui magari ambirebbe di lavorare (e, per una stagione, vi collaborerà).

Nel 1942 scrive anche un sequel, portato in scena alla Marcozzi, "L'ultima impresa del serpente nero". Non sarà però pubblicato. In quest'opera si esaltano tutti i fumetti del Vittorioso: Craveri, già citato l'altra volta, Jacovitti, che lo sostituirà del tutto nell'edizione del '53, ma anche Il crociato nero, con cui Martinetti mostra buon gusto: è infatti di Gian Luigi Bonelli e, da quanto se ne rinviene online, è molto interessante. Magari nel titolo "il serpente nero", che ha come ho detto un sapore quasi bonelliano, c'è una sfumata influenza (come vediamo sotto, il Crociato Nero combatte anche contro un'Idra...).




Dopo il primo "Serpente Nero", la AVE (che edita il Vitt) pubblica appunto anche "Pinocchio e il Mago" nella collana di teatro, nel 1943; nel 1944 è la volta della collana "Meditazioni A", dove appare il suo Aspiranti Aquila (prima di Anthony De Mello e i suoi motivational gesuitici). L'opera è pervasa dallo spirito preconciliare della Purezza come ideale, diffusi all'epoca, anche se non mancano dei passaggi meditativi validi abbastanza raffinati, che spingono il ragazzo a interrogarsi sul senso della vita, certo orientandone la risposta in senso cristiano, ma in cui è chiaro che tale risposta deve comunque scaturire da un ragionamento spontaneo.





In campo fumettistico, interessante notare la condanna specifica dei fotoromanzi: "opuscoli per gran parte tratti dal Cine... è veleno!". Si pensa ovviamente all'elemento erotico, ma non solo, anche in generale all'edonismo avventuroso. Mi fa venire in mente che la scelta "per il fumetto" del Vittorioso, in una fase in cui il fotoromanzo è una scelta forte, sia anche per la percepita minore carica erotica dell'immagine rispetto alla fotografia. Qui si consiglia la buona stampa e in particolare "L'Aspirante", rivista ufficiale dell'AC, ma è chiaramente implicitamente incluso il Vitt fumettistico, posto come modello nelle due opere precedenti.

Infatti lo stesso Cine (piemontesismo per Cinema, ma in effetti anche suffisso diffuso, come in Cine-Romanzo, Cine-Giornale...) è "un potentissimo nemico", non solo quello proibito, ma anche quello per tutti... anche se, apparente contraddizione, "il Cine in sé non è un male: presto conquisteremo anche il Cinematografo!". Dal che si intuisce che, nel 1944, ancora sotto controllo fascista, si deve criticare il cinema solo per l'aspetto (all'epoca blandissimo) erotico, ma in verità il problema è anche la propaganda bellica e di regime.





Nel 1946, su Filodrammatica 5, appare una nuova "fiaba aspirantistica" di Memo Martinetti e Renzo Massucco, portata in scena dagli aspiranti del "Contardo Ferrini" di Mondovì nel 1945 (l'Unione cita nel 1947 un nuovo allestimento a Santo Stefano, dopo uno al San Giorgio e una trasmissione radiofonica). Si tratta di "Nel regno della Cortesia", che ricorda quasi fiabe allegoriche sul modello de "Il flauto magico". Il protagonista è un giovane aspirante inviato nella foresta incantata per ritrovare la Cortesia perduta nel mondo: il mago Melampo lo addormenta, ma i sette folletti dai nomi greci, simboli delle sette virtù (si vede il modello dei sette nani di Biancaneve Disney, elevato...) lo riportano in sé. Mario giunge così al regno della falsa cortesia che è basato sull'ipocrisia. Mario alla fine rifiuta quel modello e tornato coi suoi amici aspiranti conquista il regno, mentre il Re sconfitto impreca come Saul vinto dai Filistei, con citazione alfieriana (ma in tutto il testo ve ne sono molte). L'opera ha un riuscito gusto fiabesco, più immaginifico rispetto alle precedenti rappresentazioni, e sicuramente più impegnativa per allestimento e costumi.

C'è un piccolo iato negli anni '47-'49, in cui probabilmente Martinetti si concentra sull'Università mentre inizia a lavorare come maestro elementare (è anche presidente diocesano dei maestri cattolici): si laurea infatti nel 1950 in Lettere con don Michele Pellegrino (futuro arcivescovo di Torino) con una tesi su «L’umanità di S. Agostino nei Sermoni».

La stagione più fortunata del Martinetti scrittore per ragazzi è quella immediatamente seguente, il 1950, in cui è presente sulle due testate nazionali, Aspirante e Vittorioso, con due romanzi a puntate diversi. Siamo dopo la laurea ma prima dell'avvio dell'impegno politico, nel 1951. Questa doppia presenza pare indicare una scelta professionale, almeno vagheggiata e poi abbandonata, probabilmente per la scelta dell'altro campo.




Tra i due il testo più "prestigioso" è "I cavalieri del Grest", che esce sul Vittorioso e viene poi anche raccolto in volume. Il Grest era il Gruppo Estivo dell'Azione Cattolica Ragazzi, ma è evidente l'evocazione del Graal, già nella cultura di AC, dove i ragazzi si riuniscono attorno a una Tavola Rotonda. La trama è semplice, ma ben composta: un gruppo di ragazzi, uniti da amicizia ma diversi per carattere e inclinazioni, si mettono alla ricerca di un tesoro misterioso celato nel paesino dove si recano in vacanza, finché ritrovano (e lasciano al suo posto) un'immagine sacra della Madonna che ha protetto quei luoghi al tempo dell'invasione dei saraceni (qui è facile individuare una duplice memoria monregalese, il mito del Re Moro e la Vergine del Monteregale, protagonista del santuario). 

Il maggior onore di questo romanzo è di essere apparso sul Vittorioso, gloriosa testata cattolica, in una delle stagioni forse più alte della stessa (l'età dell'oro è ritenuta 1948-1954, vedi qui), ovvero la seconda metà del 1950, dal 9 luglio al 15 ottobre.

Il parterre artistico di queste 8 pagine (dal numero seguente al 15 ottobre diverranno 16) è impressionante. Per una ricognizione più ampia rimando all'ottimo "Anni Trenta", una risorsa preziosissima per tutto il fumetto di questo periodo. Qui le moltissime pagine sul Vittorioso, che ho usato per dare una cornice a questo mio pezzo:

http://annitrenta.blogspot.com/search/label/Il%20Vittorioso

Ma il sito è eccellente e ha moltissimo altro materiale di grande interesse.





"Il tempio delle genti", la storia che ha la copertina, è di Rudolph e Gianni De Luca, che saranno poi i protagonisti della Trilogia Shakespeariana che, pubblicata sul Giornalino, è ritenuta tra i vertici del fumetto italiano (e, oggettivamente, mondiale), anche per le note innovazioni artistiche che introduce nel linguaggio sequenziale del fumetto. De Luca, che poi illustrò I cavalieri del Grest, è già implicitamente ritenuto "l'autore di punta", che ha la prima pagina (con la storia avventuroso-religiosa) in questa annata. L'ultimo anno col formato classico, che usa la copertina per un fumetto: col passaggio a 16 pagine la copertina diviene una sola immagine autonoma, affidata a Kurt Caesar, altro grande disegnatore (altre testate si erano già evolute in quel senso nel 1949, creando il formato che di fatto è poi il modello della "rivista di fumetto d'autore"). Le cover di Caesar saranno poi spesso modernissime per visione e innovazione.





La storia di De Luca ha un valore catechistico più evidente, e il tempio superiore a tutti gli dei che il giovane protagonista cerca è ovviamente quello di Cristo stesso, di cui egli alla fine vede i natali. Ma i ritmi grandiosi da kolossal in peplum rendono la storia tutt'altro che noiosamente pedagogica.

In seconda pagina, lo Zoo di Craveri, che inizia a essere marginalizzato rispetto a Jacovitti e poi sarà cancellato con l'arrivo di Landolfi. Segue poi, appunto, "I cavalieri del Grest" di Martinetti, con foto di Paolini. Quindi "Il piccolo amico", sempre di Rudoulph ma con Caprioli, che adatta il Kim di Kipling, modello di ragazzo avventuroso. 





Segue Jacovitti, con una delle sue opere migliori, l'adattamento di Don Chisciotte (che riflette sempre l'estetica di fondo, l'esaltazione dei cavalieri erranti come modello di idealismo volutamente un po' folle). Quindi La via delle pagode, di Domenico Volpi (redattore capo e di fatto direttore del giornale) con disegni di Ruggero Giovannini, e infine, dopo una pagina di articoli vari, si chiude con "I falchi del mare" di Atamante e Caprioli, di avventura vagamente sullo stampo di Cino e Franco (dove appariranno anche i dischi volanti, che avevano fatto impazzire il mondo dal 1947 in poi).

Di Caprioli, autore importante col suo raffinatissimo puntinismo (in parte ripreso anche da De Luca) va sottolineata la dimensione laica. Al di là di storie macabre passate anche sul Vitt indenni dai teorici strali della censura, come il notevole L'Ussaro della morte, egli realizzava negli stessi anni illustrazioni erotiche e (fortemente) anticlericali.






"I cavalieri del Grest", sarà poi raccolto nel 1953 come sesto volume de "I quaderni del Cenacolo", sempre delle Edizioni Ave, con illustrazioni come detto  di Gianni De Luca, tra i grandi maestri del fumetto italiano, che illustra anche la medioevaleggiante copertina.






Forse ancora più interessante è "Il cavaliere errante", apparso sull'Aspirante dello stesso anno, anonimo, firmato solo Memo (come anonime sono le buone illustrazioni, di un autore anche apparso sul Vittorioso, che realizza la maggior parte di quelle della testata: i disegni realistici sono di Ruggero Giovannini).








Si parte da un manoscritto manzoniano ritrovato con la storia del cavaliere errante Ariodante, incrocio di Ariosto e Dante, che "Memo" trascrive. Una notte una banda di incappucciati tenta di rapire Ariodante e fargli bere un intruglio che, invece di restituire il senno, lo ottunde. Ma lo salva il folletto Tommaso che "scampanella", con citazione del noto filosofo. Il tono è umoristico, con un gioco enigmistico a fine di ogni puntata si attacca una lettura morale edificante (gli incappucciati sono i cattivi compagni, "cattivi" in quanto "captivi Diaboli", prigionieri del Diavolo, Tommaso è la coscienza...) ma prevale il gusto dell'affabulazione. Il giovane cavaliere girovaga per un medioevo fantastico fino a trovare gli strumenti ariosteschi per riconquistare il suo castello, tra occhiali fatati per vedere il castello divenuto invisibile e la spada invincibile con cui affrontare gli incappucciati e il losco figuro che li ha ipnotizzati.





Nel 1953, nella collana "Ore A", dedicata al teatro, appare anche "La cosa più bella del mondo", "favola aspirantistica" per il teatro dell'Azione Cattolica ragazzi. In allegato anche "La banda del serpente nero", molto più didascalica e moraleggiante, del 1941, di cui abbiamo già detto. Di questa si riporta la data di prima messa in scena: quindi l'opera principale è probabilmente scritta negli anni '50 (magari nel 1951-1952) da Martinetti come pensata direttamente per la pubblicazione in volume. Si tratta probabilmente della sua ultima opera per ragazzi e il tema aspirantistico è sviluppato con brio (cosa che fa presumere uno stile maturo). Ci sono tre viaggi nello spazio tempo che faranno maturare il giovane protagonista: praticamente il Ritorno al futuro di Zemeckis.

Il giovane aspirante protagonista è infatti insoddisfatto della sua vita di AC e il mago Aristogitone (il tirannicida di Ipparco), che gli appare in bicicletta e lo invia dove vuole con una lampadina magica.

Il primo salto è negli USA, dove va a fare il poliziotto in una sorta di Chicago dominata dai gangster. Viene in mente che Martinetti ironizzi un po' su Dick Tracy e similari, anche perché nella scena seguente invia il nostro fanciullo in una pampas argentina che ricorda da vicino il western di Tex (o similari), dove però sul finire gli indiani stanno per fare lo scalpo al nostro.

Con un salto ulteriore, va all'epoca degli antichi romani, convinto che con la sua sapienza di uomo del futuro farà fortuna, ma invece Nerone e il suo filosofastro di regime, Calpurnio (una citazione dal Vamba di Gianburrasca: ma è evidente che si tratta di un Seneca caricaturale, che non si poteva nominare in prima persona per rispetto ai classici) lo spedirebbero volentieri ad bestias nel circo.

Finalmente il ragazzo capisce l'antifona e torna lieto al suo tempo. 

Ma intanto Martinetti è entrato nel pieno del gioco politico cittadino, consigliere comunale e segretario della DC che, nel 1953, si trova a Mondovì di fronte al delicato imprevisto della morte del sindaco Manissero in carica e al passaggio di testimone a Giusta, e alle elezioni politiche del 1953. Quindi abbandona, per non più tornarvi, la scrittura per ragazzi.

Naturalmente, mi piacerebbe immaginare un passato alternativo in cui mio nonno fosse rimasto un normale insegnante (e poi direttore didattico) e avesse continuato le collaborazioni al Vittorioso e magari, in seguito alla chiusura del 1970, al Giornalino dei Paolini che ne raccolse l'eredità. Ma in definitiva non ho dubbi che abbia seguito la sua principale passione, e queste righe rappresentano semplicemente un piccolo omaggio personale.