Soldatini di carta



Mi è capitato, di recente, di partecipare con un contributo a un saggio sul fumetto che reputo molto interessante: è uscito in libreria il 19 novembre 2020 e si intitola “Soldatini di carta”, curato da Laura Scarpa per le edizioni ComicOut. Si tratta di un libro che raccoglie i soldatini realizzati per il Corriere dei Piccoli dai grandi maestri del fumetto italiano: di questi, io ho trattato la figura di Dino Battaglia, a cui, come sanno i miei manzoniani venticinque lettori, sono molto affezionato.

https://www.lospaziobianco.it/comeunromanzo/dinobattaglia/

https://www.lospaziobianco.it/i-delitti-della-fenice-il-fumetto-seriale-secondo-battaglia/

I soldatini di carta potrebbero apparire un argomento "minore" nella storia del fumetto, e infatti finora non è stato molto indagato, ma ritengo invece siano un tema molto interessante. Johan Huizinga, nel suo “Homo Ludens” (1938) ha sostenuto per primo che l’uomo si definisca per la sua capacità di giocare. Una verità che è estremamente evidente oggi, in un’epoca in cui – e non da ieri – il videogame nelle sue varie forme appare sempre più il media caratterizzante il nostro tempo.

Ma prima del videogame, ci sono stati i soldatini. Le origini remote si possono far risalire all’antico Egitto, ma la loro forma moderna si precisa nella Prussia del ‘700, quello “stato caserma” così plasmato dalle sue tradizioni militaresche. Ecco quindi che il soldatino di stagno (eternato anche da Andersen, nell’800, in una delle sue fiabe più note) diventa l’icona ludica di quell’epoca, con un successo che invade tutta Europa e porta alla diffusione dei wargames, i giochi strategici già adottati dagli eserciti germanici come forma di addestramento militare, e poi divenuti un passatempo diffuso nei vari strati della borghesia.

Ai soldatini del Corrierino sono particolarmente affezionato. Ovviamente, per ragioni generazionali, non ho potuto comprarli in edicola: ma tra i ricordi della mia infanzia, oltre ai "fumetti da barbiere" (Diabolik, Skorpio, Tex... a cui è dedicato questo blog) ci sono le copie del Corrierino ereditate dai miei genitori e dai miei zii. Su alcune copie trovai dei soldatini intonsi, quelli di ambientazione medioevale che molto mi affascinavano, e che ritagliai e utilizzai per sessioni di gioco che anticipavano quel che, qualche anno dopo, sarebbe stata la scoperta dei giochi di ruolo: "Dungeons and Dragons", "Uno sguardo nel buio", "Kata Kumbas", "I cavalieri del tempio" e, più avanti, in un contesto fantastico ma ormai moderno, "Call of Chtulhu", l'ultimo che abbia giocato con passione.

Tutte opere che scoprii in formato "libro", sulla scorta del successo del libro-game, e che quindi - e me ne dolgo - non pensai di giocare utilizzando delle miniature ancorché povere. Ci avessi pensato, probabilmente avrei riutilizzato quelle del Corrierino, che erano bellissime e riflettevano bene il medioevo immaginario che ci piaceva: non tanto quello di draghi terrificanti e sotterranei infiniti colmi di tesori, ma una sorta di grande intrico complottistico medioevale, tra veleni, cospirazioni, congiure. Una sorta di "Game of Thrones" antelitteram, che qualche anno dopo avrebbe trovato il suo corrispettivo letterario con la scoperta del Nome della Rosa, nei primissimi anni del liceo.

Oggi mi sono distaccato dal gioco di ruolo, anche per questione di tempi, di dispersione dell'ultimo gruppo con cui mi era capitato di giocare (oggi al limite si potrebbe fare in modo virtuale, cosa che però mi metterebbe una certa melanconia). Forse, se dovessi riprendere, dovrei dare vita all'unica cosa che mi divertirebbe ancora fare con gli RPG: mettere in scena l'universo complottista de "Il Pendolo di Foucault", magari riadattando i soldatini di Battaglia per "Il gioco del potere", che potrebbero prestarsi a un detournement. Magari, se si volesse giocare il Grande Piano sui vari livelli temporali, integrando anche con gli altri soldatini antichi, dagli Egizi ai Medioevali passando per il '700. Non tanto, di nuovo, battaglie campali, ma complotti, cospirazioni, e solo occasionalmente scontri all'arma bianca o da fuoco. I soldatini, nella loro versatilità, si prestano anche a questo. 



Ma lasciamo perdere questo Amarcord felliniano, e veniamo all'opera in questione. 

Sul Corrierino coi soldatini si inizia negli anni ’30 con Domenico Natoli, di cui parla in questo saggio Alessandra Lazzari nel testo critico che apre la raccolta. Si riprende poi nel 1959 con Giorgio Trevisan, con le sue figure western e i suoi soldatini dell’Unità d’Italia in vista del centenario della seconda guerra d’indipendenza, indagate da Bruno Caporlingua, che si occupa anche di Guido Crepax. Naturalmente, ogni scheda accompagna una selezione amplissima di soldatini disegnati dall’autore, in magnifiche tavole a colori che permettono di apprezzare il segno dei maestri in tutta la sua bellezza.

Andrea Angiolino si occupa poi di Sergio Toppi; Laura Scarpa, che cura tutta l’opera, si occupa invece in particolare di quelli realizzati da Hugo Pratt, mentre un mio intervento riguarda i soldatini di Dino Battaglia. Lo scultore Adriano Laruccia esamina il tema della tridimensionalità dei soldatini e il loro rapporto con le arti plastiche. Altre schede ricordano altri nomi comunque rilvanti che si sono cimentati nell’arte soldatinesca: Leone Cimpellin, Aldo Di Gennaro, Giancarlo Francesconi, Mario Uggero.

Un saggio di Caporlingua esamina poi anche le illustratrici, che hanno un ruolo di primo piano nel fumetto italiano delle riviste per ragazzi, e quindi anche in questa illustrazione “soldatinesca”, magari anche in forme meno immediatamente “belliche”. Iris De Paoli, in particolare, ha prestato il suo segno prezioso al Corrierino, ma vi sono altri nomi di alto rilievo, non abbastanza ricordati oggi, come la grandissima Grazia Nidasio, Marialuisa Gioia, Giulia Orecchia e Carla Ruffinelli.

Negli anni ’70, mentre i soldatini di piombo venivano soppiantati definitivamente da quelli di plastica in ambito ludico, i soldatini di carta dei giornalini per ragazzi scomparivano, anche di fronte alle critiche serrate del post-68 ad ogni possibile propaganda bellicista. Forse, in realtà, nel loro offrire infinite possibilità combinatorie i soldatini cartacei non lo erano, non in modo così immediato, o comunque strutturalmente predisposto alla decostruzione. Negli stessi anni, dal wargame che essi rappresentavano nella forma più popolare si generava un nuovo tipo di gioco: il role playing game, sorto nel 1974 con Dungeons And Dragons. Rolegame e Wargame classici, fisici, sarebbero poi passati tra ’70 e ’80 nel medium videoludico, contribuendo a sviluppare nuovi generi – il videogame strategico, da “Hamurabi” in poi; il videogame adventure e RPG – che arricchirono il medium intersecandosi ai giochi arcade nati nel brodo primordiale delle sale giochi. Un saggio di Davide Franco Jabes esamina alcune implicazioni delle evoluzioni storiche dei ’70, mentre il volume si chiude con dei sorprendenti soldatini “politici” di Toppi e Battaglia, “Il Gioco del Potere” per Bancarella, 1978. Ma ormai il soldatino non è più gioco, è citazione.

Insomma, un volume interessante per lo studio che offre su un fenomeno poco indagato, ma importante per comprendere l’evoluzione del fenomeno ludico e integrare quella dei maggiori fumettisti italiani, anche loro “soldati di carta” al servizio della Nona Arte. Su tutto spicca soprattutto la bellezza di queste tavole meravigliose, qui pubblicate in un’edizione di pregio. Viene voglia, in modo quasi sacrilego, di ritagliare le pagine, ricreare le armate dei soldatini, e iniziare a giocare infinite battaglie impossibili, egizi contro il west, moschettieri contro antichi romani. Del resto, comprando tre copie – una da conservare, due da ritagliare per il gioco, essendo ovviamente le pagine stampate dai due lati – sarebbe perfino possibile farlo senza troppi problemi (ComicOut, credo, non se ne avrebbe a male).