Madala

 



“Madala” è un nuovo fumetto – realizzato inizialmente come
webcomic – proposto dal collettivo Ehm Autoproduzioni. Inserito nella collana
“Clash”, segue un successo come “Frikis”, che nel 2019 è risultato vincitore
del Premio Andrea Pazienza
(nel 2018, “Wake Up” di Custagliola e Cosentino era
stato premiato agli Audaci Awards). “Madala” è un lavoro ancor più corale di
“Frikis”, con la compresenza non solo di diversi disegnatori, ma anche di
diversi sceneggiatori; mentre un fattore unificante sono i colori di Francesco
Montalbano. Il nome viene dalla lingua del popolo africano Hausa, dove la
parola “Madala” (più spesso attestato nella grafia "Madalla") significa “grazie a Dio”.

L'opera viene oggi proposta da Green Moon Comics, nuova etichetta del fumetto italiano che si è già distinta per diversi lavori molto interessanti, di cui abbiamo avuto modo di parlare su questo blog (vedi qui).



Un nome appropriato: “Madala” è infatti una antologia in sei
capitoli, che va a indagare le credenze di popoli, luoghi, tempi diversi,
esplorando in modo fantastico l’origine dei vari miti. Le storie non hanno una
connessione narrativa tra loro, ma, come vedremo, emergono numerosi fattori
unificanti, pur nei differenti stili dei singoli autori. In generale, emerge un
linguaggio fumettistico molto moderno, fondato su un uso consapevole della
splash page e della inset page, mutuate dal fumetto americano. I testi sono
scarni, essenziali: a tratti, le storie sono quasi mute, il racconto affidato
al limite alle didascalie di pensiero della voce narrante. Anche il segno dei
vari autori è più amalgamato che in “Frikis”: là c’era una trama unificante a
reggere il raccordo tra i vari capitoli, che qui è più esile, e un segno in parte
più uniforme diviene un fattore unificante.







In base all’ordine di presentazione online, “La Llorona” di
Elisa Bisignano (testi) e Antonello Cosentino (disegni)
ha il compito di
introdurre la serie di storie: si riprende un mito dell’America Latina, la donna
che piange i figli perduti, recuperato di recente anche dall’omonimo film horror
di Michael Chaves (2019). Ci si ricollega correttamente alla mitologia azteca e
agli orrori della conquista: La elegante sceneggiatura della Bisignano e il
segno pulito e signorile di Cosentino introducono il terribile momento
dell’arrivo dei conquistatores, quasi rovesciando il celebre finale di
“Apocalypto” (2006) di Mel Gibson: se là, discutibilmente, l’arrivo degli
spagnoli era salvifico, qua se ne coglie – e senza bisogno di mostrare nulla:
solo col crescendo della tensione – tutto l’orrore. Le scelte cromatiche,
secondo un pattern che ricorre in tutta l’opera, giocano abilmente sul
contrasto del blu della notte (quella reale, e quella che si appresta a
scendere sulla civiltà precolombiana) e un rosso luminoso: la fiaccola che si
spegne, contrapposta alle torce minacciose degli invasori, pronti a mettere a
ferro e fuoco.



La seconda storia, “Marinette“, di Luigi Formola (testi) e
Fabrizio Castano
(disegni), si colloca nel 1791, durante la celebre rivolta
degli schiavi, realmente avviata dalla cultura voodoo dell’isola. Idealmente, è
quasi un prosieguo (stante il salto temporale) rispetto a “La Llorona”, e
affronta un nodo molto interessante: il paradosso atroce dell’oppressione da
parte di quella Francia rivoluzionaria sorta dalla rivoluzione del 1789, che
qui si riflette nei soldati che caricano gridando “Liberté”. Oppressione non
priva di contrasti: esponenti dell’illuminismo, in patria, criticavano
duramente la contraddizione della violenta oppressione coloniale. Torna,
potente, il contrasto tra blu e rosso, dove il secondo polo evidenzia i momenti
più drammatici e distruttivi.



 “Morgana“, di Claudia
Milazzo (testi) e Elisa Bisignano
(questa volta ai disegni) si sposta di
contesto, ed esplora la affascinante connessione tra cultura normanna e
siciliana/mediterranea sotteso al fenomeno ottico di tale nome. Ritorna il tema
della distruzione e del saccheggio come elemento quasi metastorico del male
dell’uomo (qui siamo nel V sec. D.C., col crollo di quell’impero romano di cui
la Sicilia era il fulcro del dominio sul Mare Nostrum): ma, in una crescendo
narrativo, la divinità femminile protettrice della terra non viene questa volta
sconfitta (Llorona) o si limita alla vendetta (Marinette) ma riesce a sconfiggere
l’invasore – mostrando, ovviamente, anche il proprio volto terribile. La scelta
dell’opposizione cromatica è, coerentemente, diversa: non un contrasto netto,
ma la giustapposizione di colori tenui d’acqua e di terra, che sfumano gli uni
nell’altro come tipico di quest’illusione.



In “Baba Jaga” torna Luigi Formola ai testi, con Emiliana
Pinna
ai disegni. Il campo semantico del fuoco distruttivo appare evocato anche
al livello dei testi (la efficace ripetizione ossessiva “Fuoco / fiamme /
cenere”) oltre che nei disegni, dove si conferma il dualismo cromatico
rosso/blu: e ancora una volta, il potere salvifico del divino femminile passa
tramite la forza dell’acqua. Una storia affine a “Morgana”, per certi versi, ma
con una scelta cromatica più coerente alle prime due storie.



“Kamikaze (o Vento Divino)”, di Fabio “Punk” Baldolini - qui autore
completo -
costituisce una interessante variazione. La cosa è subito percepibile
nella scelta del segno, che si distanzia dagli altri autori presenti nel
volume. Il segno – coerentemente col percorso dell’autore - è più veristico,
più affilato, con un più intenso gioco di chiaroscuri. Una scelta che è anche indispensabile
a un “rovesciamento” importante all’interno della storia, aiutato da questa
scelta segnica. Ma cambia anche il tema: al centro vi è sempre il Divino come
elemento protettivo di una terra e di un popolo, ma in questo caso è il divino
maschile, il “vento divino” appunto, il cui nome sarà reso famigerato dai
piloti nipponici della seconda guerra mondiale. Anche questo è un
rovesciamento: un archetipo che noi associamo a un elemento distruttivo, il
“guerriero zero” suicida di Pearl Harbor e altre terribili battaglie aereo-navali,
ha l’origine in un mito “difensivo”. Ma, in generale, questa è la storia che
problematizza le altre, scongiurando il rischio di una lettura manicheista.
“Non c’è bianco e nero”, si dice nella storia, non ci sono “bene o male”
assoluti, gli opposti – come nello Yin Yang orientale, del resto – si
compenetrano e anche il nemico è un essere umano che merita rispetto.
L’opposizione fuoco/acqua, blu/rosso, femminile protettivo / maschile
distruttivo che si è esplicata fin qui non è da prendersi come assoluto, ma
come simbolo, archetipo. Non a caso, anche cromaticamente, ci sono scampoli di
quella opposizione, ma essa appare in modo più sfumato, meno paradigmatico, in
una scelta visiva in generale meno naturalistica. “Madala” rimanda alla grazia
divina, come detto all’inizio. Ma una certa circolarità che attraversa le
narrazioni, tipica del resto dell’universalità del mito e della sua
rappresentazione dell’eterno scontro tra opposti, pare quasi suggestiva della
circolarità del “Ma(n)dala”.



 “Kumari“, di Claudia
Milazzo (testi) e Antonello Cosentino
(disegni) conclude infine la serie. Qui
non c’è più il tema della violenza e dello scontro, ma solo quello della
divinità femminile protettrice, in questo caso riferito al Nepal, qui colto al
suo sorgere, nel 1768. La dea bambina, la dea vergine, simbolo di purezza,
procede all’incoronazione del primo re di una lunga dinastia in un atmosfera
anche cromaticamente solare e festosa, un tripudio di colori senza il tema del
conflitto cromatico che ha percorso la narrazione finora. Forse non è però
casuale che si scelga un luogo che proprio in tempi storicamente recenti ha
visto il crollo di questa monarchia (nel 2007), la affermazione del partito
maoista e il conseguente avvicinamento alla sfera d’influenza della Cina. Gli
dei sono archetipi antichi e potenti, ma anche su loro permane un’Ombra.



Un fumetto, dunque, decisamente interessante, per questa
capacità di coniugare il fantastico con un rimando storico preciso e
documentato
. Da un lato ne beneficia il lato avventuroso, action della storia,
che ne viene rinnovato rispetto a certi luoghi comuni stereotipi del fantasy.
Dall’altro, il riferimento storico preciso dà un valore informativo, e
potenzialmente anche didattico (a saperlo bene usare) al volume: sia sulle
mitologie, anche non ovvie, di vari popoli e culture, sia sugli eventi storici
cui questi miti si intrecciano. Ma, sopra tutto, rimane il fascino eterno del
mito, declinato qui nelle sue poliedriche sfaccettature, al di là del bene e
del male, potente e indecrifrabile.