Casdan, Sdillirio (Gonzo Editore 2021)

 


Gonzo Editore, di cui ho già avuto modo di parlare, è una nuova realtà fumettistica che si muove nei territori dell'underground: il nome deriva da una citazione di Hunter S. Thompson, il giornalista ideatore del Gonzo Journalism, che prevede una immersione partecipante negli eventi che si vanno a narrare. Una tecnica introdotta dal suo servizio sugli Hell's Angels (1967) e quindi, serializzato su Rolling Stones, l'opera che gli è valsa fama universale, "Paura e delirio a Las Vegas", grandioso affresco sul fallimento della rivoluzione lisergica e la sua involuzione in uno spumeggiante caos individualistico (reso ancor più famoso, di recente, dall'adattamento cinematografico di Terry Gilliam del 1998).



Una dichiarazione di intenti, quella del nuovo editore toscano, che si sposa bene con i suoi fumetti, graffianti, sporchi, cattivi il giusto, in direzioni magari differenti ma complementari. Avevamo qui parlato di "Mo.Men.Tum" di Samuele "Zamu" Rossi, che è perfettamente nelle corde esoteriche che costituiscono il leitmotiv - mai esclusivo o escludente - di questo blog. E, al proposito, vi rimando alla recensione qui:

Samuele Rossi, "Mo.men.tum" (Gonzo Comics 2021) (barberist.blogspot.com)





Quest'opera di Casdan, autore completo, si muove quindi in territori differenti da quelli di "Momentum", meno esoterici, ma a loro modo ugualmente ispirati a un lucido Delirio, o forse s-Delirio con S privativa come sempra suggerire il titolo, volutamente sfuggente (al di là del rimando al nomignolo del protagonista), che ci introduce in questa "città-stato di dipendenza" degli anni '80, in una dicotomia che viene subito chiarita nelle prime due tavole, e ribadita in seguito da una carrellata di rimandi storici.

A fronte di un prevalere dell'amarcord ottantista prevalentemente levigato e avvolto nei fumi melanconici di una nostalgia dai colori romanticamente sbiaditi di una polaroid autunnale, Casdan affronta gli anni '80 con un segno graffiante, disturbante, privo di qualsiasi tentativo di conciliazione, come denota già la potente copertina, decisamente unheimlich.

La vicenda di droga (la città-stato della dipendenza che è anch'essa parte dei luccicanti '80, appunto) viene letta in un mix genuinamente disturbante con la mascheratura dei protagonisti della vicenda nelle forme dei personaggi dei cartoni di Go Nagai, omaggiato in apertura. Questo sarebbe ancora un espediente brillante ma esistente, e ultimamente sdoganato in modo massiccio in questi anni '10, in forme differenti, dallo stilema prevalente di Zerocalcare. La cosa che rende più affascinante e inquietante la cosa, qui, è la mescolanza di questo travestimento pop con la lingua burocratica del tribunale, per mezzo della quale viene ricostruita la vicenda.






La scelta di Go Nagai è azzeccata e raffinata. Certo, innanzitutto il cantore generazionale di quell'infanzia gen. X affidata alle premurose cure di mamma TV: dopo la fugace apparizione in RAI nel 1978, subito rintuzzata dagli alti lai dei censori, i cartoni animati giapponesi giungevano a turbare le giovani anime sui canali di Mediaset, allora Fininvest, e in modo ancor più libero sulla ridda di TV locali. 

Ma Go Nagai, oltre a padre dei Mecha televisivi, è anche autore dal disturbante bianco e nero, ad esempio sul fumetto di "Devilmen" (più filosofico e angosciante del cartoon televisivo, e al limite ripreso più dal recente Devilman Crybaby): diverso da quello qui messo in scena con pennarello e bianchetto (vedi qui), piuttosto giocato invece su nitidi, precisi contrasti chiaroscurali dalla diabolica precisione.

Le grandi tavole affastellate fanno pensare, se vogliamo, a qualcosa del Pazienza più allucinatorio, come quello che emerge da "Gli ultimi giorni di Pompeo": anche se in lui resta sempre una maggiore elegante nitidezza del segno, anche quando volutamente involuto. Qui, invece, predomina uno spirito ancor più caoticamente punk in una lunga teoria di splash page che nascono dall'intersezione di immagini assemblate anarchicamente, spesso interconnesse da testi piuttosto densi e fluviali. Certo, la citazione del "Male", unita all'evocazione di quel papero alla Mattioli (ma certo anche di molto Pazienza, che sulla Disney era solito similmente giocare) che ordina Playboy. 



Se vogliamo, l'unico tratto apparentemente esoterico scaturisce da intrichi di linee che, a un certo punto, quasi appaiono evocare antichi sigilli: ma subito anche questa variazione viene riassorbito nel magmatico flusso delle tavole, e verso la conclusione, pur sommersa dall'affollamento di oggetti, personaggi, elementi di sfondo, torna una griglia tutto sommato regolare, all'italiana, per la chiusura tristemente, inevitabilmente prevedibile della vicenda. 

Pazienzesco (da certi Zanardi chiusi in sarcastico bathos, come "Verde matematico") appare anche il finale, con quella sardonica fine che ci collega ancora una volta al contesto storico "di superficie" (il Mundial del 1982) con una efficace potenza straniante, dopo una evocazione singolarmente mortifera dell'Origin du monde di Courbet.

Alla fine, questi rimandi possono essere un retrogusto che l'appassionato può cogliere e riporre per suo piacere nel Frigidaire, ma rivivificati in uno stile comunque autonomo e personale, che introduce una differente discesa negli inferi anni '80, lastricati di zucchero bianco e marrone.