Emanuela Milleri - The Evil Deer





"The Evil Deer", pubblicato nuovamente con Markosia, è il secondo graphic novel di Emanuela Milleri, del cui albo d'esordio, "The Horizon Café", avevo recensito su N3rdcore, qui:

Emanuela Milleri e il noir-cyberpunk decadente di Horizon Café - N3rdcore

In questo nuovo volume troviamo alcune delle caratteristiche dell'albo precedente, che confermano gli stilemi di fondo dell'autrice, sia pure in una storia complessivamente differente.

Al posto di un certo noir-cyberpunk che avevamo trovato nel suo primo lavoro, qui abbiamo uno scenario radicalmente surreale, che si muove tra il presente (o forse, ancora di più, una sorta di anni '50 stilizzati) e un passato senza tempo, con costumi settecenteschi volutamente incongrui.

Un gusto surrealista che era presente già nell'opera precedente, ma che qui appare rafforzata, sottolineando il gusto lynchiano che appariva anche nel primo lavoro. Il segno riconoscibile, cartoonistico e trasognato, si conferma particolarmente idoneo a questa declinazione metafisica, anche al di là dell'elemento di riconoscibilità calligrafica degli occhi "da clown triste" di tutti i personaggi.

"Il cervo malvagio" che dà il titolo all'opera è la leggenda che aleggia sul piccolo villaggio rurale in cui si trova la locanda che è il focus assoluto delle vicende del fumetto. 

Ancora una locanda come posto di incontro e di scontro, come in fondo nell'Horizon Café del titolo precedente: ma se là questo scenario appariva all'interno di una più vasta esplorazione di una città retrò-fantascientifica, tra noir anni '30 e futuro (secondo del resto lo stile codificato in Blade Runner e in un certo tipo di dieselpunk), qui l'Hope Inn, dal nome fortemente parlante, occupa interamente la scena a parte una breve sequenza iniziale.

C'è un gusto, per certi versi, più "teatrale" in questa seconda opera, con una unità forte di tempo, luogo e azione. Con gli opportuni accorgimenti, questo lavoro potrebbe divenire una piéce straniante, a tratti quasi di teatro dell'assurdo.

Anche la struttura narrativa, labirintica in Horizon Café, è qui relativamente più lineare: dopo l'esordio in medias res e il relativo flashback, le vicende si dipanano in modo più lineare, con una sostanziale continuità fabula/intreccio salvo qualche altra analessi minore volta a esplorare i ricordi dei protagonisti.






Hope Inn è, ovviamente, nome fortemente parlante: una tipica locanda periferica come quelle di molto cinema, dove le speranze si ritrovano a naufragare: quelle della protagonista, imprigionata in una vita monotona e frustrante, ma anche quella dell'artista fallito con cui si incontra ed entra per un momento in sintonia.

Lo stile visuale è in forte continuità con quello del volume precedente: uno stile volutamente naif, dove il segno minimale permette di dare massimo risalto alla grande bellezza del colore, usato sapientemente come contrappunto emotivo delle vicende dei personaggi. Si accentua ancor più questa fluidità essenziale del colore acquerellato, anche con la complicità di scenari semplificati all'osso, in assenza di elementi fantascientifici. 

Il montaggio di tavola è molto libero, sulla base della splash page che spesso diviene inset page, con aggiunta di tasselli su una visione globale di sfondo: l'ideale - assieme a tesi minimali, intervallati da silenzi - per lasciar spazio all'immaginifico segno dell'autrice.

C'è di nuovo, come per il fumetto precedente, un efficace comic trailer:

The evil deer - Trailer - YouTube

Sotto il profilo stilistico, invece, si nota una volontà di semplificazione, pur nel mantenimento di un approccio visivo complessivamente simile: oltre all'assenza di intreccio virtuosistico, non c'è un uso così insistito di leitmotiv narrativi celati nel racconto, se si esclude ovviamente il tema dell'Evil Deer stesso, che è però il fil rouge della narrazione. Anche il colore, pur avendo una forte e riuscita valenza espressiva, come detto, non ha un carattere simbolico così paradigmatico e accentuato come nell'opera precedente, procede più per intuizioni che per allusioni simboliche nettamente codificate.





Permane, anche nella trama complessivamente più lineare, il gusto della Milleri per una certa inquietante "apertura" della narrazione, dove non tutto è spiegato (anzi, a ben vedere, ben poco è chiarito in modo sistematico).

Ad esempio, la giovane locandiera non pare avere un rapporto particolarmente negativo col brusco nonno, ma in una scena vediamo dei lividi su un braccio che potrebbero far pensare a percosse, o peggio. Però su questo aspetto non si ritorna, ed essendo una pittrice, potrebbe davvero esser solo una macchia di colore. Pennellate - appunto - di possibili retroscena, creati magari in modo quasi inconscio dall'autrice, che contribuiscono all'atmosfera di inquietante mistero.

L'azione dei vari personaggi appare volutamente eccessiva, surreale, estrema, con una valenza allegorica marcata. Questo rende meno percettibili le volute omissioni che rafforzano un certo senso di unheimlich che la trama trasmette proprio per la sua indeterminatezza (paradigmatico il momento in cui la viaggiatrice chiede la storia del cervo malvagio, ma poi ci ripensa e non la vuol più sapere "per non rovinarsi la giornata").





La Ross che aspetta Denton è la Jessica Ross scomparsa (ma allora perché lui ne attribuisce la colpa al Cervo, quando la sa viva?) o, più probabilmente, una parente della Ross che è con lui nella sua impresa? O, di nuovo, una semplice coincidenza, in un paesino dove i cognomi sono al solito spesso molto simili?

Gli omicidi di Denton e i suoi sono puri crimini, o sono collegati alla sua lotta contro il Cervo? Per tacere poi della scena finale, che potrebbe avere valenza solo onirica e simbolica, oppure rimettere in parte in discussione tutta la narrazione, senza del resto chiarirne il mistero sottostante.







Insomma, la giovane fumettista di Bibbiena realizza un secondo lavoro che testimonia la serietà del suo approccio al fumetto, in cui appaiono confermate le caratteristiche mostrate nell'esordio, con qualche variazione nel modo di declinarle: un segno naif che ha il suo punto di forza nella fluidità espressiva dei cromatismi ad acquerello, e un approccio surreale, inquietante, intenso alla sceneggiatura, che crea una scenografica profondità approfittando delle nebbie dello spazio bianco del fumetto. 

Insomma, un lavoro valido, nello stile dell'autrice, che soddisferà chi ha apprezzato The Horizon Cafè.