Micol Arianna Beltramini, Daniele Serra, Murder Ballads (Oscar Ink, 2021)



"Murder Ballads", edito da Oscar Ink / Mondadori, per i testi di Micol Arianna Beltramini e i disegni di Daniele Serra, è un testo molto interessante.

La Murder Ballad è un genere specifico della ballata, dedicato a un fatto di sangue cruento, come facile comprendere dal nome: laddove la ballata è, naturalmente, un genere narrativo della canzone, volto a raccontare una storia. La tradizione di queste "ballate di omicidio", potremmo dire, è antica e affonda le sue origini nella ballata popolare, precedente la moderna nascita della musica pop: ma ovviamente ha avuto anche numerose incarnazioni moderne, tra cui molto famosa è quella delle "Murder Ballads" di Nick Cave (1996).

La natura narrativa e la tematica "pulp" rendono tali componimenti particolarmente datti alla trasposizione a fumetto: esiste ad esempio un analogo volume fumettistico dell'olandese Erik Kriek (vedi qui). 





L'approccio di questo volume italiano è molto interessante, come vedremo, per la notevole cura che il progetto rivela sotto ogni aspetto. 

Un breve testo introduttivo anticipa lo sviluppo di ognuna delle cinque ballad prescelte in un campo vastissimo. La prima, "Babes in the woods", è un racconto tradizionale per bambini di fine '500, secondo un diffuso archetipo della fiaba che ritorna in numerosissime fiabe: i bambini abbandonati nel bosco da un esecutore che non si decide a ucciderli. 

Tale prima storia, resa particolarmente angosciante dal tema infantile, è resa tramite il disegno a matita, in un bianco e nero sfumato di grande potenza evocativa, perfetto a rendere l'essenza di una foresta immersa in brume inquietanti. La storia procede per grandi splash pages, su cui domina l'intrico degli alberi della foresta, in un groviglio di segni impeccabile, volutamente soffocante, fino alla cupa chiusura che collega la leggenda originaria ad altri casi purtroppo reali, e chiude con l'inserimento a colori di una macchia di sangue rosso che va a sporcare l'ultima tavola.





Con "Giù al fiume" ci spostiamo su un campo sempre di tragica attualità, il femminicidio, purtroppo un tema molto diffuso nelle Murder Ballads, narrato a partire dalla rielaborazione dei fatti di Knoxville Girl (e altre ballate), risalenti al 1683. La scelta è quella di inserire qui il colore, nelle modalità di un acquerello che parte dai toni seppiati delle sequenze iniziali per approdare al blu acquoso delle scene cruciali, dove - anche qui - il rosso del sangue viene a trionfare. L'acquerello qui è assolutamente dominante, non limitato in alcun modo dalla linea di contorno, all'opposto della storia precedente dove spiccava invece segno a matita spiccava per l'assenza dell'usuale ripasso a china e del colore.

Ogni storia, di qui in poi, avrà la particolarità di una diversa scelta rispetto alle tecniche di colorazione e disegno, che pare affatto casuale ma, ogni volta perfettamente congeniale alla narrazione di quel preciso ambito delittuoso.





La terza storia, "E poi non rimase nessuno", sceglie quindi ancora una differente modalità visiva. Il disegno appare nel più consueto bianco e nero chinato, con un riempimento con un singolo tono di grigio per un risultato che pare rimandare alle vecchie fotografie, al vecchio cinema, che funziona nuovamente bene con questa storia con cui ci spostiamo, in modo centrale, verso una narrazione relativamente "più moderna" (negli altri casi, benché la storia principale fungesse da spunto per inserire poi altre ballad simili, a dimostrare la ricorrenza di questi archetipi nella realtà e nell'immaginario, si partiva da ballad antiche, con radici medioevali, quando questo immaginario si consolida).

La terribile vicenda della famiglia Lawson ci porta invece agli anni '30 del Novecento, in quella disperante campagna statunitense da American Gothic su cui si sta per abbattere la Grande Depressione narrata da Steinbeck. A questo scorcio di inquietudini note, qui declinate in una chiave particolarmente cupa, si aggiunge qui il tema della spettacolarizzazione dell'orrore, un elemento tipico della modernità novecentesca. 

Anche qui, permane la scelta dell'inserto rosso su uno sfondo monocromatico (o su una scelta di campiture di colore uniformi, come nel blu della seconda storia), secondo una tecnica che è frequente nel cinema e nel fumetto (la Sin City di Miller) ma che qui, in modo interessante, viene applicata in modo differente su ogni storia, stante la differente scelta coloristica di partenza.






La quarta storia, "Brigantesse si muore", passa a un puro bianco e nero con netti contrasti, ma l'elemento del rosso interviene in un modo ancora diverso, come si vede nella tavola sopra, mescolandosi all'inchiostro nero quando si deve sottolineare, come al solito, l'elemento cruento tipico di questo tipo di opera. Il focus in questo caso è italiano, sul brigantaggio meridionale postunitario, e in particolare, questa volta, sulle figure di brigantesse, spesso anch'esse al centro di ballate popolari di fine sfortunata come i loro omologhi maschili. L'oppressione della repressione dello stato unitario si unisce qui alla marginalità ottocentesca (e ancora attuale, purtroppo) della figura femminile, con una maggiore coerenza tematica con l'argomento di fondo del volume, che pur includendo anche vittime maschili si focalizza soprattutto su una femminilità schiacciata e oppressa, di cui le Ballads si fanno voce dolente nel sentire popolare.





L'ultima storia, "Solo un giorno come le rose", ritorna a un bianco e nero a mezza tinta (che torna a richiamare l'elemento fotografico, o forse di fotogramma filmico), squarciato però da ampi riquadri in splash page, come miniature medioevali che contrappuntano con la storia del sogno romanzesco la storia prosaica della realtà, quella trasposta da De André in Marinella: Mary Pirimpò, giovane prostituta milanese assassinata e gettata nel fiume. Il rosso non appare questa volta inserito nelle tavole in bianco e nero, perché è presente, in mezzo agli altri colori, nelle grandi tavole colorate di gusto gotico, o forse ancora meglio romanticamente neogotico.

Da notare che, in modo metanarrativo, la giovane prostituta legge avidamente i fotoromanzi (i fumetti fotografici esplosi negli anni '40 / '50) che offrivano un sogno di evasione in quella dura Italia dell'immediato secondo dopoguerra, leggendo le vicende romanzate dei Promessi Sposi, così lontane dalle sue ben più prosaiche, realistiche e terribili. Alla minaccia di Don Rodrigo - o del Griso, su cui fantastica Mary - non si oppone in questo caso una Divina Provvidenza che la salvi come la purissima, astratta Lucia Mondella.


Ci è parso utile mettere in evidenza soprattutto questa raffinata costruzione simbolica, che usa ottimamente lo specifico del fumetto (in questo caso, le scelte del colore, e l'uso di un colore simbolico come leitmotiv) in modo originale e brillante.

Naturalmente, è giusto rimarcare ulteriormente, come dicevamo all'inizio, la particolare riuscita dell'opera nel suo complesso, grazie a un affiatamento artistico che si intuisce particolarmente riuscito tra i due autori. 

I testi di Beltramini sono essenziali, come si confà all'evocazione dell'essenzialità della parola lirica della ballata, ma intagliati con particolare cura e perfettamente inseriti nell'ideazione della narrazione per immagini. Al contempo, lasciano pienamente spazio alla interpretazione visiva di Serra, la cui abilità magistrale viene bene messa in luce dal gioco di variazioni che abbiamo detto (le quali, tuttavia, come abbiamo cercato di evidenziare, non sono un mero esercizio di stile ma ben congegnate per esaltare lo specifico di ogni storia).

In ogni caso, l'autrice rende ulteriormente ragione delle scelte in brevi testi introduttivi di una pagina, in cui offre al lettore possibili chiavi di lettura, una sintetica contestualizzazione storica, rimandi ad altre ballad o a riletture musicali di quella centrale.

Insomma, un'opera cupa e romantica, che ci fa gettare uno sguardo a storie dimenticate dal tempo che è però bene continuare a ricordare, per la loro capacità di parlare all'oggi o anche solo, forse, per intrattenerci melanconicamente e offrire a quelle figure sbiadite l'omaggio del ricordo. In fondo, questo è forse lo scopo delle ballate, e l'incarnazione in fumetto testimonia della testarda longevità di questa forma di narrazione autenticamente popolare.