Nathan Never 366 - Mr. Perfect

 


Mr. Perfect, il numero 366 di Nathan Never, è un bell'esempio di fantascienza bonelliana. Alla sceneggiatura vi è il decano Michele Medda, uno dei tre sardi fondatori del personaggio, nell'ormai lontano 1991 (come ricorda il logo del trentennale, che a differenza del bollino degli ottant'anni non mi dispiace).

L'immagine di copertina, a opera di Sergio Giardo, è come spesso capita molto efficace, applicando sull'agente Never quello che sarà il tema dell'albo, ovvero l'uso di androidi maschili come gigolò ipertecnologici.





Ai disegni, la coppia Guido Masala ed Elena Pianta, che offrono una buona interpretazione visuale della storia, con un segno dettagliato e preciso, ricco di retinature in toni di grigio che funzionano bene ad evocare l'asettico ambiente futuribile del mondo neveriano. 

Da un lato, un tipo di segno frequente su Nathan; dall'altro, l'elemento più interessante è un certo effetto "sfumato" ottenuto con puntinature, che rendono il disegno particolare e riconoscibile. Questo stile viene poi abbandonato nel corso dell'albo, per aderire a un segno nel complesso più convenzionale, forse per ragioni di tempo (non vedo una motivazione narrativa nel cambio di segno, ma forse mi sfugge).

Dal punto di vista visivo, di quest'albo colpisce anche l'adozione frequente di una griglia obliqua, rispetto agli standard bonelliani: il che unito al gusto di SF ad alto tasso di mecha design, e all'uso insistito delle retinature, rafforza l'evocazione di atmosfere manga (anche se il disegno è invece occidentale), come del resto un po' da sempre per Nathan Never, ma qui più accentuatamente forse che altrove.

A livello di "casting fumettistico", la protagonista femminile dell'albo, creatrice di questa linea di androidi gigolò, è probabilmente ispirata a Nancy Brilli, o almeno me la ricorda da vicino.



Il tema del robot come gigolò è ovviamente consolidato nella narrazione fantascientifica, a partire da Asimov, con "Soddisfazione garantita" (1951), dove la US Robotics al centro del suo ciclo robotico prova a creare un robo-domestico che però, dovendo seguire le leggi della robotica, diventa il perfetto amante della sua padrona. Un tema poi ripreso nel romanzo "I robot dell'alba" (1983), dove viene più ampiamente sviluppato.

Nel caso di Asimov si tratta di un errato utilizzo dei robot, non previsto nella programmazione originaria ma effetto di una distorsione provocata dalle sue tre leggi. Frequenti poi però in fantascienza robot gigolò esplicitamente previsti come tali, come quello che affianca il robot-bambino di A.I. (2001), Gigolò Joe.

Lo stile di Medda è al solito brillante e ironico (lo spot dei robot, molto divertente ma in stile pubblicità ammiccante anni '80, è stroncato dalla committente perché "sembra roba di due secoli fa", p. 12) e gioca molto, come qui, su una ironia meta-narrativa.

La cosa interessante è che infatti, se siamo nell'ambito della fantascienza sociologica, in cui Medda si muove molto bene, è ovviamente oggi piuttosto ingenuo presupporre un futuro in cui i ruoli di genere sono ancora perfettamente corrispondenti a quelli degli anni '50, grossomodo, dato che perfino oggi la situazione è già più fluida.





Qui invece ci sono "gli uomini che parlano di sport, le donne di scarpe": ma Medda salva la situazione convenzionale con appunto questo approccio sardonico, che con la mise en abime mette in discussione quello che ci rappresenta, invitandoci a prenderlo con beneficio d'inventario.

Divertenti anche le costanti, sottili references alla continuity interna, ad esempio appaiono i Lobos, la squadra di rollerball (o come è chiamato il rollerball del mondo di Never) di Diego Hernandez, il Maradona fantascientifico neveriano (vedi p. 27).

C'è una cosa curiosa in questa "continuity lunghissima": in queste citazioni interne, Medda non fa finta che non sia passato il tempo: Hernandez è ormai una "vecchia gloria" come Maradona, nonostante Never non sia invecchiato di un giorno in questi trent'anni. Il che genera un sottile straniamento, che forse fa parte intenzionale di quel costante tono ironico meddiano.

Nel suo procedere la narrazione poi si fa più cupa e - anche questo, un classico di Nathan Never fin dagli esordi: allora rivoluzionario per il fumetto italiano - c'è una rappresentazione della violenza piuttosto cruda, sia pure con soluzioni di montaggio che in parte fanno più intuire le cose più atroci. 

Resta una notevole libertà espressiva della testata, maggiore ad esempio dell'horror dylandoghiano della "età Gualdoni" (mentre la curatela Recchioni è coincisa con una fase di horror a volte più accentuato). Sarebbe interessante vedere se è una nuova fase degli anni '10 o se non vi siano stati cambiamenti.


Insomma, in generale, un albo interessante, che offre degli spunti di riflessione non banali sulle implicazioni etiche future dell'intelligenza artificiale, non lontane (ma con un approccio autonomo, non derivativo) da quelle proposte in Black Mirror, più in ambito virtuale però che robotico. E, forse, nel futuro distopico in cui siamo già immersi, i robot e le IA sono più quelle assolutamente passive di Medda che quelle più autonome di Asimov, vincolate a leggi etiche e capaci di ragionare. Una passività, naturalmente, che potrebbe anche rivoltarcisi contro: ce ne parlerò un prossimo Never, speriamo, o - temo, a breve - la realtà.

I Grandi contro la moratoria: licenza di uccidere ai robot-killer (avvenire.it)