Paolo Di Orazio, "Primi delitti". Torna il libro simbolo della caccia alle streghe dell'horror anni '80

 


A volte ritornano, come nel finale dei migliori film horror anni '80, dove iconicamente una mano scarnificata rompe la lapide di una tomba abbandonata.

In questo caso, si tratta di "Primi delitti" di Paolo Di Orazio, il libro più celebre dell'autore, maestro dell'horror italiano. Il suo libro più celebre, come spiega anche l'autore, grazie alla canea mediatica generata dai cerberi della censura di allora. A riproporlo meritoriamente è D Editore, nuova casa editrice che rinverdisce lo spirito di quegli anni (qui il volume sul loro sito, che ha una pagina d'apertura decisamente psichedelica: guardatela!).

Ma procediamo con ordine.





La metà degli anni '80 era percorsa da astratti furori che si erano incarnati nell'orrore splatter di quegli anni. A livello globale, ovviamente, col successo di Stephen King - anche tramite film iconici - e Clive Barker, ma anche a livello italiano. 

Aveva aperto le danze macabre, quasi superfluo ricordarlo, il Dylan Dog di Tiziano Sclavi, melange melanconico del fumetto nero (che aveva una sua tradizione italiana dai '60, ormai carsica) col fumetto d'autore. Il successo di quegli albi, così lontani dallo standard bonelliano, fu epocale.

Ciò aprì le porte anche un "rinascimento oscuro" del fumetto orrorifico nelle edicole, di cui l'acme fu, probabilmente, lo "Splatter" della ACME, fondata nel 1988 da Francesco Coniglio e Guido "Silver" Silvestri, rivista affidata alle cure di Paolo Di Orazio, appunto, e Roberto Dal Prà.

L'orrore dylaniato della Bonelli e di altri bonellidi era spesso comunque rattenuto, pur riprendendo la splatter-wave di quegli anni (Dylan l'abbandonò gradualmente intorno al numero cento, dopo l'iconico "Caccia alle streghe" in cui Sclavi spiegava in modo nemmeno troppo velato le spinte censorie interne ed esterne, su cui tornò anche nei suoi due romanzi di ambientazione bonelliana, "Non è successo niente" e "Le etichette delle camicie").



(Paolo Di Orazio)


Su Splatter, invece, l'orrore era privo di limitazioni, o almeno così appariva agli occhi estasiati di noi giovani lettori. Stiamo parlando di un periodo, quasi superfluo ribadirlo forse, in cui l'accesso a una letteratura non pedagogicamente controllata non era così facile, specie in certa sonnacchiosa provincia piccolo-borghese.

I fumetti avevano allora, prima del web (ma anche prima del videoregistratore come strumento di massa), un carattere importante di veicolo libertario sotto il profilo culturale, circolando sottobanco - in senso letterale - nelle scuole superiori e nelle scuole medie. L'alone di proibito che il mondo adulto assegnava all'horror, ovviamente, ne aumentava il fascino di oscura seduzione.



L'edizione Acme originale.


Ed è all'interno di Splatter che nasce "Primi delitti", avviato da Di Orazio nel 1989 pensando inizialmente queste brevi storielline sinistre e fulminanti come soggetti di possibili fumetti. E vennero in effetti fumettati su Splatter, come episodi autoconclusivi, questi racconti, ma anche venduti in allegato.

Lo scandalo fu stranamente enorme e, ancor più singolarmente, l'attacco venne con forza anche da ambienti teoricamente laici: per esempio, famigerato rimane un vasto servizio dell'"Espresso" su questa "nuova piaga", che non ho mai avuto il modo di vedere.



La versione fumettata


In un'Italia degli '80 in cui era ancora fresca la memoria degli anni di piombo, non totalmente sopiti (il grande "bang" dopo il grande "boom", come sintetizza bene Di Orazio nella sua introduzione al volume) e in cui emergevano i ben reali orrori di una nuova mafia ancora più spietata, colpisce questa levata di scudi contro queste novelle nerissime, sì, ma in fondo all'interno di ormai consolidate convenzioni di genere, portate alla radicalità dallo splatterpunk di quegli anni (di cui l'opera diviene, anche grazie al clamore, il caposaldo italiano) ma in fondo in continuità, per dire, con gli anni '50 della EC Comics e persino, andando indietro e scavando nei racconti grotteschi, meno noti, perfino nel padre fondatore orrorifico, Edgar Allan Poe, nel primo '800.



La versione Castelvecchi, del 1997


Certo: "Primi delitti" affondano la lama in profondità nelle viscere di una società sonnolenta, felice nella corruzione generale dello scorcio di fine della Prima Repubblica, ancora immota sotto l'egida di un Governo Andreotti sotto il quale la campagna mediatica si salderà a quella giornalistica (mentre invece, con dispiacere di Di Orazio, meno forti furono le reazioni ecclesiastiche - gli inquisitori di lunga esperienza peccano meno di ingenuità - e grande assente la televisione).

Le figure inquietanti che si stagliano al centro dei vari racconti, scritti con uno stile al vetriolo, identificano e dissacrano icone apparentemente immarcescibili dell'Italia del tempo (immarcescibili almeno fino a che non si va a scoperchiare il sepolcro, naturalmente).

La nonnina con le caramelle di rabarbaro, la babysitter, la suora baffuta che si occupa con generosità degli orfanelli, lo sport, il nonno, e così via. Lo stile di Di Orazio, spontaneo, immediato, intenzionalmente poco costruito nel suo approccio all'orrido (ma, ovviamente, dietro si vede una mano magistrale, che può appunto permettersi di rinunciare a strutture troppo rigide e andare d'intuito) rafforza l'inquietudine suscitati da queste short stories.




Io e la mia copia di Primi Delitti :)


Ma c'è indubbiamente molta beffarda ironia, un sarcasmo al vetriolo che, mentre dissacra laicamente, invita a non prendere e non prendersi troppo sul serio. Intendiamoci: piena legittimità, da parte mia, all'horror anche più serioso, ammantato di profetismi diabolici, che può offrire frisson occultistici non indifferenti (ma anche qui: se si ha il buon senso, per me, di ricordarsi delle "regole del gioco").

Qui, appunto, si tocca un nervo scoperto (e lo si taglia metaforicamente con la motosega) del perbenismo, ma non si può assolutamente pensare, se non con la peggior cattiva fede, a una sorta di manualetto esortativo. 

Per certi versi, come accenna anche Di Orazio, è al limite certa cattiva televisione, certa cattiva stampa, compiaciuta all'inverosimile del real crime, a generare dubbi etici quando il materiale non è più fiction ma carne e sangue vera, dove dovrebbero subentrare diritti alla privacy e codici deontologici dell'informazione, invece di un tritacarne mediatico che fa più paura dei tritacarne immaginari dei mostri dell'horror della porta accanto.

Letti da oggi, comunque, questi racconti funzionano ancora benissimo, perché gli archetipi contro cui si scagliano hanno ancora una loro resistenza nell'immaginario, e i trent'anni di orrore passati non li hanno indeboliti affatto. Certo, chi ricorda il contesto, quelle riviste, quelle pagine, quel clima potrà ritornare con la mente agli anni in cui Belzebù regnava sovrano (stando al nomignolo craxiano di Andreotti: e interessante notare che, in apertura del suo "Il divo", Sorrentino lo immagini con una suggestione di Hellraiser). Ma non preoccupatevi, c'è orrore a sufficienza per tutti.





Per contro, sarebbe interessante vedere un "Nuovi mostri" di Di Orazio, se "Primi delitti" lo vogliamo vedere come una sorta de "I mostri" di Dino Risi, fumettistico-letterario, e prendendo sul serio la metafora del titolo. Questi trent'anni ci hanno offerto ulteriori orrori, e se questo volume mette un chiodo sulla bara della prima repubblica, la sua resurrezione nel sequel offre molto materiale su cui lavorare, a parte l'accelerazione di questi ultimi anni in una apocalisse da grand guignol.

Vedremo quindi se Di Orazio e D Editore, come si accenna anche nella prefazione all'opera, vorranno offrirci altri terrori in cui specchiarci. In fondo, l'orrore più grande è scoprire che quello specchio nero non è mica uno specchio deformante.