Dylan Dog 437 - ... Ma con un lamento

 



Si conclude la "Trilogia del Ritorno" con questo terzo albo, strettamente connesso al numero precedente dalla citazione di Eliot dedicata agli "Hollow men", gli "uomini vuoti" che, come ombre, appaiono come antagonisti nei due albi. Come nel precedente, ai testi abbiamo la coppia Lanzoni-Baraldi (secondo alcuni rumors online, coppia anche nella vita reale, non so con quale fondamento), soggettista e sceneggiatrice. Ai disegni un Gerasi sempre molto bravo.

La cover dei Cestaro Bros, pur ovviamente correttamente impostata, non mi dice un granché. L'editoriale di Recchioni conferma che tutto si trasformerà, anche col cambio di "forma e struttura" dell'horror post, oltre a rimandare alla nuova copertina del 438 che appare in terza di copertina, da cui si vede come anche il nuovo logo di Dylan Dog viene abbandonato per tornare a quello storico vecchio di Corteggi, in un downgrade totale.




I Cestaro abbandonano anche lo stile più "pittorico" delle cover più recenti in favore di uno stile a tinte piatte e con tratto a china, che richiama la composizione di molte cover classiche (Dylan minacciato da un mostro) non so se solo per la cover del 438. Il titolo, "La città senza nome", suona anche molto classico, ma richiama pure - con una certa sotterranea ironia? - Ratman; al tempo stesso, nella definizione di Lanzoni come "affabulatore" nell'editoriale (esordiente assoluto a cui viene affidato un reboot come minimo delicato) può forse apparire una simile, ovviamente indimostrabile, ironia.

Ma naturalmente si rischia di entrare (forse inevitabile, per un appassionato) nella spirale di una sovrainterpretazione, in cui si cerca un significato metaforico agli "uomini vuoti", al titolo eliotiano, e così via. Sicuramente affascina il fatto che la chiusura avvenga a cento numeri esatti dal 337 con cui si avviava davvero la gestione Recchioni, con "Dallo spazio profondo" (dal 325 era curatore, ma per un anno smaltì il grosso delle storie già approvate). Oltre che la cifra tonda, pare quasi richiamare "i primi cento", mitico canone fondante del personaggio per il fandom storico.

L'albo ha pochissimi testi, forse a mia memoria il numero della regolare con meno balloon di dialogo in assoluto. Dylan è in preda alla "paralisi del sonno" di cui si occupava la clinica nel numero precedente, e viene visitato dall'ombra di sé stesso, che entra in lui dato che è giunto il momento di ricongiungersi (p. 8).

Si evoca lo starting point del Dylan di Recchioni, "Nello spazio profondo" (p.23) che già a sua volta si chiudeva come un possibile incubo del protagonista: tesi che di fatto qui viene simbolicamente confermata.

Intanto il downgrade continua: in modo tumultuoso (31), ma anche in modo sfumato (vedi la sequenza 33/39), come confermato anche da 58/59. A 60 viene cancellato un nuovo elemento: non solo quelli dell'ulteriore reboot del 400, ma proprio un elemento seminale del "nuovo corso dylaniato" iniziato con la gestione Recchioni. Il ritorno è proprio a prima del 337, con cui, cento numero fa, iniziava davvero il nuovo corso (dal 325 al 336, nel primo anno di attività, Recchioni smaltì in 12 numeri alcune storie meno adattabili al suo progetto del personaggio).

L'antagonista della trilogia, si scopre a p.65, ha un primo arresto coincidente con la data esatta di prima uscita di Dylan Dog, con ulteriore ironia metanarrativa ("non sembra cambiato di un giorno dal 1986 a oggi).

Interessante notare come il killer incappucciato potrebbe aver anche, in quel mondo alternativo, fatto un attentato alla regina che ha cambiato la linea temporale vigente dal 337 al 400 del ciclo 666, quella in cui la regina è una sorta di antico lovecraftiano che ha John Ghost tra i suoi servitori. Il suo attentato alla regina potrebbe in verità esser stato un attentato agli antichi impedendo la presa di controllo, attuando una prima fase del downgrade completato con l'uccisione di Ranja e Carpenter. "La realtà riprende il suo posto dopo che è venuto il caos" (p. 91).

E "Al servizio del caos" era l'albo che introduceva John Ghost, già sparito nel glitch generato, forse, proprio dalla catena di delitti rituali avviata dall'antagonista (glitch che, apparso nel primo e scomparso nel secondo albo, qui torna e ultima le modifiche al mondo dylaniato).

Jesper Kaplan, il killer che pone fine a questo universo, rimanda forse a un attore non notissimo (almeno al vasto pubblico), ma non saprei sciogliere questa simbologia (se c'è)

Attaccando Dylan, il "mostro della trilogia" mira in realtà a cancellare anche sé stesso, ultimo passo per completare la transizione, che è in effetti così completa.

La restaurazione dylaniata è completata.
La rivoluzione di Recchioni è finita.
A quanto pare, il ritorno all'ordine preesistente è totale.