Nathan Never 380, "In un mondo perfetto"




Questo Nathan Never 380, "In un mondo perfetto", è un albo molto interessante, nel segno dell'hard boiled, come si intuisce dalla bella cover di Giardo (del resto, NN parte, a suo modo, anche dal filone di Blade Runner, che a sua volta era una ripresa fantascientifica dell'hard boiled). 

Fin dalla copertina di Sergio Giardo abbiamo in primo piano un Nathan Never nei panni di un classico detective da hard boiled, un Marlowe, un Sam Spade, nei toni di grigio di una pellicola anni '50 (inconsueto e piuttosto raro in una cover bonelliana).  A parte la pistola avveniristica, niente nell'immagine in primo piano denuncia la componente futuribile, che appare solo dalla finestra dal vetro seppiato. La porta alle spalle di Never lascia intuire PR(IVATE EYE): è un avventura in cui Never non è l'operatore di una agenzia privata che integra l'inefficace polizia del futuro, ma proprio un classico "occhio privato" della migliore tradizione della "scuola dei duri".






Sceneggiato da uno dei tre creatori del personaggio, Michele Medda, l'albo ha visto una gestazione lunga: avrebbe dovuto essere il primo capitolo di un nuovo ciclo neveriano, che venne poi sviluppato in altro modo (Medda spiega bene tutta la vicenda sul suo blog, qui).






Ai disegni, un altro nome storico della testata, il disegnatore Roberto De Angelis, copertinista dopo Claudio Castellini e autore di storie fondanti del personaggio - ricordo il cyberpunk abbastanza precoce, in Italia, di "Cybermaster", il primo speciale. De Angelis poi interruppe il lavoro, passando a Tex, e l'albo è stato completato da Simona Denna, che, come dice lo stesso Medda, riesce a fare un bel lavoro: abbastanza vicino al segno di De Angelis per non stridere, abbastanza distinto da mostrare il diverso segno autoriale.



Il segno di Simona Denna è molto bello, accurato, e direi particolarmente congeniale a Nathan Never, alle sue atmosfere in generale e a quelle di quest'albo in particolare: forse, da nostalgico dei tempi d'oro della testata, coincidenti con i miei anni di liceo (fanta)scientifico, mi sarebbe piaciuto vederla interamente nel segno iconico di De Angelis.

Per contro, l'intarsio dei due diversi segni è in qualche modo la prova del riassemblaggio operato da Medda, che rende ancor più affascinante come tutto funzioni come un ingranaggio svizzero giallistico, nonostante la ricombinazione di materiali precedenti.

Non farò particolari spoiler, ma aggiungo alcune note di lettura dato che è un albo che mi ha affascinato come succede di rado. Ovviamente, consiglio di procurarsi prima l'albo e poi proseguire dopo la sua lettura.

Annotazioni di lettura





La sequenza iniziale introduce il delitto su cui si andrà a indagare; è poi la volta con tavole guidate dal voice over dell'atipico Nathan Never alternativo di quest'albo (10-11) dove viene anche citata Naked City. Una serie tv del 1958-63, che non conoscevo, ispirata al film "The Naked City" (1948).

Medda cita il seriale tv, che se riesco andrò a riprendermi, per curiosità: e mi pare opportuno, dato che siamo sempre nell'ambito di un longevo fumetto seriale. C'è una cosa curiosa: come dicevo, Nathan Never nasce anche con una ispirazione di Blade Runner, nel concetto di mash up tra poliziesco e fantascienza urbana e robotica. Ma il caso storico precedente (salvo altri casi meno noti, sicuramente presenti) è il ciclo di Asimov che inizia con "Abissi d'Acciaio", in cui il buddy buddy novel tipico del police procedural affianca un detective umano e uno robotico. 






Del resto, tutta la prima storia di Nathan Never è ispirata da quel ciclo asimoviano.

Ora, il secondo capitolo del ciclo asimoviano degli Abissi d'acciaio si intitola "The Naked Sun" (1958), che probabilmente a sua volta richiama "The Naked City": un'indagine poliziesca, ma in un contesto di sf robotica e spaziale. Non so se è voluto, ma nel caso lo troverei brillante.


Comunque, tornando all'albo, in 11.iii è curioso trovare quello che sembra un rovesciamento della citazione di Eliot che dà il titolo ai paralleli albi della "restaurazione dylaniata". Il riferimento al necessario abbattimento dell'eccesso di palazzi ha anche potenzialmente una valenza per la risoluzione del giallo, con riferimento alle tavole 8-70.

In 12,ii troviamo invece la citazione dalla storia che spiegherebbe il titolo dell'albo, ma è da notare come non sia perfettamente corrispondente, e la vera soluzione la troveremo a p. 92. 

In 13,v è subito evidente, prima che sia dichiarata, la natura dell'assistente di Nathan in questa nuova realtà, al lettore attento.

Il lancio del cappello è un classico del private eye (tutta pagina 14, incluso ovviamente l'arrivo del pacco, che qui ha un contenuto diverso, ma la scena tornerà circolarmente nel finale con un cappello, non a caso). Mi chiedo se abbia un significato che questo Nathan lo sbagli, o sia una semplice gag.

La storia procede rielaborando i topoi del genere, utilizzati perfettamente da Medda (e in modo depistante), incluso l'arrivo della cliente del delitto che (pensiamo di) aver visto nella prima sequenza. In 20, ovviamente, Medda lancia su una falsa pista il lettore medio (basta fare 2+2, ovvero sommare tavola 20 e tavola 6).






A questo punto inizia la costruzione del "nuovo passato neveriano" che durerà ovviamente solo lo spazio di quest'albo, ma ipoteticamente era la base (probabilmente in buona parte modificata) di una nuova continuity per una stagione. Appare anche il Dirty Boulevard (27), ambientazione di una delle migliori storie di Medda, a mio avviso.

La sequenza d'azione (che mi ricorda la scena della corsa di Grease, che l'avrà a sua volta citata) è un bel pezzo di bravura di Simona Denna, con anche una tavola "non ortogonale" (p.30-31) rare in Bonelli (oggi un po' meno, a partire appunto da Nathan): ce ne sono altre anche più avanti. A 33,i ben usata anche la inset page.

In 34.ii un ulteriore indizio (che si decifra solo a posteriori, essendo volutamente minimo) che qualcosa non torna (all'inizio tali indizi sono minimi, fino a divenire abbastanza marcati prima del finale, come logico che sia).








Un indizio "citazionistico" più consistente arriva a p. 43, quando entra in scena Bob Brown, chiara maschera di Frederic Brown, autore qui di "Hidden Worlds", mentre quello del mondo reale è autore, tra l'altro, di "Assurdo Universo" (1949), che piacque anche a Fellini - ne voleva fare un film - e che è un indizio piuttosto chiaro di come Medda stia aggirando le regole del giallo classico in chiave fantascientifica. Non so se "Bob" sia un rimando a un altro autore SF, ma l'aspetto dello scrittore (che ci viene mostrato) non corrisponde a Brown. Non so se sia un altro rimando ancora.






La sequenza 46-50 che ci porta oltre la metà dell'albo è di nuovo un bel pezzo di bravura della Denna (e, ovviamente, di Medda che gliela sceneggia, chiaro), in cui si vede qualcosa del Sin City milleriano nei giochi di luce in forte contrasto di bianchi e neri, prevalenza di questi ultimi.

Tra i luoghi del passato neveriano ritorna anche l'Hindenburger (p.56) mentre la trama si intriga offrendo un buon piatto di false piste sufficientemente confondenti, secondo la classica tecnica giallistica: dopo averci mandato sulle tracce di Maxwell, Medda lascia un nuovo indizio, più ampio (non una vignetta, ma una tavola) in tutta p. 69, e che dovremmo confrontare con pagina 8 per ulteriore conferma di ciò che non torna. Il raffronto tra tavv. 70 / 8, subito dopo, è invece un indizio visivo in cui Medda gioca ormai in modo abbastanza esplicito, perché il raffronto tra luoghi è possibile con due quadruple molto riconoscibili. Questo elemento, il più vistoso, verrà sottolineato dal lapsus in 72.ii e ripreso poi da Never a chiusura del caso.

Fellini Boulevard (76.ii) potrebbe essere un riferimento all'infatuazione del regista per Assurdo Universo, di cui dicevamo (di cui non si fece niente, ovviamente).

A 77 viene liquidato da Never il primo possibile sospetto del lettore, e poi il caso si avvia verso la soluzione, che chiaramente non riporto qui. Da un lato, si tratta ovviamente di un "trucco" rispetto al giallo classico. Ma, dall'altro lato, rende la storia autenticamente di fantascienza: non è solo una coloritura futuribile, ma un giallo possibile solo in un "assurdo universo" quale quello di Nathan Never necessariamente è.

Inoltre, rileggendo la storia, si nota - come ho evidenziato qui - che Medda è onesto all'interno delle convenzioni di genere, disseminando un numero sufficiente di indizi per intuire cosa poteva essere accaduto (almeno a grandi linee).

Il finale è un ulteriore tocco di bravura, perché lascia l'interpretazione aperta al lettore, tra 96 e 98 (ovviamente la bilancia pende verso la scelta più inquietante e sorprendente, che potenzialmente cambierebbe del tutto la storia del personaggio; ma resta aperta anche l'opzione più rassicurante).

Quel che colpisce, come ho detto, non è la godibilità della storia e il suo funzionamento come ottimo ingranaggio (il "mondo perfetto" di cui si parla a pagina 92, che finalmente chiarisce il titolo, è forse anche questo), ma il fatto che sia costruito da Medda riutilizzando le tavole di una storia già costruita per ampia parte in direzione diversa, secondo una necessità che si può porre nel fumetto popolare.

Insomma, un albo di lettura particolarmente gustosa, specie per chi apprezza il personaggio.

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Nathan Never n. 380
“In un mondo perfetto”
Soggetto e sceneggiatura: Michele Medda 
Disegni: Roberto De Angelis, Simona Denna
Copertina: Sergio Giardo