Tommaso Vincenzo Falletti, 1770

 



Oltre a troppi libri in genere, ho un centinaio di libri d'epoca pre-1945 (una collezione irregolare iniziata da relativamente poco) e una decina scarsa di volumi dell'Ottocento trovati sui mercatini. Questo è l'unico pezzo del '700 che ho trovato di recente, a pochissimo, e ho preso davvero solo per la datazione. Tuttavia, così antico (per i miei criteri) è comunque interessante. Si tratta di una orazione di Tommaso Vincenzo Falletti di Barolo (1735 – 1816), teologo e storico italiano di Casale Monferrato. 

Mentre l'Illuminismo dispiegava le sue incredibili conseguenze, Falletti si occupava a suo modo di questi problemi: nel 1776 realizza una Meditazione filosofica su l'ateismo, e pirronismo antico, e moderno;  e negli stessi anni conduce un Discorso filosofico su l'istoria naturale dell'anima umana, uno Studio analitico della religione ossia La ricerca più esatta della felicità dell'uomo, si occupa Del Gius Naturale Divino e di Curiosi problemi filosofici, citando i suoi saggi che ho trovato menzionati online. A occhio, mi pare occuparsi delle grandi questioni filosofiche del suo tempo, ma da una posizione di retroguardia.

Questa "Orazione" era stata recitata nella Chiesa di San Nicolò nel 1769, e poi stampata nel 1770 nella stamperia di San Tommaso d’Aquino a Bologna. Falletti la offre al Direttore Generale perpetuo della Congregazione dei Canonici lateranensi, Don Carlo Grassi, figura all'epoca evidentemente potente e di cui, oggi, si legge che ne sappiamo relativamente pochissimo. Il concetto di cui si occupa è analogo: l'importanza delle "pompe funebri", delle cerimonie sepolcrali. Un "Dei sepolcri" in forma saggistica, insomma, 36 anni prima di Foscolo, dall'altro lato dello spartiacque del 1789.

Falletti inizia scagliandosi contro i caparbi Valdesi, Albigesi, Ussiti, Armeni e Greci, ripercorrendo i principali scismi, e quindi i novelli Riformatori del Settentrione, i quali bestemmiando si scaglierebbero contro le preghiere per le anime purganti, per ammorbidire la giustizia divina. In sostanza affronta la questione cruciale dello rottura del 1517, la vendita delle indulgenze, e la base concettuale che la rende possibile.

Egli ripercorre ordinatamente gli esempi biblici di Abramo, Giuseppe, Giacobbe, Mosè, per tirare ovviamente l'acqua al proprio mulino; passa poi alle prove della patristica, da Stefano protomartire a Tertulliano, e poi i santi Cipriano, Cesario, e così via.

Passa dunque, a rinforzo, agli altri cristiani: il culto dei morti solo si pratica presso i cattolici, ma anche nelle chiese di Alessandria, dell’Etiopia e perfino del Prete Gianni (!), che viene ancora menzionato seriamente a '700 inoltrato. Il fondatore della Confraternita della Morte è posto nientemeno che in Costantino il Grande (senza grandi precisazioni), alle origini dell'impero cristiano.

Ma anche le auctoritas dei classici lo supportano: le considerazioni di Aristotele sulla cura dei viventi, se vale per i corpi, è valida a fortiori per le anime.

Egli però, giunto all'ambito dei pagani, li condanna per i loro inutili eccessi in quest'ambito: quelli dei Romani per le esequie dei morti ma anche quelle dei Caffri in Africa, che in Etiopia inferiore sacrificano cinquecento buoi in un colpo, stando alla testimonianza oculare di tal Mendoz. E così in Cina, in Giappone, presso gli Indiani, di cui narra delle donne sacrificate sul rogo per i mariti, e peggio di tutti i seguitatori dell’Al Corano, che celebrerebbero (?) riti funebri ai quadrupedi, agli uccelli, ai pesci.

Invece benissimo hanno agito i Savoia nel corso della storia, come il Conte Amedeo per le anime dei commilitoni caduti in battaglia. Pagato un tributo dinastico, non manca di citare i modelli femminili di Teresa di Gesù e altre sante, per mostrare completezza nell'erudizione e magari anche il rispetto delle quote rosa gradite magari alla devozione femminile nell'uditorio.

L'opera, ovviamente, si chiude con l’Imprimatur di Frater Vincenzo Colombani, generale del Sant’Uffizio di Bologna, e del penitenziere Aurelio Castanea per l’arcivescovo di Bologna.

Mi affascina pensare che, nell'anno in cui si stampava questo opuscolo, in America gli inglesi compivano l'infausto massacro di Boston che avrebbe contribuito a scatenare la Rivoluzione; in Francia, il futuro Luigi XVI sposava Maria Antonietta, preparandone un'altra, e James Cook scopriva l'Australia. Un nuovo mondo era possibile, ma Falletti, credo, ancora non lo sapeva.