Ugo Mioni, "Le stragi d'Armenia" (1905)


"Le stragi d'Armenia" (1905) è un romanzo di Ugo Mioni che ho trovato sui mercatini cuneesi, e che ho comprato colpito dalla copertina eccezionalmente splatter per l'epoca. Ovviamente, mi aveva colpito anche l'anticipare di un decennio il genocidio armeno, pur ricordando che vi fossero state già stragi precedenti. 

Sono queste a cui l'opera fa riferimento, avvenute ad opera del sultano Abdul Hamid II, compiute nel 1894-1897 e con un numero di vittime che oscilla tra cento e trecentomila, prima del genocidio completo degli Armeni, il primo della storia, che elimina quasi interamente i due milioni di appartenenti al popolo cristiano (e funse, pare, da ispirazione per la criminale follia di Hitler).

Ugo Mioni (Trieste, 16 agosto 1870 – Montepulciano, 10 febbraio 1935) è una figura interessante, come spesso gli autori di queste opere minori che trovo per mercatini. Sacerdote, laureato in filosofia e teologia alla Gregoriana di Roma. Il padre, macchinista per i Lloyd, muore prima della sua ordinazione, in Argentina.

Ordinato nel 1893 venne mandato nella sua Trieste per operare nell'educazione giovanile, con uno sguardo d'attenzione al tema missionario dopo l'incontro con la contessa polacca Maria Teresa Ledochowska, appassionata antischiavista, di cui egli in seguito scrisse l'agiografia e favorì la beatificazione.

Nel 1895 inizia a scrivere per l'Echo d'Afrique e i suoi romanzi - scrisse nel complesso 400 opere, con una produttività incredibile - sono ambientati nelle più disparate parti del mondo.
Sempre nel 1895 fonda il settimanale triestino "L'Amico", che appare in quest'opera nelle parti di ambientazione a Trieste, che nel 1912 divenne poi l'Unione, esattamente come la testata monregalese per cui anch'io collaboro oggi (non è un caso, è un nome assunto da molte testate cattoliche in quel periodo, legato all'ingresso in politica dei cattolici con la fine del non-expedit).

Inizia inoltre la sua scrittura romanzesca, dove, come in questo volume (ne parlerò più avanti) appare un buon equilibrio tra posizioni di propaganda religiosa (poco accettabili, in prospettiva moderna) e una scrittura accattivante, non pedagogica, sulla falsariga di Salgari e Verne, che gli consente un buon successo di pubblico.


La stroncatura di Gramsci


Di questa produzione Antonio Gramsci opera una radicale stroncatura nel 1931, nei "Quaderni del carcere", all'interno della sua analisi del nazional-popolare:


"Letteratura popolare. - Sezione cattolica. Il gesuita Ugo Miotti. Ho Ietto in questi giorni (agosto 1931) un romanzo di Ugo Mioni La ridda dei milioni stampato dall'Opera di S. Paolo di Alba. A parte il carattere prettamente gesuitico (e antisemita) che è particolarissimo di questo romanzaccio, mi ha colpito la trascuratezza stilistica e anche grammaticale della scrittura del Mioni. La stampa è pessima, i refusi e gli errori formicolano e questo è già grave in libretti dedicati ai giovani del popolo che spesso in essi imparano la lingua letteraria; ma se lo stile e la grammatica del Mioni possono aver sofferto per la cattiva stampa, è certo che lo scrittore è pessimo oggettivamente, è sgrammaticato e spropositante obbiettivamente. In ciò il Mioni si stacca dalla tradizione di compostezza e anzi di falsa eleganza e lindura degli scrittori gesuitici come il padre Bresciani."

Ugo Mioni. La collezione «Tolle et lege» della Casa editrice «Pia Società S. Paolo», Alba-Roma, su in numeri contenuti in una lista del 1928, aveva 65 romanzi di Ugo Mioni e non sono certo tutti quelli pubblicati dal prolifico monsignore, che d’altronde non ha scritto solo romanzi d’avventura, ma anche di apologetica, di sociologia e anche un grosso trattato di «Missionologia» \ Case editrici cattoliche per pubblicazioni popolari: esiste anche una pubblicazione periodica di romanzi. Male stampati e in traduzioni scorrette.

Altrove Gramsci sostiene che il successo numerico di tali opere di Mioni dipende solo dal potere della chiesa, e che le sue opere siano date come letture obbligate, anche per punizione, e ne inferisce dall'analisi la netta inferiorità della produzione letteraria popolare italiana rispetto a quella inglese e francese (curiosamente nel discorso non cita Salgari), aspetto su cui si può ovviamente concordare, ma che ha molteplici cause (arretratezza della nazione, disponibilità di un patrimonio di letteratura popolare estero da tradurre, a costi molto minori per gli editori, un certo disprezzo per la cultura popolare, il fantastico e l'immaginifico da Manzoni in giù).

In realtà, a giudicare da quest'opera, Mioni si fa leggere con un certo piacere, nel solco salgariano con un taglio personale dato, naturalmente, dal tema religioso che gli sta a cuore, ma tutt'altro che didascalico. L'imprecisione del giudizio di Gramsci parte dal farne un Gesuita, ordine che invece poco lo apprezzò, anche come appartenente, in seguito, ai Domenicani. 

Anche definirlo antisemita appare in parte impreciso: non solo sarà edito da editori ebraici come Bemporad e Donath, ma appare invece più nettamente antigiudaico, ovvero ostile alla religione ebraica, senza caratteri di tipo etnico. Infatti in quest'opera, ad esempio, il protagonista Casoli è innamorato di una fanciulla ebraica, che alla fine sposa col consenso del padre, banchiere ebraico; questi è una figura avida, d'accordo, ma dei due figli uno è un ottimo amico per il protagonista (mentre l'altro è una figura del tutto spregevole). Anche nell'Islam vengono rappresentati diversi islamici buoni o neutri, condannando invece nettamente la religione. Inoltre, sia pur strumentalmente (i malvagi sono sempre il clero avversario), mette in bocca a personaggi positivi discorsi illuministici, di tolleranza tra le religioni.

Non ho letto però le opere accusate di antisemitismo, sopra tutte "L'omicidio rituale" (1895) che tratterebbe comunque di un reale omicidio rituale commesso, se capisco bene, un caso di cronaca nera strumentalizzato. Dato che alcune sono disponibili online le leggerò e integrerò il discorso.

Stando ad alcuni, inoltre, va annotato come Mioni avrebbe plagiato Karl May, noto scrittore tedesco a tema western e orientalista: https://it.wikipedia.org/wiki/Karl_May

Non conosco l'autore e, ovviamente, una verifica di tale tipo trascende gli sforzi che posso dedicare a questa pur interessante lettura. In effetti però anche in quest'opera il personaggio assolutamente positivo è quello dello scout americano, che è ricalcato palesemente sul western classico: di fatto, è una sorta di antesignano di Tex, orientato a una perenne sprezzatura (e a differenza di Tex, palesemente ammirato da Mioni, uccide anche se non indispensabile, come criterio precauzionale: ad esempio quando catturano un capo dei predoni, nonostante l'opposizione di un sacerdote cristiano).

Il mio pellegrinaggio alla Mecca. Viaggi ed avventure, Trento, Tipografia ed. Artigianelli, 1896 appare essere un primo romanzo in cui appare il tema dell'Islam, al centro di questo romanzo (ovviamente con toni estremamente critici).

Nelle terre dei faraoni. Romanzo illustrato, Genova, Tipografia della gioventù, 1896, riprende penso tale tema spostandosi però in Egitto e aggiungendo un tema "esotico"; inoltre, Mioni esce dalla scena "regionale" trentina.

Il Rinnegato, 1898 e Nelle Montagne rocciose, per la Libreria Salesiana San Giovanni evangelista, Torino, 1899, mostrano un avvicinamento perlomeno epistolare al Piemonte, mentre Il Mahdi. Romanzo orientale contemporaneo, Roma, Tip. Vaticana, 1899, torna sui temi islamici.



I figli della Luna, Libreria Salesiana San Giovanni evangelista, Torino, 1900, potrebbe essere il primo di tema fantascientifico, se il senso del titolo non è allegorico. L'unica copertina che ho trovato, dell'edizione 1911, non è risolutiva: vediamo un periglioso volo in mongolfiera. 

Alla scoperta della Terra - Bizzarria, del 1903, è sicuramente invece fantascientifico, attestato anche dal catalogo Vegetti del fantastico (vedi qui) come alcune altre opere della sua sterminata produzione. 

Segue "Il giro del mondo in 24 ore", sempre dato come SF, nel 1904.

L'opera precede queste "Stragi d'Armenia"; tema su cui tornerà in un volume del 1933. Da notare che questo libro esce per Speirani, editore laico, che pubblica anche Salgari (ma, dalla quarta di copertina, ha in catalogo tanti titoli di Mioni apparentemente seducenti, come La carovana della morte, I cacciatori di teste, Il tesoro dell'Atzeco, La donna bianca degli Apachi, che sembrano tutti titoli di Tex). 

Mioni cerca di porsi come una sorta di anti-Salgari apologetico ma non troppo, e per quanto fallisca nel lungo termine, in vita era un contraltare non così perdente. Certo, nelle sue opere non c'è, come molti constatano, la presenza femminile, che resta solo sullo sfondo, perché vista come conturbante. Ma non c'è nemmeno nel Tex classico, per dire, scelta vincente di editori laici come Gianluigi e Tea Bonelli, che massimizzano così l'intrattenimento action.

Inoltre, la produzione di Mioni è così bulimica che include anche dei controesempi: La figlia del Pascià, Miss Ellen, La donna bianca degli Apachi dovranno avere queste figure femminili non solo sullo sfondo. Anche qui, Speirani, in una collana dichiaratamente presentata "Per la gioventù", bilancia astutamente l'assenza di figure femminili con le allegorie femminili in copertina, che hanno uno splatter che, negli anni '80, sarebbero costate a un epigono di Dylan Dog la censura.

Nel 1918 Mioni divenne terziario domenicano ed ebbe un collegamento anche con il territorio cuneese: venne infatti inviato nel 1922 ad Alba per collaborare con le nascenti edizioni Paoline affiancando Don Alberione. Sarà poi a Pisa, per dirigere il seminario, anche perché il regime non vedeva di buon occhio la presenza di clero nelle scuole. Egli dà vita alla collana Tolle et lege, "prendi e leggi", ricca dei suoi avventurosi romanzi.

Del 1922 Pampano di vite. Romanzo cinese, edito ad Alba, Scuola tipografica editrice, 1922, come pure Attraverso l'America del Sud - vol. II - Los Andes, e Nelle viscere del Carso,  1923, e il fantascientifico La guerra dei mondi, vistoso calco, nel titolo, di Wells.

Segue un certo intermezzo, almeno nelle opere citate che ho trovato, fino a La giunca nera. Avventure cino-americane, Torino, SEI, 1929. Potrebbe essere l'intermezzo del suo ruolo di rettore del seminario di Pisa, incarico prestigioso in cui poteva condizionare le nuove legioni del clero alla sua apologetica comunque innovativa, togliendogli però forse tempo di scrivere letteratura popolare.

Dal 1929 c'è una certa ripresa, anche con La ridda dei milioni (1931) che causa la stroncatura di Gramsci (che attesta come il corpus vastissimo creato dall'autore continuava a essere venduto ampiamente: parla di 65 titoli romanzeschi delle edizioni Paoline). 

Pubblicazione rilevante è poi il suo Manuale di sociologia, Torino, Marietti, 1932, con cui diede veste teoretica alle sue considerazioni, venendo stroncato dalla Civiltà Cattolica gesuita (probabilmente per la sgradita "invasione di campo").

Segue appunto Sangue armeno, Torino, Marietti, 1933, quindi Le iene del deserto e La miniera distrutta, nel 1934, sempre per Marietti (la prima, al singolare, è già attestata nel 1895; ma su una produzione così elefantiaca è impossibile qui dire se sia una ripresa, una rititolazione...).

Le romantiche avventure di Geo Balilla in tre mondi, nel 1935 (Geo Balilla in Cina. Le grandi avventure di un piccolo uomo; Geo Balilla in Australia. Le grandi avventure di un piccolo uomo; Geo Balilla in America. Le grandi avventure di un piccolo uomo) prestano omaggio al nome dell'organizzazione giovanile fascista, ed è l'ultima opera con l'autore in vita, poco prima della morte, 65enne, mentre, pare, stava lavorando ad una apologetica Storia dei papi.

Tutto per l'oro. Romanzo moderno, uscirà per la Pia Società San Paolo, Alba, 1937, come pure Eliud ed Ebu. Romanzo egiziano, lo stesso anno, e anche L'uomo che vide, fantascientifico, già edito da altri nel 1922. Un (tentato?) rilancio postumo dell'autore.

Ultima opera postuma attestata è Matiru re delle Pelli Rosse. Avventure, Milano, Vallardi, 1941.

Le stragi d'Armenia

Il romanzo appare ben costruito, ingenuo dove non interessa all'autore ma abile nel sedurre il lettore. Tutto si apre con un giallo che il lettore non ingenuo risolve già mentalmente alle prime battute: a Trieste l'onesto cassiere Umberto Casoli è accusato di aver derubato il suo ricco datore di lavoro ebraico (figura neutra), nonché i figli (uno buono e a lui favorevole, uno spregevole e scioperato che fa di tutto per convincere gli altri della sua colpevolezza), e la figlia, di cui egli è innamorato.

Assolto, è comunque sospettato dal datore che trova una soluzione intermedia: lo licenzia ma lo invia a Damasco come cassiere presso un mercante islamico con cui è in rapporti commerciali (la sua figura è decisamente più positiva, come il figlio "buono", mentre il figlio "cattivo" lo disprezza: torna uno schema classico).





A questo punto arriva a sorpresa in città un tedesco, che si presenta come ricchissimo e coltissimo scienziato, che si propone di convertirsi platealmente all'Islam, nell'entusiasmo degli Iman (presentati come estremamente ingenui, dato che la falsità della conversione è plateale al lettore che non sia totalmente sprovveduto). Similmente, l'uomo progetta anche una rapina nel negozio dove lavora il nostro Casoli: è lo stesso, scopriamo, del colpo a Trieste, che medita così di far un ricco bottino e al contempo incastrare facilmente il sospetto.





Tuttavia Casoli ottiene di poter investigare per discolparsi e riesce a dimostrare che è il convertito (a questo punto, falso) ad aver commesso i due furti (e ucciso per sovrammercato lo Sceriffo). Inizia così un lungo inseguimento e la terza parte, in cui ovviamente, e finalmente, ci addentriamo nell'Armenia insanguinata, di cui si è già parlato nella seconda parte.

In realtà, pur parlando dei massacri, Mioni alleggerisce la cosa inserendo una ricca "linea comica", che sembra davvero il Tex di Bonelli senior piuttosto ancora che Salgari o Verne (dove l'elemento comico era più rattenuto). C'è infatti una figura di reporter coraggioso che cerca prove del massacro armeno, con un servitore islamico fifone in modo parossistico (sembra il Cico bonelliano, spalla di Zagor) che si incontra con un lord inglese che deve tagliare i baffi a un pascià per una scommessa con la lady di cui è innamorato, e che nel pieno dell'esotismo è sempre in impeccabile redingote, monocolo, cilindro e bastone da passeggio. Lo assiste uno scout americano, che sembra una sorta di Tex più cinico, la figura più ammirata da Mioni (anche il giornalista è la classica figura eroica, dove forse Mioni proietta, più che sé, la sua professione: il romanzo si chiude con l'invito del reporter a Casoli di divenire giornalista anche lui).

Per cui, sì, si stigmatizzano con forza le stragi, ma il tono alla fine resta leggero, con questa sorta di riedizione dei 4 pards (al reporter, lo scout e il lord si aggiunge ovviamente il giovane Casoli) che è in fondo lo "schema a 4" dei 4 moschettieri.





Il finale è giallisticamente peggio che deludente: Mioni ha finito le pagine, quindi trovano il diabolico ladro poco gentiluomo e, catturatolo, gli trovano un diario dove annota con cura le sue imprese, in una specie di commentarii ladreschi che, ecco, non rientrano proprio nel massimo criterio di prudenza. Così lo impacchettano, lo restituiscono agli iman con la refurtiva (che viene ridata anche al buon mercante) e il meschino criminale viene torturato per giorni e poi impalato, annota Mioni con soddisfazione (riesce a unire, narrandola, la condanna della barbarie della religione avversaria con un certo fascino di "eh, pensate si potesse anche qui da noi!"). Che poi, trovatogli il bottino (anche il denaro sottratto alla banca triestina) con testimoni affidabili non si capisce l'esigenza narrativa del diario. Ma a Mioni - e al suo lettore - non credo importi nulla della finezza di trama giallistica.

L'eroe torna a Trieste da trionfatore, e sposa la fanciulla di cui è innamorato aprendo una sua ditta con le ricompense avute; le lettere con gli amici fatti nel percorso fanno intuire possibili nuovi sviluppi (se il romanzo avesse avuto un successo maggiore: alcune opere di Mioni hanno dei sequel).


L'opera insomma è gustosa come lettura avventurosa, ovviamente al netto di enormi ingenuità legate a un pubblico molto meno smaliziato (e ai limiti di Mioni come narratore). La parte apologetica è in effetti presente, ma velenosa proprio perché ben dissimulata. Casoli, l'unico cattolico, è figura del tutto positiva, come anche il reporter protestante: il lord inglese è un adorabile pazzo, il tedesco è l'antagonista machiavellico e perfido, lo scout americano è di un cinismo che Mioni ammira ma, a malincuore, non può ufficialmente attribuire a un cattolico (uccide nemici con sarcastica tranquillità). Le figure ebraiche sono presentate in modo complesso: il padre è legato al denaro, ma è difficile dire quanto per antisemitismo o per la figura in sé (un banchiere che viene gettato sul lastrico si dispera in modo piuttosto logico); e i figli, due su tre, sono figure positive (va detto che la madre, cristiana, li ha cresciuti tutti e tre educandoli alla loro fede). Direi quindi più antigiudaismo qui che antisemitismo.

L'Islam invece viene descritto mostrando una certa conoscenza esatta, almeno maggiore dello scrittore popolare dell'epoca, ma sottolineandone in modo malizioso le storture agli occhi di un occidentale: la poligamia, il persistere dello schiavismo (donne schiave e fanciulli schiavi spesso fustigati severamente nella storia, anche se solo se ne accenna), i massacri dei cristiani armeni. Però c'è anche un certo fascino orientalista per la bellezza del mondo islamico ("che in occidente abbiamo dimenticato", si lascia sfuggire addirittura Mioni, affascinato dal rutilare di colori e forme che descrive). 

Insomma, un romanzo interessante per le contraddizioni interne che evidenzia, il mix non sempre perfetto tra le sue due anime quasi inconciliabili, l'apologia e il romanzo d'avventura. Un documento comunque interessante del suo tempo, da leggere anche criticamente.