Dario Marchetti e il Cavaliere in chiaroscuro



Di recente, è uscito presso Ultra Edizioni un bel saggio di Dario Marchetti, intitolato "Frank Miller, Il cavaliere in chiaroscuro". Il volume, che gode anche di una interessante prefazione di Roberto Recchioni, presenta come diremo una indagine molto interessante sulla figura del grande fumettista americano, di cui campeggia in copertina un bel ritratto relativamente recente.

La prefazione di Recchioni è di un certo pregio, poiché Recchioni è stato uno dei fumettisti più rilevanti almeno dell'ultimo ventennio, prima con "John Doe" (assieme a Lorenzo Bartoli), dal 2002 al 2012, e quindi con la curatela di Dylan Dog dal 2013 al 2023, prima del passaggio di testimone a Barbara Baraldi, prima curatrice donna, che ha visto un "ritorno all'ordine" rispetto alla sua rivoluzione dylaniata. Recchioni ha spesso riconosciuto il debito rilevante con Miller, tra gli altri autori, evidente anche in molta della sua concezione del fumetto, soprattutto nelle sue opere a più totale controllo autoriale.

Recchioni si sofferma soprattutto su un aspetto che ha spesso sostenuto online, ovvero la natura di destra, quasi di "fascista zen" di Frank Miller (etichetta apertamente evocata), e il fraintendimento che lo vedrebbe come figura "di sinistra" per via del Cavaliere Oscuro, la sua opera più celebre, che è anche un attacco a Ronald Reagan ma, argomenta Recchioni, "da destra", appunto.

Una questione che affronterà, nella sua prospettiva, anche Marchetti all'interno del saggio, come denota già il titolo (e la quarta di copertina che lo amplia), il quale rimanda ai "chiaroscuri" di Miller nel corso della sua produzione, con opere assolutamente iconiche ("unica vera rockstar del fumetto americano", denota giustamente il volume) e altre che hanno causato un forte dissenso, fino alla recente, pur relativa, marginalità dell'autore (rispetto al suo peso enorme nella storia del medium).

Marchetti sceglie un percorso tendenzialmente cronologico, scandendo le varie fasi della carriera di Miller nei vari capitoli. Una scelta classica, che però ha il vantaggio di una ottima leggibilità, anche grazie allo stile scorrevole ed efficace di Marchetti, giornalista e conduttore di RaiNews24, dove si occupa molto anche di cultura pop, oltre al digitale e alla tecnologia. Seguirò in questa mia analisi questo stesso percorso, per cercare nei limiti del possibile di evidenziare i punti nodali del discorso di Marchetti, che naturalmente, in un volume di 175 pagine fitte, lo arricchisce di molti più dati, dettagli e fonti.

Ascesa

Una prima parte, scandita in più capitoli, narra l'ascesa milleriana dal nulla ai vertici del fumetto americano. Si parte quindi dalle "secret origins" di Miller, nato nel 1957 nella provincia americana, nella Montpellier del Vermont, di 10.000 abitanti, e del suo progressivo avvicinamento nel corso degli anni '70 al mondo delle major newyorkesi, come fan (lettera pubblicata nel 1973), poi come giovane disegnatore che si propone a uno spietato (con tutti) Neal Adams, pilastro della riforma in senso più maturo dei comics nei '70.

Dopo due anni di tentativi (1976-1977) ottiene finalmente incarichi dopo un caparbio miglioramento, con l'incontro con Jim Shooter e l'approdo a Daredevil (1979), personaggio che sarà un primo fulcro della sua rivoluzione del fumetto americano e non solo. Qui introduce Elektra, le arti marziali, un maggior realismo nei poteri dell'eroe e soprattutto una New York più autentica, derivata dalla sua grande passione per il noir che riversa nel supereroico.

Dopo un primo approccio a Batman in una breve del 1980, nel 1982 la sua run con Claremont di Wolverine dimostra la sua bravura anche su questo personaggio, e porta così a "Ronin" (1983), prima opera pienamente autoriale che porta alla sua consacrazione, oltre a migliori condizioni contrattuali. 

Miller fonde nel suo stile elementi nipponici e moebiusiani, in una storia sospesa tra Giappone feudale e futuro high tech. Un cyberpunk che influenza anche la nascita delle Ninja Turtles (1984), come parodia poi di enorme fortuna.

Arriva quindi Born Again, sempre di Daredevil, con Mazzucchelli, e soprattutto il Cavaliere Oscuro, nel 1986.

Miller, ormai giovane autore pienamente riconosciuto, ha nuovamente totale autonomia, e il supporto degli inchiostri di Klaus Jonson e dei colori della allora compagna Lynn Varley.

Marchetti, rispetto a Recchioni, affronta il "fascismo" di Miller in tono più dubitativo, collegandolo anche alla provocazione e alla natura del personaggio, riportando anche i pareri opposti dello stesso Miller. Egli lo collega piuttosto all'oggettivismo di Ayn Rand, di cui riprende spesso pubblicamente la figura di Howard Roark nei suoi discorsi pubblici, incentrata sulla possibilità di un singolo individuo eccezionale di cambiare la società.

L'oggettivismo aveva influenzato anche Steve Ditko e indubbiamente è, in modo generico, una delle radici dell'ideale supereroico americano (interessante notare che, in Sin City, la dinastia fondatrice della città, malvagia, è la famiglia Roark).

La collaborazione con Sienkiewicz porta a sperimentare su Daredevil, nel 1986-1987, con "Love and Death" ed "Elektra Assassins".

Con Batman Year One, nuovamente con Mazzucchelli, riscrive il mito delle origini di Batman (1987). In questo biennio, dunque, Miller - assieme a vari nomi della british invasion, in primis Alan Moore - trasforma radicalmente il fumetto supereroico.

Marchetti ricostruisce bene anche le reazioni negative a questa grandiosa riforma, con le critiche dei grandi distributori come Steve Geppi presidente della Diamonds, spinti dalle pericolose proteste degli evangelisti di destra.

Ciò porta a uno scontro tra Jenette Kahn, illuminata presidente della DC Comics, che cerca di trovare qualche forma di autocontrollo, con i freelance di peso come Miller e altri, che si scagliano contro le potenziali limitazioni. La cosa porterà a un allontanamento di Miller dalle Major, anche grazie all'esperienza di sceneggiatura per RoboCop II (per molti, anche il primo ha subito un forte influsso dal Cavaliere Oscuro), che esce nel 1990.

Sempre nel 1990, con Lynn Varley, esce Elektra lives Again, l'ultimo grande lavoro per Marvel e le major.

Trionfo

Miller è giunto ormai agli apici del fumetto americano, e come altri autori si stacca dalle major per maggiori libertà espressive e ovviamente anche ragioni economiche. Inizia così la Dark Age of Comics, e il passaggio di Miller alla Dark Horse ne è un passaggio cruciale. 

L'autore realizza quindi Martha Washington (1990), col Dave Gibbons di Watchmen e Hard Boiled con Geoff Darrow (1991), che conduce alla vittoria agli Eisner.

Ma, poi, soprattutto, "Sin City" (1991 in poi), il capolavoro con cui Miller torna sui temi che gli erano cari già nel 1976, prima di approcciarsi ai supereroi per seguire le esigenze di mercato. L'Hard Boiled, declinato in un bianco e nero a fortissimo contrasto (evocato implicitamente anche nel "chiaroscuro" del titolo) che richiama i grandi della scuola sudamericana come Alberto Breccia, ma anche soluzioni di impostazioni della tavola di Will Eisner, che Miller da sempre giudica come mentore, a partire da "The Spirit" (1940).

L'opera riporta in vita il Crime Comic, genere di grande successo nel fumetto abbattuto poi dall'odiato Comics Code, pensato specificamente contro questi tipi di fumetti. Con quest'opera più autoriale Miller esce anche dalla cerchia di appassionati di supereroi e di fumetto. 

Marchetti ricostruisce bene come questo porti anche a critiche da parte di una certa sfera di appassionati del fumetto autoriale, dove viene contestato, appunto, il troppo rigoroso contrasto "in bianco e nero" tra buoni e cattivi (tipico del genere, del resto). Inoltre gli si contestano le figure femminili, che sono più forti e intelligenti di quelle maschili, e usualmente positive, ma sono anche spesso connotate da una forte sessualità da femme fatale (di nuovo, anche una cosa che mi pare connessa agli archetipi anni '50 del genere).

L'esperienza di sceneggiatore su Robocop III (1993), pesantemente rimaneggiato dagli studios, spinge Miller ad ambire alla regia. 

Sono anni in cui lavora su Sin City, con interventi come le origini di Daredevil scritte con Romita (1993) e l'incontro Spawn/Batman (1994); That Yellow Bastard di Sin City (1995) celebra a suo modo i cento anni di fumetto e di Yellow Kid. In "Un abbuffata di morte" (1996), nuovo capitolo di Sin City, introduce il tema delle Termopili, per cui ha sempre avuto un grande fascino, dopo la visione da ragazzo del film del 1962 (del 1997 è Bad Boy, cui Marchetti non dedica particolare spazio, opera minore ma interessante a mio avviso per la nettezza con cui emerge, centrale, il tema dell'ostilità al politicamente corretto, come nel coevo Tales to Offend, in cui l'opposizione al p.c. è programmatica).

Inizia qui la parte più problematica della carriera di Miller e anche quella più difficile del saggio, dove Marchetti dimostra al meglio la sua abilità nel muoversi in un contesto più discusso e divisivo, riuscendo a mio avviso in una visione equilibrata e documentata.

A questo punto infatti nasce "300" (1998), l'adattamento dell'episodio delle Termopoli da parte di Miller, in uno stile che riparte ed evolve quello di Sin City. L'opera, come ricostruisce bene Marchetti, riceve ulteriori contestazioni: in un lavoro "autoriale", in quanto slegato all'ambito supereroico che passa sotto i radar della cultura "ufficiale", le posizioni milleriane sono lette come "di destra", nell'esaltazione dell'eroismo dei guerrieri spartani contro la mollezza di Atene.

Miller rivendica ovviamente l'autonomia dell'opera d'arte. Marchetti sottolinea il tema dello storytelling: è la storia così come viene narrata da Dilios, unico superstite della battaglia, che Leonida risparmia perché la narri. Il tema insomma del "narratore infedele" che diviene una cornice con cui Miller in qualche modo prende le distanze dalla lettera della sua opera.

Marchetti cita anche il giudizio positivo di Saviano, che parimenti riconosce (tra gli interpreti estranei al mondo del fumetto in senso stretto) che l'operazione ha un fondamento libertario.

Marchetti richiama poi anche come Miller, pur rivendicando da un lato la natura narrativa del suo lavoro, si richiami al paradosso anche odierno per cui la democrazia è difesa comunque da militari che, per essere efficienti, devono vivere in una "tirannia" interna (questo il termine usato da Miller e ripreso da Marchetti: si potrebbe forse parlare, con Foucault, di "istituzioni totali": l'esercito è una delle più rigide di queste, subito dopo il modello, il carcere).

Marchetti si muove bene, poi, anche negli anni più difficili del personaggio, negli anni 2000-2010, in cui il consenso sulla sua figura entra progressivamente in una crisi fatale.

Declino

Nel 2001, il sequel del suo Batman, in cui Lynn Varley adotta la colorazione digitale, che accentua un senso di irrealtà prodotto dal disegno iperdeformato di Miller, che si accompagna a una trama volutamente esagerata, con cui Miller reagisce alla tendenza a un "realismo supereroico" che aveva in fondo visto lui stesso tra i modelli.

Non manca il suo solito rimando ad Ayn Rand, col personaggio di The Question di Ditko (il supereroe esplicitamente oggettivista) che dibatte con un Freccia Verde vecchio marxista. Inoltre, nel mentre avviene l'11 settembre, e l'ultimo numero inserisce rimandi espliciti alla vicenda. L'evento porta Miller a radicalizzarsi (nota mia: viene da pensare all'analogo processo di Oriana Fallaci in Italia), proseguendo una linea già avviata ma accentuandola con forza.

Il successo del fumetto è ampio, oltre 150.000 copie vendute per numero, ma la critica lo stronca, per la prima volta con questa nettezza; All Star Batman e Robin (2005), secondo fiasco di critica, consolida questa crisi. Lo stesso anno Miller però porta al cinema Sin City con Rodriguez, che si rivela un enorme successo, 40 milioni di costi, 150 di incassi. Inizia a indossare l'iconico fedora (che vediamo anche in cover), e l'ingresso nel jet set porta al divorzio con Lynn Varley, il potente sodalizio artistico che l'aveva condotto al successo.

Nel 2006 annuncia un "fumetto di propaganda" con Batman contro Al Quaeda, sul modello di quelli della seconda guerra mondiale. La DC si defilerà dal progetto in seguito.

Intanto il film di 300 di Zack Snyder, nel 2007, è un successo ancor più epocale, 65 milioni investiti, 450 milioni di incasso, ma accentuando le potenziali ingenuità del fumetto (e la sua radicalità ideologica, ancor più problematica post-9/11) causa ulteriori critiche e stroncature, spesso collegate. Il personaggio che Miller è ormai per il fumetto diviene tale a livello globale.

Nel 2008, il film su The Spirit dove Miller si pone come regista è un flop totale, causando sostanzialmente la fine di questo idillio cinemico, dove Miller sovrappone di fatto la sua Sin City alla città di Will Eisner.

Nel 2011 Holy Terror, uscito senza Batman (anche se di fatto il protagonista è il Batman milleriano) viene stroncato per la sua natura ideologica estrema; Miller ha inoltre aperto un blog dove attacca Occupy Wall Street e la sinistra con toni ingenui e ulteriormente distruttivi per la sua credibilità.

Rinascita

Infine, Marchetti segue la rinascita milleriana dal 2014 in poi, dopo una scomparsa dalle scene, con il lancio del secondo (e per ora ultimo) film di Rodriguez su Sin City, accolto positivamente, l'inserimento nella Eisner Hall of Fame nel 2015 (doverosa per un artista che, al di là del peso storico di primo piano, è dichiaratamente nel solco di Eisner stesso).

Giunge così il ritorno su Batman, affiancato da Azzarello e con un valido team ai disegni, per The Master Race e The Last Crusade (2016). Miller di fatto opera, guidato dalla DC Comics, un correttivo rispetto agli estremi del decennio precedente, restituendo in parte a Miller la sua credibilità.

Xerses (2018), sull'universo narrativo di 300, è a questo punto un'opera tutta sua, il cui lancio serve a Miller anche per correggere il tiro, in numerose interviste, rispetto alle sue opere passate, pur senza voler giungere a una loro cancellazione. E il pur debole The Golden Child (2019), con Grampa, vede nel mirino Trump, con un ritorno al Miller che piace alla sinistra, quello che attacca i presidenti mediatici di destra, come Raegan / Rexall.

Nel 2022 si giunge così alla linea Frank Miller Presents, con lavori su Ronin, Sin City e con in annuncio una serie dedicata a Hugo Pratt, altro suo grande modello (mentre Manara è in programma per Ronin). Nel 2023, lo Yellow Kid a Lucca e l'inserimento negli Uffizi è la celebrazione di questa rinascita di Miller, specialmente, forse, in ambito europeo e italiano, dove l'esercito folto dei suoi fan non è stato intaccato troppo dal periodo "di decadenza" dell'autore.

Conclusione

In generale, quindi, quest'opera di Marchetti risulta un affresco accurato e equilibrato della ampia e complessa vicenda milleriana, che l'autore conduce con efficace piglio giornalistico, senza sottacere i capitoli più oscuri (come da titolo programmatico) ma mantenendo anche un ammirevole equilibrio nella presentazione degli eventi, sempre basata su riferimenti circostanziati e precisi. Un merito indubbiamente è nella gradevole leggibilità dell'opera, una storia in fondo di successo, caduta e rinascita che ricorda un percorso eroico, e supereroico, frequente, ma che Marchetti è abile a drammatizzare senza eccedere e senza mai allontanarsi dai fatti, in una adesione rigorosa.

Tra i punti di forza del presente saggio vi è a mio avviso la cura con cui Marchetti ricostruisce le reazioni critiche alle varie fasi dell'opera milleriana, con il giusto equilibrio di precisone e sintesi. Interessante anche la messa in evidenza, senza forzature, del ruolo di Lynn Varley, indubbiamente rilevante nelle principali opere che hanno portato Miller al successo, e al rimando (che non avevo mai colto in modo così sistemico, pur conoscendo bene l'autrice) ad Ayn Rand sullo sfondo della visione milleriana. Questa connessione, tra l'altro, risolve bene il dilemma sul Miller "anarchico" vs il Miller "fascista", evidenziando un più corretto Miller "oggettivista" (con ovvie variazioni nel corso della carriera, di cui abbiamo detto.

Insomma, un notevole ritratto di Frank Miller nei chiaroscuri della sua esistenza, un giusto omaggio al Maestro, oggi "born again".