Bosco, Nobili, "Panoptikon", vol. 1 di 2 (Claire de Lune, 2024)


 


“Panoptikon”, recentemente uscito in Francia per le edizioni Claire de Lune, è il primo capitolo (di 48 pagine, su due capitoli totali) di una storia a fumetti sceneggiata da Camillo Bosco e disegnata da Salvatore Nobile.


Qui, sul sito dell’editore, è possibile anche vedere una piccola anteprima, che permette fin da subito di farsi un’idea dei meravigliosi disegni:


Panoptikon - Éditions Clair de Lune (editionsclairdelune.fr)


Si tratta di un volume a mio avviso particolarmente interessante, in cui i due autori tratteggiano una storia dai confini non perfettamente definibili sotto il profilo del genere, ma di grande originalità e fascino. Per certi versi, siamo dalle parti di quel genere / non-genere che è un certo tipo di fantascienza “filosofica”, recentemente tornata in auge con la trasposizione Netflix de “Il problema dei tre corpi”, ma che può avere il suo atto fondante “moderno” in una serie tv epocale come “Lost” (e, ovviamente, ha le sue radici remote nel roman philosophique, che proprio in Francia affonda le fondamenta settecentesche della sua storia).


Il titolo stesso, “Panoptikon”, fa capire la sfera della riflessione: il Panoptikon è il carcere ideale progettato nel 1791 da Jeremy Bentham, rimandando alla figura mitologica di Argo Panoptes, il cane degli dei dotato di cento occhi. Questa struttura, dove i prigionieri sono osservati senza poter vedere, è il fondamento teorico della distopia moderna, citato in questo senso da romanzieri come Orwell e da teorici, a vario titolo, della società come Chomsky, Bauman, Foucault e così via.


Questo primo capitolo è intitolato invece “Kadotos”, “discesa”, con un significato che sarà evidente nella lettura.


Il Panoptikon al centro del romanzo a fumetti non è però, capiamo ben presto, quello carcerario in senso proprio: anche perché fin dalle prime tavole cogliamo di essere in un mondo fantastico,  con l’arrivo di un emissario di un impero dalle insegne solari, e dal seguito e dal corteo impressionante, che viene in visita a un monastero dalle caratteristiche immaginifiche, come si può vedere fin dalla copertina del volume. 


Una struttura che pare quasi rimandare a quella “fantascienza a tecnologia residuale” che ha il suo archetipo teorico ne “Un cantico per Leibowitz” di Fritz Leiber, e grande sviluppo in cicli come il Dune di Herbert, la Fondazione di Asimov e per molti versi Star Wars di Lucas che di questi è debitore.


Qui però la presenza di questa tecnologia avanzata è più sottile, per certi versi, e si limita appunto semplicemente al ciclopico Panoptikon custodito nel monastero, una struttura che consente, tramite potenti telescopi, di osservare punti estremamente lontani del cosmo e della terra. Un panoptikon dunque non rivolto verso l’interno, ma verso l’esterno. Non è nemmeno una tecnologia “residuale”, ovvero non più pienamente posseduta da tale mondo: ma spicca per l’eccezionalità, che spiega anche l’illustre visitatore, emissario del potere centrale, giunto con rispetto e circospezione in un luogo indubbiamente unico ed eccezionale dell’impero. In un mondo che pare di tipo medioevale, una tecnologia da rivoluzione scientifica secentesca, come un unicum in grado di pesare molto nella bilancia di quel mondo. Una certa vaghezza per paradosso si confà bene a questa narrazione, aumentando un certo alone di misterioso misticismo che avvolge la vicenda.


Nel prosieguo della storia veniamo a conoscere la struttura di questo monastero eccezionale, in funzione di un ancora più eccezionale osservatorio. Oltre a una morte misteriosa, un suicidio (almeno così pare) dopo una osservazione che ha terrorizzato l’osservatore, vi è un dibattito tra due fazioni interne al monastero, dibattito che ha richiesto la presenza dell’emissario imperiale. Appare evidente l’evocazione – direi non casuale – della situazione iniziale del Nome della Rosa di Umberto Eco, ovviamente in una trasposizione fantastica e con un presupposto di fondo differente.


La Biblioteca di Eco infatti era il simbolo stesso della biblioteca medioevale, chiusa al mondo, scrigno impenetrabile che, in quel ‘300 che si legge sullo sfondo, sta perdendo il suo ruolo nell’Autunno del Medioevo e deve aprirsi al mondo – come avverrà, globalmente, con l’umanesimo e poi la stampa – o perire.


Qui invece, a parte essere appunto in un contesto immaginario e quindi più libero nei suoi sviluppi, il Monastero, tramite i cannocchiali galileiani che possiede, è proiettato all’esterno per la sua ricerca di conoscenza, che comunque accumula in una biblioteca (come la biblioteca di Eco comunque si arricchisce tramite manoscritti che giungono da tutto il mondo). Egli ha quindi il problema moderno dell’eccesso di accumulo di dati, che crea le due fazioni dei Panottici, che ritengono siano necessari ancor più osservazioni, e gli Erebi, che ritengono necessario porre un argine a queste acquisizioni. 





Al di là della tematica filosofica, che è delineata con raffinatezza e in modo ben più ampio, ovviamente, nel fumetto, l’opera funziona anche sotto il profilo del mistery, creando una affascinante e complessa situazione di tensione tra le varie forze che si intravedono in gioco in questo universo fantastico.


Il tutto, ovviamente, reso possibile dai disegni di Nobile, davvero spettacolari, nella griglia molto libera consentita dalla tavola francese, che permette di esaltare in massimo grado le vertiginose prospettive e le immaginifiche architetture che fanno da sfondo alla storia. Accurata anche la resa dei personaggi e la loro recitazione, mentre la colorazione particolarmente evocativa contribuisce al fascino visivo delle pagine. La qualità di stampa impeccabile contribuisce alla riuscita di un albo particolarmente affascinante, in attesa della sua conclusione nel prossimo capitolo e, magari, di una degna trasposizione italiana.

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