La figlia del diavolo (Black Dog Editore, 2024)

 




La figlia del diavolo e altri racconti weird è un bel volume edito in questo 2024 da Black Dog editore, un’antologia di cinque racconti di cinque diversi autori che affrontano diverse declinazioni del weird, in una esplorazione dei meandri del pulp statunitense dei primi anni del ‘900. Il volume vede una bella copertina di Beatrice Rocca, che firma anche tutte le pregevoli illustrazioni all’interno, mentre il progetto grafico è di Mauro Rancan.


L’autore più celebre è Robert E. Howard, presente con due racconti(i fratelli Weinbaum ne scrivono insieme uno), The Black Stone e The Hunter of the Ring, nella traduzione di Marcello Figoni, che traduce anche Fiancess for the Devil’s Daughter, di Russell Gray, che dà il titolo alla raccolta, lievemente rielaborato. Tidal Moon dei fratelli Stanley G. Weinbaum ed Helen Weinbaum, tradotto da Filippo Genta, porta invece maggiormente dalle parti della fantascienza, mentre Blood for the Vampire Dead di Robert L. Bellem, sempre tradotto da Genta, chiude con una declinazione americana del mito vampirico.


Ron E. Howard (1906-1936) nella sua breve vita è stato indubbiamente tra i creatori di uno dei più potenti immaginari moderni con il personaggio di Conan Il Barbaro (1932) in cui l’autore esprime la sua esaltazione della barbarie opposta all’apparenza vuota della civiltà. La sua carriera professionale si avvia sulle pagine del neonato “Weird Tales” (1923) nel 1924. Nel 1926 la sua prima cover story, dedicata ai Licantropi, e nel 1928 il suo cupo personaggio Solomon Kane, passando poi nei 1929 anche ad altre riviste. Nel 1930 inizia la sua corrispondenza con Lovecraft, entrando nel suo circolo di contatti letterari (Lovecraft scrisse oltre 100.000 lettere nell’arco della sua vita).


The Black Stone” (1931), la prima storia qui presentata, è un primo contributo di Howard al mondo lovecraftiano, apparsa sul numero di novembre del 1931 di Weird Tales. In essa si sviluppa il tema del libro proibito “Culti Innominabili” di Von Junzt, introdotto da Howard già su “Children of the Night” dell’aprile di quell’anno.


Lovecraft apprezzò il tributo al punto di riprendere il titolo del volume nei suoi miti, facendolo tradurre in tedesco dall’amico Derleth. L’importanza dei “Culti innominabili” nell’immaginario lovecraftiano diviene centrale, anche nella recente riscrittura di Alan Moore in “Neonomicon” e “Providence”, dove il bardo inglese ha voluto programmaticamente “nominare i culti innominabili” rendendo esplicito quello che in Lovecraft resta celato (e il suo Robert Black, protagonista della storia, che chiude la sua avventura terrena con un precoce suicidio, richiama indubbiamente anche Howard e la sua fine drammatica).


In questo racconto Howard sviluppa con particolare dettaglio i culti innominabili, riprendendo vari elementi lovecraftiani, indagatori dell’occulto e poeti spinti alla follia dalle loro ricerche e percezioni oscure (cosa che si riverbera, agli occhi del lettore, sulla sua tragica vita).

L’ambientazione ungherese dove viene ritrovato il misterioso monolito nero porta il protagonista anche nella vicina città romena di Temesvar: e se il tema del monolito carico di poteri oscuri è molto suggestivo e sarà poi ripreso (indirettamente?) da Clarke e poi da Kubrick nella loro fantascienza, è molto curiosa la citazione di Temesvar, perché l’immaginario Milo Temesvar sarà poi una figura creata da Borges e citata anche da Umberto Eco nel “Nome della Rosa” e altrove. Dato che il “falso studioso” è un gioco tipicamente lovecraftiano, viene il dubbio di una possibile filiazione.


S.T.Joshi, massimo studioso mondiale di Lovecraft, ritiene tale storia l’unica vera di stampo lovecraftiano dell’autore, e ritiene il mostro riprenda lo Tsathoggua di Clark Ashton Smith. In alcune occasioni la storia è stata ritenuta la migliore novella lovecraftiana non scritta dal Maestro stesso, e in effetti ha una grande efficacia oltre a una autonomia di stile.


Haunter of the ring” (1934), sempre di Howard, è una storia più tarda, del 1934. Se La Pietra Nera ci conduceva comunque lontani dalla civiltà, questa è una storia di ambientazione urbana (come mostrano anche le illustrazioni che riprendono l’aspetto anni ‘30 dei personaggi) che però è connessa, tramite un artifatto maledetto, al mondo di Conan che l’autore aveva creato nel 1932, e in particolare a "The Phoenix on the Sword", la prima storia dell’eroe pubblicata su Weird Tales.


Fidanzati per la figlia del diavolo” (1940) di Russell Gray accentua ulteriormente il sottotesto erotico e sadico che si trova già nei testi di Howard, specie nel primo (e che è tipico di molta letteratura pulp). Gray è pseudonimo di Bruno Fischer (29 June 1908 – 16 March 1992), reporter che affiancava al giornalismo l’attività di scrittore pulp, e che sarà anche candidato per i socialisti americani nel 1936, a New York. La sua attività dal 1936 al 1940 è segnata dal genere Weird Menace, di cui troviamo qui un ottimo esempio, con un nutrito numero di damigelle e bei fusti in difficoltà in balia di qualche minaccia bizzarra e terrificante. Questa novella, leggermente più ampia e scandita in capitoli, non fa eccezione e presenta una serie di torture inenarrabili (che vengono però, ovviamente, narrate e con dovizia di dettagli) ma non ad opera di qualche orrore cosmico o ancestrale, bensì per puro sadismo della malvagissima protagonista.


Il genere pulp entrò in totale crisi nel 1940 (anche per via del ben più concreto orrore della guerra in Europa) e Fisher/Gray si spostò sul poliziesco realistico, tornando nel 1943 al suo nome, e vendendo circa 10 milioni di gialli classici apprezzati per il loro realismo psicologico. Questa novella è la sua più famosa di questo horror estremo e scandaloso, almeno ai tempi, uscita su Marvel Stories nel 1940, il suo canto del cigno in questo settore, potremmo dire.


https://www.paperbackwarrior.com/2021/03/fresh-fiances-for-devils-daughter.html


"Tidal Moon" (1938) è invece una storia più vicina alla fantascienza, sia pure nel modo irregolare tipico delle riviste weird (mentre la SF classica iniziava a farsi le ossa su Amazing Stories, dal 1926). Scritta dai fratelli Stanley ed Helen Weinbaum, è l’unica che contiene – al cinquanta per cento – un contributo femminile, presenza minore all’epoca ma presente nel mondo del weird letterario. In realtà il contributo è più consistente poiché Stanley Weinbaum, scomparso nel 1935, avrebbe solo abbozzato una pagina della storia che sarebbe stata completata da Helen dopo la sua morte. Siamo su Ganimede, nel 2083 (con inversione delle ultime due cifre dell’anno, il ‘38) e la vicenda fantascientifica, che ricorda molta fantascienza spaziale dell’epoca, dà un ampio spazio al tema sentimentale mentre non vi è la componente orrorifica propria delle altre narrazioni. Stanley Weinbaum (1902-1935) è ritenuto determinante nell’evoluzione del genere fantascientifico, nonostante una brevissima produzione. “A Martian Odyssey” (1935) è la prima storia, stando ad Asimov e numerosi altri grandi del genere, a rispettare la “sfida di Campbell” (l’editore che rinnovò la fantascienza sul finire degli anni ‘30), presentando un alieno che è autenticamente tale, e non solo un umano “mascherato”. Forse, la connessione maggiore di questa storia con le altre sta nell’apprezzamento che Lovecraft riservava a Weinbaum; prima di Campbell, infatti, lui stesso teorizzava l’importanza di ideare alieni non-antropomorfi (nel quadro, ovviamente, della visione pessimistica del suo “cosmicismo” e non nell’entusiasmo positivistico campbelliano). Isaac Asimov dichiarò: "Weinbaum, had he lived, would surely be in first place in the list of all-time-favorite science fiction writers”. E Asimov – notoriamente animato da una grande autostima mascherata da abile ironia - non dovette concedergli il posto a cuor leggero.


"Blood for the vampire dead" (1940), apparsa su Mystery Tales, è un’altra di queste storie tarde dell’età dell’oro del pulp, in cui l’orrore weird si incarna in una altra forma ancora: non l’orrore cosmico né il thriller basato su psicopatici e serial killer, ma i grandi temi dell’orrore classico come i vampiri. Robert Leslie Bellem (1902 – 1968), come molti sopravvissuti all’età dell’oro del weird (e abbiamo visto che sopravvivervi non è scontato) divenne poi famoso soprattutto per il suo personaggio giallistico di Dan Turner, Hollywood Detective (1942-1950).




Per chiudere, aggiungo qualche parola sul lavoro di illustrazione di Beatrice Rocca (in arte Aelius, vedi qui per i suoi lavori), che mi pare particolarmente azzeccato. La copertina è elegante ed evocativa, presentandoci con eleganza la “figlia del diavolo” che troveremo nel terzo racconto, scelta per il richiamo suggestivo del nome. Ogni storia ha poi una tavola iniziale a tutta pagina che la introduce, in bianco e nero, e numerose illustrazioni di piccole dimensioni all’interno del testo.


Lo stile di Beatrice Rocca è sinuoso e personale, e affronta una sfida particolarmente delicata. Questi testi sviluppano infatti anche una evidente componente erotica sadiana, che l’illustrazione coeva anni ‘30 assecondava in modo aproblematico con esiti spesso di elegante decadentismo che oggi non possono però essere riproposti tout court (per paradosso questo problema è assente in Lovecraft, che certamente pone altre sfide, ma che non dimostra alcun interesse per tali temi nei racconti e, a quanto pare, anche nella vita privata, definibile forse come asessuale).


L’interpretazione di Beatrice Rocca trova un equilibrio: resta fedele al tema, senza edulcorazioni, ma lo fa con uno sguardo artistico meno compiaciuto di quello che è, per dire, lo stile pur elegantissimo di Margareth Brundage, la grande autrice delle migliori copertine di Weird Tales. Per paradosso, le illustrazioni più riuscite sono quelle in cui le scene scabrose e blandamente BDSM sono trasformate, tramite uno stiloso bianco e nero, quasi in un gioco di linee che prevale sulla componente morbosa (che non viene del tutto cancellata ma, per così dire, nobilitata). Una linea di lavoro che, in modo radicalmente diverso del segno, è quello di maestri come Beardsley o, nel fumetto, Crepax.


Insomma, un’interessante panoramica di una delle stagioni più brillanti della letteratura popolare, spesso evocata tramite Lovecraft ma raramente e da pochi approfondita a dovere. Quindi un recupero prezioso di storie altrimenti non disponibili in italiano e in Italia nell’ordinario mercato librario, all’interno di un percorso coerente dell’editrice Black Dog che sembra intenzionata a riscoprire queste piccole perle oscure per proporle al pubblico di appassionati. Da appassionato di queste tematiche non posso che auspicare una fortuna dell’operazione.

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