Marco Roascio, "Colloquiando col castello", (2024)

 



Ho ricevuto con grande piacere questo volume di Marco Roascio, artista monregalese che ha sviluppato nel corso degli anni una notevole ricerca da lui denominata Cabalinguistica, di cui mi è spesso capitato di parlare qui e altrove. Quest'opera, almeno per il mio gusto personale, è forse il capolavoro dell'autore.


Si tratta di una stampa-saggio, stampata in soli 17 volumi (a me è capitato il volume 7/17, il numero palindromo della serie), decorata in copertina con un disegno originale, che l'autore ha omaggiato ad alcuni cultori del suo lavoro (in quarta di copertina, a stampa, campeggia invece "Il Conquistatore", opera di Roascio del 2003).


Come precisa la breve biografia all'inizio del volume, Roascio (qui definito anche "ludolinguista": io preferisco naturalmente il rimando alla Cabala) precisa il suo debito con Queneau e i suoi esercizi di stile, e Perec, a imitazione del quale (e del suo monumentale "La scomparsa") Roascio ha riscritto i Miserabili di Hugo in lipogramma di "O".

Le sue operazioni pittoriche spesso si collegano al graffito, forse in connessione con quanto fanno i due personaggi de I fiori blu (1965) di Queneau: il Duca che realizza, fra il resto, alcuni graffiti poi visti come preistorici, e Cidrolin che li cancella dalla sua staccionata (Roascio opera entrambe le modalità: creazione e trasformazione di graffiti esistenti, non sull'originale ma fotografandoli e modificandoli).

Quest'opera, dunque, va a operare una riscrittura simile sul "Castello" (1922) di Franz Kafka, come denunciato fin dal titolo, ma non col lipogramma, bensì col tautogramma. Tutto il testo è infatti composto da sequenze di 17 lettere con la medesima iniziale, oppure sequenze "doppie" di 34 (17+17). Sarebbe da comprendere perché la scelta di questo numero preciso, salvo il fatto che, ovviamente, il gioco richiede una sequenza abbastanza ampia da esser significativo, ma non troppo da divenire impossibile. 

Lo stesso Roascio nella scelta si è fatto guidare dall'inconscio; a mio avviso incide il 17 come numero presunto sfortunato, ma non tanto per questo, quanto perché l'origine di tale sua natura è anagrammatica. 17 porta male, in Europa, poiché XVII si può anagrammare in VIXI (volendo, a me viene anche "IVI, X", inteso come "il punto in cui scavare" di Indiana Jones e l'Ultima Crociata).

Per capire meglio il gioco, si può citare la frase in esergo dell'opera, che in parte la sussume:

"Colloquiando col Castello. Certamente curioso, codesto cospicuo componimento comprende colloquialità confinante col chiacchiericcio. Concludo, cordialmente, consigliandovelo. Ciao!"

Ancor più interessante la Considerazione interna, in cui si "chiarisce concetto": il Castello fu lasciato incompiuto da Kafka, che morì nel 1924, esattamente cento anni fa: ma ovviamente il suo stile non obbligava a un finale perfettamente strutturato e chiuso, e per tale ragione ci si interroga su quanto sia voluta questa "apertura" del suo terzo e ultimo romanzo, che porta a perfezione il tema dell'oppressione burocratica moderna sull'uomo ridotto a inetto (e in-s-etto, talvolta, con inserto consonantico).

Roascio infatti non adatta solo il romanzo in sé, ma in appendice adatta anche alcuni brani usualmente inediti, se non nelle edizioni filologico-critiche, i "passi soppressi dall'autore" non amalgamati nel resto del testo, rimasti a livello di bozza.

Kafka si presta idealmente a questo gioco: nella sua opera più nota, il racconto "La metamorfosi", usa uno scambio consonantico per mascherarsi da KaFKa a SaMSa, sostituendo le due consonanti K,F in S,M.

Qui, invece, usa semplicemente la K. acrostica per identificarsi. Così abbiamo Kafka, il Castello e K. strettamente legati: e K in italiano è sovrapponibile alla C dura (fin dall'inizio: "sao ke kelle terre..."). C,C,C, quasi un tautogramma.

Quello che affascina del lavoro, reso evidente dalla dimensione massiccia del tomo, è l'imponenza del totale, 82957 parole su 390 pagine a stampa. Interessanti anche le occorrenze, calcolate da Roascio stesso: 23.307 le C, la lettera più numerosa, che ovviamente è la più significativa come abbiamo detto. Seguono 20162 A, staccate di poco, in quanto K. è detto anche "Agrimensore", dalla sua professione, ed è quindi lettera utile e significativa. Da sole queste due fanno ben più della metà delle occorrenze. Seguono oltre 9000 P, 8000 D, 1000 B e tutte le altre lettere nell'ordine delle centinaia. Fanno eccezione la H e la Z, che hanno ognuna 17 occorrenze, ovvero un singolo ciclo tautogrammatico per l'indubbia difficoltà (ma sono comunque presenti). La Q ha due cicli e 34 occorrenze; la U, similmente, ha 51 occorrenze e 3 cicli anagrammatici, la R si ferma a 85 occorrenze, e anche la N non ne ha molti, solo dieci cicli e 170 occorrenze. Tutti gli altri sono nell'ordine quindi di alcune decine di blocchi. Le lettere usate sono solo quelle dell'alfabeto italiano, coerentemente con questa "traduzione" tautogrammatica nel nostro idioma (che, in tale forma, è probabilmente la prima).

Un lavoro ciclopico, insomma, durato 33 anni di passione, dal 1990 al 2023, per 1073 pagine di testo manoscritto. Roascio solo negli ultimi anni, trovata la serenità di concentrazione per "chiudersi nel Castello" ha potuto ultimare questo lavoro.

Per il resto, non vi è moltissimo da dire, se non invitare a sfogliare il mastodontico lavoro. A breve il libro sarà infatti disponibile in formato ebook in tutte le librerie online, tramite un editore. L'edizione online è forse ancora più suggestiva, potenzialmente, perché consente uno sfoglio dell'opera tramite parole chiave: se nel cartaceo bisogna affidarsi per forza a una compulsazione casuale (che era un modo cabalistico, e poi anche esoterico-cristiano, di usare la Bibbia per un responso) o a una lettura integrale, qui sarà possibile ragionare per parole chiave e iterazioni.


Il lavoro è così intrigante che mi auguro una sua pubblicazione anche cartacea: ma intanto, tenete d'occhio l'uscita in digitale, che dovrebbe essere prossima (e che segnalerò).




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