Nathan Never 400, "I padroni dei sogni": la propaganda nell'era del cyberpunk



Nathan Never 400, "I padroni dei sogni", celebra un traguardo di tutto rispetto per la testata, avviata nell'ormai lontano 1991, introducendo una prima serie di fantascienza bonelliana. Il rimando era allora il cyberpunk, che per molti verso la testata fece conoscere ampiamente in Italia (assieme all'avvio della rete internet che iniziava a diffondersi in quegli anni a livello globale, suscitando interesse per chi quei temi li aveva anticipati), e in particolare un modello illustre, visivo, come Blade Runner, modello non unico ma certo preminente. Pur con le inevitabili trasformazioni nel tempo, la testata si mantiene fedele a quei riferimenti, come conferma in fondo la bella copertina di Giardo, che rimanda inequivocabilmente a quelle atmosfere.

Questo numero celebrativo, realizzato da Michele Medda, uno dei "tre sardi", creatori del personaggio (con Serra e Vigna), è come ora diremo piuttosto interessante. I disegni sono di Rosario Raho, con i colori di Daniele Rudoni ed Elisa Sguanci, come si confà a un numero centenario bonelliano. Il lavoro di Raho mi sembra davvero molto buono, con un tratto pulito, preciso, dettagliato, che bene si adatta alla fantascienza neveriana, dando credibilità ai dettagli tecnologici tipici delle ambientazioni e degli oggetti della serie. 

Molto efficaci le sequenze d'azione, che sono numerose pur non essendo come vedremo il fulcro della storia, realizzate in una classica griglia bonelliana che domina tutto l'albo, con la prevalenza di una griglia classica, "a mattoncino", con un prevalere di tavole a sei vignette. Il dinamismo delle scene viene quindi reso senza utilizzare quei vantaggi di "nuova scuola" (ormai presente in Bonelli) derivati dal fumetto nipponico, con tagli particolari, obliqui o comunque irregolari, splash page e altro. Una dimostrazione di bravura dell'autore, a mio avviso, che è connessa alla densità della storia, che ha una trama ricca e stratificata e che quindi, nel letto di Procuste delle 96 pagine del popolare, deve necessariamente essere relativamente più affollata. Al tempo stesso Raho riesce a mantenere interessanti visivamente anche le tavole in cui prevalgono scene di dialogo o riflessive, fondendo bene la parte più "argomentativa" con quella di azione. 

Il segno di Raho insomma svolge un lavoro di alto livello. L'interesse della storia, a mio avviso, sta soprattutto nella riflessione che Medda riesce a veicolare. Come al solito, naturalmente, Medda realizza anche una storia perfettamente efficace al "primo livello" di lettura: un poliziesco in stile hard boiled (il macro-genere bonelliano, talvolta - non qui - in chiave un po' edulcorata rispetto al modello) declinato poi nei vari ambiti dei singoli generi. Allo stesso modo, la storia funziona anche sotto il profilo fantascientifico, ovvero non è solo "ambientata nel futuro", ma c'è un elemento di estrapolazione fantascientifica sufficientemente originale (anche se, come inevitabile, rielabora tropi già presenti in science fiction). Come dice lo stesso Medda in premessa citando Guccini e Kubrick, un "vestito nuovo" a "cose vecchie", l'osso dell'ominide che diviene l'astronave delle guerre stellari, mantenendo costante il tema della violenza (come ricorda anche Quasimodo in "Uomo del mio tempo").

Interessante anche la garbata polemica di Medda, in chiusura della prefazione, su un Nathan Never accolto 33 anni fa come fantascienza "consolatoria": non conoscevo questa critica, che in effetti è particolare perché, pur essendo criticabile come ogni prodotto dell'ingegno umano, Never al limite mi apparve ai tempi molto meno "conciliante" della media dei prodotti Bonelli, come tipico del genere hard boiled e del genere cyberpunk. L'happy ending in qualche modo necessario (o almeno il finale aperto, poiché l'eroe, nel popolare, per forza di cose comunemente non muore a fine albo, e anche quando è antieroico come Never deve ottenere qualche vittoria alternata alle sconfitte, anche solo parziale, per ovvie regole di intrattenimento popolare) non mi sembrava dissimulare una visione autenticamente cupa del futuro di dopodomani.

E questa caratteristica resta anche nel presente albo. Come si intuisce, consiglio davvero di leggerlo, e quindi di tornare qui dopo la lettura, per evitare possibili spoiler.

La sequenza iniziale (5-11), sorprendente per il lettore neveriano nelle sue implicazioni, si può intuire come onirica per l'atrocità che comporta (notevole, visivamente, tavola 11, con una bella soluzione "artistica" che Never non lesina quando necessario). L'incubo del conflitto mescola ambientazione medioorientale, con chiaro rimando alla terribile situazione attuale in mediooriente (e il tema dell'ospedale usato come base terroristica, e per questo fatto esplodere senza ritegno dalla controparte, è un rimando ancor più chiaro) ma anche al conflitto russo-ucraino (la guerra del mondo di Never è iniziata il 24 febbraio, esattamente come l'invasione russa).

Segue l'omicidio che dà inizio all'indagine (con una certa originalità del modus operandi, come al solito) e la presentazione del cliente che chiede di indagare sulla morte del proprio congiunto, come di default. Se vogliamo, più che la trama di livello spionistico che si intuisce fin da subito, la sequenza più inquietante fantascientificamente - in quanto estremamente realistica e quotidiana - è il colloquio del cliente, Walters, con una sorta di credibile psicopolizia orwelliana prossima ventura (24-30). Colpisce l'estrema credibilità che ha acquisito la scena, più realistica oggi rispetto a dieci anni prima, e molto più che vent'anni fa. C'è un curioso controclimax con Orwell: 1984, molto citato, era un rischio molto forte con Stalin, gradualmente attenuatosi. Il totalitarismo morbido prossimo venturo tratteggiato in Nathan Never (più vicino al Brave New World di Huxley, che chiaramente un secolo fa non poteva estrapolare con quella precisione) diviene sempre più plausibile. 

Il concetto di "Nolens" rimanda all'applicazione pressoché automatica di chi si oppone, con qualsiasi gradualità, a una decisione calata dall'alto, per poi trascendere - in questo prossimo futuro? - in un concetto simile all'"antisociale" staliniano (in Orwell, era la pericolosa accusa di non "panciasentire" i concetti del Socing, ovvero di non dare una adesione istantanea, viscerale, senza opposizioni).

Se in Walters vi è una specie di Winston Smith futuribile, interessante anche la rappresentazione dello zio cospirazionista assassinato: Medda non ne fa una figura eroica, ma quella di un simpatico picchiatello che dice cose plausibili mescolate a cose evidentemente deliranti, cosa che rende anche credibile che sia lasciato stare fino a che non mette le mani su qualcosa di troppo grande.

La scia di omicidi volte a cancellare ogni traccia dei crimini della multinazionale di turno creano così l'occasione di vivacizzare la storia mentre si procede verso il finale, dove colpisce la scelta di un finale "conciliatorio", in fondo implicitamente annunciato da Medda nella prefazione. Del resto, il discorso di Walters di pagina 40 diventa un set-up che ha il suo pay-off nel rovesciamento del finale a p.92-93. 

Appare evidente un discorso metanarrativo nel secondo piano di lettura (senza travalicare nel primo livello): i "Padroni dei sogni" sono coloro che controllano la fiction, e la propaganda bellicista (o comunque di regime) si può giovare non solo di opere palesemente propagandistiche, ma anche del generale senso di paura e di impossibilità di ribellione. Da qui, probabilmente, la scelta dello sceneggiatore di una chiusura diversa da quella pessimistica più prevedibile.

Un'opera quindi interessante, che non si limita a un manierismo fantascientifico ma, tramite la fantascienza, parla del nostro tempo in una chiave intelligentemente critica (che è il concetto stesso di "estrapolazione sociologica" caro ad Asimov e altri). Il fumetto rimane uno degli ambiti, forse, dove c'è maggior libertà espressiva: nonostante il successo un tempo ampio e oggi ancora più significativo del pubblico letterario, il fumetto popolare, ritenuto marginale anche dopo i formali riconoscimenti di importanza, "passa sotto i radar" e così Medda può esprimersi liberamente (una fiction RAI italiana di questo tipo, ad esempio, mi pare impensabile) come ovviamente anche altri autori, magari di segno opposto.

E questo, in fondo, è la forza e l'interesse del fumetto popolare, quando riesce a declinare al meglio le sue potenzialità.




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