Abrakadabra (1884)

 



Questo romanzo di Antonio Ghislanzoni (1824-1893), edito nel 1884, costituisce un caso molto interessante di protofantascienza italiana. L'edizione che mi sono procurato, e che si può vedere nella foto qui sopra, non è affatto in buone condizioni, ma è una delle poche d'epoca che sono riuscito a procurarmi. 

L'edizione Sonzogno è del 1924, uscita per il centenario della nascita dell'autore ma anche per il rinnovato interesse per la fantascienza nel '900 (anche in Italia, soprattutto, col trionfante movimento futurista).

Ghislanzoni è oggi dimenticato ma fu librettista importante, per Verdi, soprattutto sulla sua opera principale, l'Aida, che fu lui a comporre come testi. Avviato a studi seminariali, il giovane Antonio si fece cacciare per il suo spirito anticlericale; iniziò quindi medicina, obbligata per un aspirante positivista, ma poi la sua voce di baritono gli ottenne una breve carriera musicale, subito lasciata per quella letteraria e giornalistica. Inizia sul Cosmorama Pittorico, una delle tante riviste illustrate dell'epoca, dove pubblica un primo romanzo, "Gli artisti di teatro", sul mondo teatrale visto dall'interno.

Mazziniano, costretto a fuggire in Svizzera, ma è catturato e imprigionato in Corsica. In seguito, liberato, si unisce al movimento scapigliato che va sorgendo nella Milano liberata dall'Austria, nel 1859. I versi del suo Libro Proibito (1878), che ebbe sette edizioni, vanno in questa direzione. Questo Abrakadabra, composto tra 1860 e 1865, è il romanzo più aderente allo spirito del movimento, in cui - come in alcuni racconti - Ghislanzoni evolve il gusto fantastico e macabro in una proto-fantascienza sui generis.

Naturalmente, a renderlo famoso all'epoca soprattutto gli oltre 60 libretti di primo piano da lui firmato. Ma oggi resta soprattutto quest'opera di anticipazione.

Nel 1893, alla morte, si volle far cremare (la battaglia per la cremazione era uno degli scontri dei positivisti e degli anticlericali contro la chiesa) e ideò un epitaffio ironico per la sua tomba (non so se poi usato):

"Dicendo mal di tutti, il vero espressi / Lassù nel mondo; se parlar potessi, / Pietoso passeggier, ora direi / Ogni bene di te, ma… mentirei."

Abrakadabra è coerente alla dichiarazione di poetica.

Nella premessa del 1865, poi soppressa, l'autore annuncia veridicamente:

"Assisterete alle atroci esperienze del Dottor De Filippi, sull’origine della favella umana, ai miracoli di Mesmer, che producono la effimera giovinezza di un giorno, alla resurrezione dei corpi assiderati, alla creazione artificiale dell’uomo gigante, e da ultimo all’agonia di tutta l’umanità che si sprofonda nel cataclisma."


Il volume è dedicato al prof. Angelo Vecchio, che gli ha stimolato l'edizione nel volume nel 1884. Mi viene il dubbio, anche da indizi interni, che "l'angelo vecchio" sia anche un ex-angelo, Lucifero, per il gusto di distruzione della morale raffinato (ma sviluppato spesso in minime note a margine, dribblando la censura).

La sua prima pubblicazione, in rivista, è del 1862, che ne fa il primo vero romanzo fantascientifico italiano (salvo Il Battello sottomarino di Viganò, del 1839, antesignano anche del Nautilus di Verne, però ancora preunitario).

La premessa vede il professor Abrakadabra apparire in un quieto "paese alpestre" di provincia, C. (viene da pensare a una citazione di Cuneo, forse già per la famigerata dabbenaggine del capoluogo che fa contrasto con il dotto e folle esoterista) nel 1860. All'ipotesi cuneese fa riscontro anche il fatto che - per ragioni narrative - sindaco e farmacista sono ferventi risorgimentali, filosabaudo il primo, mazziniano il secondo: cosa agevole solo nel Piemonte del 1860.

Abrakadabra, che anticipa l'Abraxas di un altro gran lombardo, lo Sclavi di Dylan Dog, è un professore faustiano che mescola esoterismo e scienza, e ripete sempre la formula (anche riprendendo il triangolo rovesciato digradante con le sue lettere, coerente con la sua figurazione gnostica) associandola a Ibis Redibis, "Andrai e tornerai", delle profezie della Pizia (il che è interessante, perché Ibis Redibis Non Morieris In Bello è profezia ambigua, positiva e negativa a un tempo).

Abrakadabra conversa col Sindaco risorgimentale, il Farmacista mazziniano e il Parroco reazionario, spiegando loro come Ibis Redibis è una sorta di dottrina dell'eterno ritorno, della circolarità del tempo con cui lui può scoprire il futuro. E, in effetti, giunge alla formula perfetta e può quindi narrare ai suoi commensali la storia dell'umanità fino alla sua conclusione.

Inizia così un racconto nell'anno soglia dell'apocalisse, il 1982 (Orwell userà poi il 1984, lì vicino, come anno della morte dell'"Ultimo Uomo", Winston Smith, e l'inizio di una umanità nuova in modi differenti). Siamo in un futuro che ha visto la nascita di una Unione Europea (così definita, in anticipo su Kalergi).

Questa Europa futura è una classica distopia mascherata da utopia: tutti sono uguali, c'è un reddito di cittadinanza universale e accesso libero ai meravigliosi mezzi di trasporto pubblico terrestri ed aerei, e agli spettacoli teatrali ormai svolti da automi. L'emancipazione femminile è totale, le ragazze sono libere di fare esperienze, si allude tra le righe anche saffiche, esistono ancora ordini di Suore dedicate al sacrificio ma sono sostanzialmente un ordine di ierodule (e, in cambio della loro devozione a Venere, hanno il diritto di degustare pienamente di tutti gli altri piacere, in un rovesciamento dell'etica del sacrificio gratuito). Le femministe propongono, più radicalmente, l'abolizione del matrimonio e di tutto il sistema patriarcale attraversando la città a cavallo come amazzoni.

Ghislanzoni insomma mette tutto quello che pensa possa far schiattare il clero di allora, azzeccando in sostanza il grosso delle previsioni (c'è anche la distruzione totale di Roma come atto finale del pontificato, nel 1957, risanamento che porta l'Italia a divenire il giardino d'Europa. Ovviamente Ghislanzoni scrive prima della Breccia di Porta Pia e  questa, diciamo, non l'ha azzeccata). Al conflitto tra Massoni e Clericali si è sostituito quello tra Materialisti e Spiritualisti; a sinistra dei materialisti - eredi del massonismo positivista - vi sono poi gli Equilibristi, che sono sostanzialmente i comunisti di stampo marxista. Questi Ghislanzoni li vede malissimo, il loro leader, Casanova, è un avventuriero imbroglione di primo livello, come il suo antenato, che però simula un progressismo d'accatto per ingannare (con un certo successo) le folle.

Il sistema è comunque sottilmente totalitario: garantendo il massimo benessere, per punire gli è sufficiente togliere tutti i privilegi al cittadino che mal si comporta, divenendo così più efficienti. La riprovazione sociale è sufficiente, producendo isolamento e disgusto per i colpevoli ma, una volta sanata la pena, c'è un politicamente corretto per cui ufficialmente non li si può più criticare minimamente ("hanno pagato il loro debito", fosse anche un criminale con centinaia di morti sulla coscienza). 

Ciò avviene all'ambiguo protagonista, che Ghislanzoni crea sì come il perfetto gentleman, autore tra l'altro di una benefica scoperta ecologica, ma reduce da cinque anni di "isolamento sociale" in seguito al parricidio, e ora da considerare perfettamente redento. Il protagonista è presentato in effetti come impeccabile, ma non si decostruisce mai nel romanzo la colpa (esempio: ha ucciso il padre, ma perché questi era estremamente malvagio, per difendersi o fermare qualche sua atrocità). No: i personaggi stessi che parlano male di lui tra le righe devono trattenersi perché violerebbero una convenzione sociale (è evidente, a mio avviso, una satira di Cesare Beccaria, oggi monumento intangibile, ma non nell'Ottocento anticlericale meno devoto ai santi laici). 

Egli si innamora della figlia del prefetto di Milano, il quale con il questore cerca di macchinare ai suoi danni per respingerlo come genero con gli ultimi cascami di patriarcato sopravviventi a stento (l'emancipata fanciulla è affascinata da lui ed entusiasta del matrimonio; il prefetto ha qualche dubbio che non gli venga di iterare il parricidio rituale).

Il classico dramma dell'amor contrastato carissimo all'Ottocento (da Francesca da Rimini, che Ghislanzoni sceneggiò, a Giulietta e Romeo ai Promessi, di nuovo da lui adattati) appare quindi qui in una ironica luce sulfurea. Ma non c'è solo fantastoria: l'opera è un profluvio di gustose invenzioni alla Futurama dello steampunk, tra diverse tipologie di veivoli, macchine e strutture prodigiosi, mutanti di vario tipo tra cui un nano con un cervello gigante e una testa quattro volte il normale, tra gli antagonisti, e due fanciulli, maschio e femmina, cui uno scienziato ha donato le ali con una dolorosa operazione infantile di impianto.

"la gondola volante, la pillola alimentare, il ritratto fotoplastico, le sferoidi posticce (ovvero protesi mammarie), il pungiglione galvanico: oppure l’esplorazione magnetica dell’interiorità, l’ibernazione (nel caso dello scienziato Malthus, dall’esito disperante), e ancora la creazione, già corrente in letteratura, di un «gigante chimico-automatico-animalesco»" elenca parzialmente il bell'articolo della Treccani. Tuttavia tutte quelle frenetiche invenzioni non sono altro che il ritorno dell'identico sotto nuova forma, e anche i terribili esperimenti del nano Cardano (che riprende nel nome l'antico esoterista) ripartono da quelli di Federico II per trovare il linguaggio naturale, facendo intravvedere esiti più tremendi.

Il finale turbinoso, invece di sciogliere il complesso intreccio amoroso, pone una palingenesi tramite la distruzione totale con una cometa eonica, il pianeta Osiride, dal ciclo di 10.000 anni, che ricrea il Diluvio Universale. Pare di vedere annunciata la nuova Età di Horus profetata da Crowley col nuovo eone del 2000, in una età dell'acquario dominata nuovamente dai primi dei.

In Ghislanzoni sopravvivono solo i due fanciulli alati, personaggi minori positivi spesso aiutanti del protagonista, la fanciulla Rondine e il fanciullo Lucarino (in cui ravvedo, come nel Lucignolo pinocchiesco, un'eco di piccolo Luciferino, angelo alato).

I due ricreano l'umanità, sperando nasca da loro alata e angelica, ma così non avviene: i figli nascono senza ali (l'autore dimostra di capire la differenza tra genotipo e fenotipo, sono gli anni di Mendel ma non è scontato) e quindi ripeteranno gli errori dei padri (e qui si spiega il simbolismo di Rondine, invece di un più ovvio biblico Colomba: la fanciulla alata non fa primavera).

Opera notevole, quindi, su cui mi riservo di tornare in futuro.

Per intanto, un atto di accusa scapigliato contro la fede positivista nelle "magnifiche sorti e progressive".



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