Carneade, chi era costui? Il filosofo dei Promessi Sposi

 Nel capitolo VIII dei Promessi sposi, Don Abbondio, appena rientrato a casa dopo l’incontro traumatico con i bravi, tenta invano di distrarsi leggendo un libro. A un certo punto solleva gli occhi e borbotta la celebre frase: "Carneade! Chi era costui?". La scena, apparentemente comica, ha attirato l’attenzione di molti critici, ma raramente è stata esplorata a fondo nei suoi risvolti filosofici. Carneade, infatti, non è un nome casuale. Attraverso questa figura, Alessandro Manzoni introduce — forse inconsapevolmente ma con sorprendente coerenza — una riflessione profonda sullo scetticismo, la giustizia e il rapporto tra forza e diritto, temi centrali nel romanzo.

1. Carneade e lo scetticismo

Carneade, filosofo della scuola accademica, visse nel II secolo a.C. e fu a capo della cosiddetta "Nuova Accademia", caratterizzata da un forte orientamento scettico. È celebre per il suo viaggio a Roma nel 155 a.C., dove, in due discorsi contrapposti, sostenne prima l’esistenza e poi la non-esistenza della giustizia naturale. In particolare, mise in crisi l’idea, allora dominante, che la giustizia fosse un principio universale, dimostrando con abile retorica che ciò che è considerato giusto dipende spesso dal punto di vista dei vincitori.

Nel secondo discorso, Carneade sostiene che se esistesse davvero una legge naturale universale, gli stessi romani — per essere giusti — dovrebbero restituire i territori conquistati con la forza ai loro legittimi proprietari. Ma ciò non accadrà mai, perché ciò contraddirebbe la “saggezza pratica”, ossia l’interesse politico. In questo modo, Carneade dimostra che tra ciò che è giusto e ciò che conviene c’è spesso un abisso.

2. Don Abbondio, l’uomo pratico

Don Abbondio è l’incarnazione dell’uomo che ha rinunciato a ogni pretesa di ideali in nome della sopravvivenza. La sua ignoranza di Carneade non è solo un dettaglio ironico, ma un’indicazione significativa: non conosce (né potrebbe conoscere) il dramma filosofico tra giustizia e forza, perché egli stesso ha scelto la via della prudenza come unica bussola. Egli è, in un certo senso, il prototipo dell’“uomo carneadiano”: non colui che elabora lo scetticismo, ma colui che vive nella sua ombra, scegliendo sempre la via della minima resistenza.

3. Giustizia, violenza e provvidenza nei Promessi sposi

I temi sollevati da Carneade — la tensione tra giustizia ideale e interesse politico, la relatività del diritto, la critica alla metafisica del potere — sono centrali nei Promessi sposi. Il romanzo è una riflessione potente sulla violenza istituzionalizzata (Don Rodrigo, la carestia, la peste, la guerra), sul silenzio della giustizia umana, e sulla presenza (spesso invisibile) della provvidenza divina.

La giustizia naturale: Il romanzo mostra come la legge, nelle sue forme terrene, sia spesso assente o impotente. La giustizia sembra un concetto astratto, destinato a soccombere sotto il peso della forza (come accade a Renzo e Lucia). Ma, a differenza di Carneade, Manzoni non si ferma allo scetticismo: egli oppone alla giustizia degli uomini la giustizia di Dio, che si compie in modo misterioso ma infallibile.

Il fallimento della metafisica: Carneade è anche il primo a criticare apertamente l’impotenza della metafisica nel fondare certezze assolute. In Manzoni, vi è un’eco di questa consapevolezza: ogni sistema filosofico umano fallisce davanti al dolore innocente. 

4. Una citazione non casuale

La scelta del nome di Carneade quindi forse non può essere letta come una semplice trovata ironica. Si tratta di un’allusione colta, che apre una serie di risonanze tematiche. Manzoni, scrittore attento alla storia delle idee, sapeva bene che la letteratura è un luogo di dialogo tra i secoli. Il breve riferimento a Carneade richiama alla memoria del lettore più attento un’intera tradizione di pensiero scettico, morale e politico, che culmina in una domanda centrale per l’opera: esiste una giustizia che possa resistere alla violenza del mondo?


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