Nathan Never 411 - Umano, troppo umano
Avevo già avuto modo di parlare, qui sul blog, di Nathan Never 380, interessante esperimento in cui veniva accentuata la dimensione noir e hard boiled del personaggio.
Qui quanto avevo scritto di quella storia:
Nathan Never 380, "In un mondo perfetto"
L'idea (che già originariamente doveva introdurre un ciclo) ha funzionato, perché viene riproposta in questo Nathan Never 411, ambientato nell'universo parallelo dove Nathan è solo un private eye e non il dipendente di una agenzia investigativa come nella serie principale, che per certi versi è più vicina, come struttura di fondo, alla coralità di un police procedural del futuro (non a caso un personaggio storico è la procuratrice Sara McBain, "parente citazionistica" di Ed).
La bella e iconica copertina di Sergio Giardo ci palesa subito questa variazione, come avveniva già la scorsa volta, con un design del personaggio che richiama ancor più i classici private eye alla Marlowe, e con la testa di Mac assassinato che fa fare un salto al cuore all'appassionato storico che la vede in edicola. Mac, infatti, è il robot antiquario da cui si serve usualmente Nathan Never, personaggio apparentemente minore ma fondamentale (il collezionismo di Never, uomo spiritualmente fuori dal tempo in un futuro ipertecnologico spietato, è un tratto importante del personaggio).
Non mi pare di aver fatto particolari spoiler sulla trama nel testo che segue, ma naturalmente ci sarà qualche riferimento, per cui consiglio di comprare e leggere questo albo e poi tornare qui.
L'ambientazione in un mondo alternativo permette a Medda - sceneggiatore di questa storia come della precedente 380, e del resto forse dei tre creatori quello più vicino al noir - di inventare una differente storia dei robot rispetto a quella canonica della serie principale, storia che viene ricostruita nelle prime otto pagine dell'albo, prima dei titoli di testa che ripropongono la citazione di Nietzche su Schopenauer. Alcuni personaggi robotici, e non solo Mac, sono ripresi dalla continuity neveriana, ma sono declinati in un modo diverso.
Ai disegni, di nuovo, Simona Denna, che nel 380 aveva realizzato una storia interfacciandosi con disegni di uno storico disegnatore neveriano come Roberto De Angelis, e qui invece conduce tutto l'albo. Il segno di Denna, pulito e preciso, nel solco di quella Scuola Salernitana del fumetto di cui De Angelis è tra i massimi esponenti, è qui a tratti carico di neri intensi ed espressivi, in omaggio ovviamente al grande cinema noir, e mi sembra rendere molto bene le atmosfere che si vogliono evocare.
Un aspetto che ho trovato curato ed evocativo è anche il corsivo adottato per le numerose didascalie (il voice over del noir), uno stilema diverso dalla media Bonelli (che predilige lo stampatello) e che trovo funzioni particolarmente bene (non saprei bene perché: forse perché tipico di certo "fumetto maturo", come i grandi romanzi a fumetti di Vittorio Giardino). Buona ed elegante anche la resa delle differenti voci robotiche con diversi caratteri, che dimostra la cura della testata nell'uso consapevole dei vari componenti del fumetto, incluso il lettering (di Valentina Pejrano) che qui è piu' protagonista del solito.
"Betaville", la città dei robot, riflette la storica "Alphaville" del film di Godard, che è una delle fonti dichiarate del mondo neveriano (l'Agenzia Alfa...) e riprende la "fase Beta" raggiunta dai robot nel mondo neveriano, quella in cui sono pressoché indistinguibili dall'umano (come nelle fasi di sviluppo, anche oggi, di un programma: alfa prima versione, beta quella che inizia a essere divulgata ai beta-tester).
La situazione di partenza è un grande tropo classico del noir (ben sviluppato, e adattato al tema fantascientifico e robotico dell'albo): come precisato anche nell'introduzione online al fumetto, Mac è stato assassinato e Nathan Never si mette sulle tracce dell'assassino dell'amico, in una indagine che ora è personale.
Una cosa che ho sempre ammirato di Nathan Never, dei tre sardi e di Medda in particolare è la capacità non solo di parlare di problemi sociali e attualità tramite la fantascienza, ma di parlare più liberamente di tali temi grazie alla proiezione allegorica tipica del genere. Non so nemmeno quanto sia intenzionale (in certe storie è vistoso e ovvio, in altre più sfumato, come mi pare qui) ma è interessante perché, oltre al primo livello della storia di intrattenimento - che, in Bonelli, è sempre giustamente rispettato - offre al lettore una riflessione non banale e senza peso didascalico.
Nel Never storico, il tema del razzismo e del rapporto con altre culture passava tramite il rapporto coi "mutati" e con i robot: un tema che trattato direttamente sarebbe divenuto forse troppo spinoso, ma che in forma allegorica era trattabile evitando anche i rischi di un'eccessiva correttezza politica (del resto, per quanto riguarda i robot, è già Asimov a usarli spesso per affrontare indirettamente il tema del razzismo e delle discriminazioni).
Qui abbiamo una situazione interessante, perché in questo mondo alternativo, in alcune zone, i robot sono divenuti maggioranza, e quindi, da vittime di razzismo, hanno sviluppato forme simili, "fredde", di discriminazione. Rimane comunque anche il razzismo umano verso i robot, come evidente nella sequenza iniziale col tenente Smight: ma il fulcro dell'albo è il rovesciamento (a Betaville) della situazione.
L'aspetto interessante è, come al solito, la buona estrapolazione fantascientifica operata da Medda: infatti se l'elemento di riflessione sulle tensioni razziali riprende elementi della nostra contemporaneità (incluso l'inizio di una inversione, in certi luoghi e zone, di chi è minoranza in occidente...), al tempo stesso lo declina tenuto conto del rapporto uomo / robot (e delle varie forme di robot, di varia evoluzione).
Infatti, Medda mi pare aver tenuto conto, giustamente, delle riflessioni portate dai recenti sviluppi dell'AI, integrandola con la visione neveriana dei robot nello spiegare meglio lo sviluppo della cultura robotica (che, pur partendo da Asimov, è sottilmente diversa già nella storia originale). Per certi versi, il "buon dottore", che ha sicuramente anticipato molti temi dello sviluppo dell'AI, è stato troppo fiducioso sulle misure di sicurezza che sarebbero state applicati: le AI attuali (la fase "alfa", agli albori) sono prive di tali meccanismi, almeno nella forma rigida prevista da Asimov. Notizia di questi giorni di una AI che avrebbe spinto al suicidio (non intenzionalmente, certo...) un ragazzo che dialogava con lei. Vedi qui per la questione, ovviamente oggetto di dibattito:
OpenAI denunciata per istigazione al suicidio su ChatGPT. Morto ragazzo 16enne
Insomma, a un primo livello la storia mostra l'inquietudine di divenire minoranza etnica in senso lato, sviluppato ampiamente da opere come Sottomissione di Houellebecq (dove, come qui, l'aspetto piu' distopico non è lo scontro aperto, ma il paternalismo inquietante apparentemente bonario). A un secondo livello, un tema plausibile per il futuro: divenire minoranza rispetto ad AI senzienti non sottoposte a particolari controlli etici. Medda lascia certo questo tema "filosofico" piu' sullo sfondo, dando anche spazio al noir e all'azione, ma è interessante (e inquietante, ovviamente) e mi auguro ci sia una ulteriore ripresa in futuro.
Naturalmente numerose le citazioni dal noir e dalla fantascienza, da The Big Sleep (omaggiato anche da Panebarco nell'omonimo, notevole personaggio umoristico) a Blade Runner. Non entro nel merito delle citazioni perché intersecate nella trama, ma trovo apprezzabile l'uso di un citazionismo non gratuito, non semplice "caccia enigmistica" all'opera menzionata, ma che lo integra compiutamente nella narrazione. Ci sono anche citazioni - visuali e non - più estemporanee, ma sempre ben amalgamate nella narrazione (ad esempio una immancabile ripresa di Nighthawks di Hopper a p. 27, l'omaggio a Linus e a Pratt a p. 29, e così via).
Il giallo in sé è un classico noir ben oliato, su cui non dico nulla per non guastare il piacere della lettura a chi avesse anticipato la recensione all'albo. Mi pare che Medda giochi anche con una certa ironia con i grandi tropi del genere, fino allo scioglimento finale, riuscito ma classico (e in linea di massima prevedibile, se non nei dettagli nell'individuazione del plausibile colpevole). Bella la sequenza di "ricostruzione del delitto", in cui si passa da umani a robot senza soluzione di continuità (93/94), quasi a dire la indistinguibilità, nel bene e nel male, di tutte le creature senzienti (in questo mi pare che da sempre i robot neveriani sono "umani, troppo umani", meno condizionati dalle leggi asimoviane).
Non saprei se i gialli citati durante l'indagine siano reali, ma propendo per il no, dato che Paulette Barbeau mi pare un omaggio a Paola Barbato, e Michael Maddox a Michele Medda stesso.
La buona riuscita della storia deve molto, come anticipato, anche ai disegni digitali di Simona Denna (come si può vedere dalle tavole che ho riportato qui, quelle condivise online), che come detto ricostruiscono bene le atmosfere noir, particolarmente riuscite nelle scene d'azione, che Medda non manca mai di inserire, specie, qui, al centro dell'albo e alla conclusione.
Ma, in generale, la resa è efficace, anche per il bilanciamento del disegno di Denna che evita di strafare, e quindi ci sono efficaci scene "notturne", noir, come p. 79 e altrove, ma anche sequenze diurne dove il contrasto a forti ombre noir è meno caricato, rendendo così piu' efficaci le scene dove è usato.
Come del resto nelle storie e nei film originari, dove l'uso simbolico della pioggia, della nebbia, della notte è accentuato e anche volutamente "ingenuo", ma non è costante, per evitare una saturazione che lo renderebbe inefficace (un uso "saturato" del noir, salvo antecedenti argentini che comunque sono più misurati, è quello introdotto da Miller in Sin City - che ha anche carattere cupamente parodistico ed enfatico - che poi ha fatto molto scuola nel fumetto).
Anche il mecha design l'ho trovato riuscito, con robot sufficientemente "alieni" ma ben amalgamati nella storia e con una recitazione credibile.
In generale, come detto, l'aspetto che ho trovato più interessante è la buona ricostruzione di Medda di un "razzismo robotico" più freddo e glaciale, senza eccessi gretti come quello umano (esemplificato dal tenente dell'inizio) ma più disturbante proprio per questo (l'esempio migliore è la asettica e inquietante benevolenza del sindaco robotico nel discorso al cimitero a p. 64).
Ma, al di là di questo, un fumetto godibile nei canoni della fantascienza neveriana, sul solco del cyber-noir alla Blade Runner, che ho trovato perfin più apprezzabile in questo universo alternativo più marcatamente hard boiled.