Dylan Dog: the clash of the metacomics




Il nuovo OldBoy di Dylan Dog attualmente in edicola offre la solita doppietta natalizia, ambientata nel mondo classico di Dylan Dog, contrapposto al "nuovo mondo" della serie regolare che sta però andando verso la fine (e che dovrebbe tornare, dopo una trilogia, al classico). 

La prima storia è una tipica storia natalizia surreale, "Natale con l'orco", con Gabriella Contu che riprende il tema di Safarà con i disegni pulitissimi di Riccardo Torti. E questo, va bene, è il tributo al Natale, ripreso anche nella copertina di Montanari e Bacilieri, un po' sottotono, a essere onesti, rispetto alle loro belle collaborazioni recenti, proprio sull'OldBoy (dopo la interessante Graphic Horror Novel sulla serie regolare).



La storia di Contu e Torti, con Safarà.


Ma la cosa più interessante è la seconda storia, totalmente metafumettistica, esattamente come l'albo mensile in edicola che ci dovrebbe traghettare verso un nuovo inizio, e di cui ho scritto qui


Il metafumetto del nuovo inizio


In questo caso, la storia della regolare è scritta a due mani dal curatore Recchioni e dalla new entry Claudio Lanzoni, cui viene affidata a sorpresa una svolta importante del personaggio. 

Lanzoni ha un suo curriculum fumettistico, extra-Bonelli, anche se non è certo autore di primo piano; in questa storia, non solo nelle modalità di sceneggiatura, ma anche nei temi e nel soggetto prevale ancora lo stile di Recchioni, o perlomeno è quello che è evidente al lettore: un metafumetto onirico, in cui le strutture dei comics si dissolvono e i personaggi acquisiscono una consapevolezza del loro essere finzionali (consapevolezza che, nella nuova stagione del personaggio, pare aver sempre posseduto John Ghost).





Il metafumetto dylaniato.


La storia metafumettistica dell'OldBoy è di altro tipo: è una storia "a chiave", in cui tramite una apparente avventura di Dylan Dog si parla in realtà della Bonelli. Non ne sono mancati esempi recenti: anche questa storia di Di Gregorio e Mari aveva elementi critici più blandi, anche se già qui non privi di un sostrato polemico; mentre tale dimensione era evidente, fuori Bonelli, nell'a suo modo celebre Daryl Dark, il cui numero uno era un divertissment satirico (i numeri successivi non proseguivano tale filone). Aggiungo che anche Graphic Horror Story, citata prima, con cui inizia la coppia Montanari-Bacilieri ora copertinisti dell'OldBoy, era metafumettistica. 

Questa storia è di Alessandro Russo, autore che dovrei approfondire, comunque solido professionista bonelliano attivo su Zagor, Martin Mystere, Nick Raider, Nathan Never ma - da quanto rilevo -all'esordio su Dylan, per i disegni di due pezzi da novanta come Piero Dall'Agnol e Luigi Siniscalchi. Appare quindi oggettivamente più curiosa la satira, che in Di Gregorio poteva sembrare forse quella di una "vecchia guardia" estromessa almeno in parte nella nuova gestione. Il senso sembra più di una satira sulla Bonelli in genere, come in fondo era apparso nel Color Fest sperimentale di Ausonia, che invece ironizzava sulla Bonelli classica (non sul "nuovo corso").

Non solo la regolare, oltretutto, è di recente consacrata a una triade metanarrativa, ma anche il Color Fest "Utopia Modulare" (che poteva funzionare anche senza il finale metafumettistico) assume questa dimensione, sempre con cover di Bacilieri: una bella storia di Recchioni e Sicchio, per i disegni notevoli di Pontrelli e Algozzino.





L'ultimo urlo del "vecchio nuovo corso";
il primo urlo del "nuovo vecchio corso".


Questa nuova storia, quindi, è tutta una lunga satira della gestione recchioniana, con riferimenti piuttosto puntuali e anche abbastanza acidi di cui anche Franco Busatta (il curatore dell'OldBoy) pare abbastanza consapevole nella prefazione, in cui intervista i due autori, in cui chiede allo sceneggiatore se rimprovera qualcosa ai fumetti attuali, e giustamente Russo risponde che la storia parla per sé.


Facce e maschere. Il fondamentale gioco del segno di Ditko/Agnol/Sinis






Il titolo della storia, "Facce e maschere", ha un sapore pirandelliano, che rimanda alla celebre affermazione dell'autore per cui nella vita incontreremo molte maschere e pochissimi volti. Un rimando molto ripreso online con un richiamo a volte un po' superficiale alle "persone false": ma qui il gioco è piuttosto raffinato, e forse il senso è anche quello di indicare che, sotto le "maschere" dei personaggi, si celano "facce" reali. Certo, senza mai sciogliere l'arcano del tutto: è il gioco di questo tipo di operazioni (del resto, lo stesso Sclavi ha giocato sui retroscena bonelliani in due suoi romanzi, "Le etichette delle camicie" e soprattutto "Non è successo niente").

Il gioco, dicevamo, è piuttosto intricato. Peikoff, l'autore completo protagonista, è dichiaratamente Ditko, di cui il duo Dall'Agnol e Siniscalchi  riprendono, in una chiave personale, diversi stilemi anche nei disegni. Un segno "veloce", in continuità con quello sviluppato negli ultimi anni da Dall'Agnol, nella sua intrigante evoluzione stilistica, funzionale alla narrazione e in grado di offrire belle tavole, ad esempio in quelle che riprendono il Dottor Strange dell'età dell'oro. Lo stile visivo in Ditko-style è una componente fondamentale di questo gustoso gioco letterario a fumetti, fondamentale al senso di tutta l'operazione. Qui mi soffermerò principalmente sugli aspetti curiosi "di trama", specie quelli "di secondo livello", che tramite il metafumetto parlano in controluce, forse, del background bonelliano. Ma il gioco, è bene ribadire, riesce grazie alla esecuzione visuale, che mantiene vivo il retrogusto ditkiano della storia. Inoltre, sono anche efficaci, a loro modo, le scene splatteristiche inserite giustamente nella storia, con uno stile non particolarmente grafico ma comunque inquietante.

Va sottolinato poi che Dall'Agnol in particolare è tra i "fondatori" della visione dylaniata sotto il profilo grafico (a partire da "Il buio", introduzione di Mana Cerace, e "Goblin", storia seminale dell'ecologismo e animalismo dylaniato) ma anche del "nuovo corso" di Recchioni di cui realizza numerose storie di rilievo ("Il cuore degli uomini", ad esempio"), anche se ultimamente nuovamente defilato. In un intreccio simbolico ribadito da Busatta in prefazione, inoltre, Dall'Agnol si rifiuta al pubblico come faceva Ditko (elemento che rimane, centrale, nella storia).


Le mille maschere di Peikoff: Ditko, Dell'Agnol, Sclavi, Miller, Moore, Bilotta?


La storia del fumettista Peikoff (autore in passato del notevole "Dottor Weird", il Dottor Strange di Ditko ovviamente) è illustrata con un modulo a 9 vignette, anche per distinguerla dalla storia normale (nella consueta gabbia 2X3 bonelliana), ma anche per rimandare a Watchmen, di cui riprende ovviamente non tutto, ma il filone legato a Rorschach, chiaramente citato in Mr. R, evidente rimando a Roschach (non ha le celebri macchie come volto, ma veste come lui da trenchcoat brigade e porta una maschera a specchio, così come in psicanalisi ci "specchiamo" nelle macchie di Rorschach, interpretandole).





Nel meta-fumetto, vediamo un rapimento andato male finire per l'intervento di Mr. R: la sequenza ricorda la celebre origin story del personaggio (che viene apertamente citata subito dopo) ma anche un rapimento di Dark Knight Return, che finisce invece nel modo "classico" (l'eroe risolve la situazione con la forza, senza pietà per i criminali).

Il meta-fumetto è stato riproposto da Peikoff, vecchia gloria, alla BCE editrice (Evidente il parallelo con la SBE: invece che Sergio Bonelli Editore, Bonelli Comics Editor?), casa editrice che ha tra i suoi personaggi una miriade di wester, inclusi certi "Sunset Carson" e "Jex" (p. 108; tra l'altro, nella parte giallistica della storia, si ribadisce che Dylan risolve il caso guardando con attenzione le scritte nascoste nei meta-fumetti di Peikoff).

Peikoff è autore noto per il suo horror di livello che ora passa ai supereroi, e viene da pensare a Bilotta: ma dal contesto pare evidente che il rimando principe è a Sclavi, sotto il mascheramento.


L'Oggettivismo


Il rimando di Peikoff a Ditko sottolinea inoltre un aspetto importante dell'autore in relazione a questa storia: l'adesione all'Oggettivismo, la filosofia delineata da Ayn Rand, che Ditko seguiva, e di cui il vero Leonard Peikoff fu poi l'interprete ufficiale dopo la sua morte (vedi qui). L'oggettivismo fu importante nella visione supereroica di Ditko, che esaltava una opposizione in bianco e nero, priva di sfumature etiche, nel supereroico, sia nei suoi fumetti più noti, sia soprattutto in The Question (1969), dove tale elemento diviene particolarmente accentuato. 

The Question sarà poi ripreso da Alan Moore per creare il personaggio di Rorschach in "Watchmen" (che inizialmente dovevano riprendere i personaggi della Charlton Comics, acquisita dalla DC). La citazione interna è quindi ancora più forte. Similmente, in Frank Miller (parimenti citato nella storia) si ritrova - specie in Batman - un analogo dualismo nettissimo tra bene e male.




Nel fumetto, a pagina 143, si parla apertamente di come Peikoff/Dikto abbia iniziato a seguire una "scuola filosofica" (o setta) e da lì sia iniziato il declino. Un rimando a Ditko, quindi al primo livello celato nella storia. Viene da chiedersi se non ci sia anche un rimando "di secondo livello", in connessione a Sclavi.

In ogni caso, anche Sclavi per certi versi riprende in Dylan Dog una visione manichea, "in bianco e nero" (nel fumetto italiano, in senso proprio), anche se a parti rovesciate: il mostro è tendenzialmente "buono", i normali sono "cattivi", in modo altrettanto marcato rispetto ai ruoli etici tradizionali ad esempio del fumetto supereroico.


Devo inoltre riconoscere che tutto questo capitoletto sull'oggettivismo lo devo alle segnalazioni preziose di Giancarlo Marzano, sceneggiatore dylaniato che come noto apprezzo molto (vedi qui).


Redattore Rick Robson; rappresentazione ragionevolmente riconoscibile.



Il direttore generale Dux



Finito il meta-fumetto (che tornerà più volte nell'albo) di Peikoff, torniamo alla realtà di Dylan Dog, ove l'Editor Rick Robson, che ha esaminato la storia, cerca di spingere Peikoff o verso Batman, prima, o verso Rorschach, poi (confermando i due rimandi di prima) ma inutilmente: l'autore rifiuta queste compromissioni spurie. La maschera di Roberto Recchioni (Robson R...) è abbastanza palese.

Sopra di lui, Robson ha poi un direttore di cui si ribadisce con insistenza che prima "dirigeva una catena di fast food", "quello dei fast food", lo chiamano spesso i personaggi: appare plausibile che il rimando sia a Simone Airoldi, direttore generale della Bonelli, proveniente da una esperienza in Panini. Al suo arrivo si attribuiscono del resto, anche da chi le valuta in modo positivo o neutro, strategie commerciali tipiche della Panini Comics prima non usate dalla Bonelli storica. 

Il personaggio del direttore viene chiamato Dux (sic!) ed è insoddisfatto, per ora, del rilancio dell'editrice che lui e Robson hanno organizzato, preparandosi a scaricare su questi l'eventuale insuccesso: "Se sarà un fiasco, sarà il tuo fiasco, Rick", dichiara.



Dux e Rick Robson


Nel mentre, Dux blandisce dei recensori, Joe e Frank, al telefono cercando quindi di condizionare la ricezione critica della loro operazione di rilancio di Peikoff. Un ruolo che in realtà i contestatori hanno attributo più a Recchioni, ma ovviamente la metafora non dev'essere millimetrica.

Inizia poi una catena di delitti connessi a questo rilancio delle storie peikoffiane: su questo aspetto giallistico non entro nel merito, perché può essere la componente di intrattenimento che merita non spoilerare più di tanto (mentre quanto detto sopra, comunque, si evince nelle prime pagine dell'albo).

 Naturalmente i due cinici editor sfruttano, in ogni caso, l'occasione per promuovere il fumetto sulle testate nazionali, un po' come sono stati sfruttati, fuor di metafora, eventi eccezionali del personaggio ("Addio Bloch", "Groucho muore"; "Dylan sposa Groucho"), secondo strategie del resto consolidate del fumetto americano in primis.

Nel mentre, si ironizza su quasi ogni cambiamento: il passaggio dal "voi" al "lei" nei dialoghi formali Bonelli; si inserisce un personaggio reale e, se ci saranno problemi di copyright, gli si aggiungeranno due baffi (come si sono tolti a Groucho nel famigerato film del 2011, precedente in verità l'attuale gestione, e in certe edizioni estere).





Nei fumetti di Peikoff Dylan - che vi appare - dice "Diavoli dell'inferno" come Tex, ed è stato a suo tempo protagonista di un fumetto (ora chiuso) della BCE; non manca anche la fan del Dylan fumetto del tempo che fu, mentre nell'indagine su Peikoff Dylan si accorge che le vecchie storie avevano un loro senso, mentre quelle del nuovo rilancio dell'autore sono sensazionalistiche e fini a sé stesse (e questo ha anche un suo ruolo verso la conclusione).

Il finale, che non svelerò, è abbastanza ovvio per chi ha seguito l'opera a tesi e la chiude in modo consequenziale. In modo prudenziale, Russo volge poi tutto in un registro surreale, rompendo la parete fumettistica in modo di porre tutto nei canoni dello "scherzo letterario", come si fa di solito (anche perché la conclusione è, anche logicamente dati i presupposti, piuttosto tranchant).

L'aspetto più interessante cui si allude è che Peikoff abbia "aderito a una setta", e ora voglia catechizzare il lettore sulla sua nuova filosofia (p.144). Non si coglie se la cosa abbia un riferimento puramente legato allo sviluppo giallistico, oppure rimandi a una qualche pseudorivelazione criptata sui retrosceni sclaviani (o bonelliani). Probabilmente una certa ambiguità è voluta, nel gioco di dire e non dire tipico di questo tipo di operazione.

Insomma, una storia curiosa soprattutto per chi, come me, si diverte a leggere i retroscena bonelliani nelle righe delle storie più metanarrative, e che mi ha spinto a scrivere queste due righe di analisi. Anche se, onestamente, perfino io (che ho sempre trovato divertente il gioco del "meta") inizio a domandarmi quando finisce il senso di questa costante riflessione del personaggio.

Vedremo se, col nuovo nuovo corso, si porrà una svolta anche sotto questo profilo.